Lo specchio con la cornice dorata rifletteva l’immagine della stanza, il motivo inquietante a mosaico che copriva le pareti, i mobili dorati, i bei tappeti e gli altri specchi e la tappezzeria. La stanza di un palazzo senza una finestra o... una porta. Lo specchio rifletteva anche l’immagine di una donna che camminava avanti e indietro con addosso un vestito rosso sangue, il volto bellissimo una combinazione di rabbia e incredulità. Incredulità. Rifletteva anche l’immagine del proprio viso, e quella lo interessava molto più della donna. Non poté fare a meno di toccarsi per la centesima volta il naso, la bocca e le guance per accertarsi che fossero veri. Non era un volto giovane, ma lo era comunque più di quello che aveva avuto la prima volta, quando si era risvegliato dal lungo sonno con i suoi incubi infiniti. Si trattava di un volto ordinario e lui aveva sempre odiato essere ordinario. Riconobbe il suono che gli sgorgò dalla gola, ricordò il sorgere di una risata, e lo trattenne. Non era pazzo. Malgrado tutto, non lo era.
Durante quel secondo sonno, molto meno terrificante, gli era stato dato un nome, prima che si svegliasse con quel volto e quel corpo. Osan’gar. Un nome assegnato da una voce che lui conosceva bene e alla quale non osava disobbedire. Il suo vecchio nome, scelto per denigrarlo e adottato invece con orgoglio, era scomparso per sempre. La voce del suo maestro aveva parlato e lo aveva reso possibile. La donna si chiamava Aran’gar; l’identità precedente non esisteva più nemmeno per lei.
Quei nomi erano una scelta interessante. Osan’gar e Aran’gar erano le posizioni delle mani sinistra e destra nel duello con i pugnali, popolare in quell’edificio per un breve periodo di tempo dal giorno in cui il Foro era stato creato fino all’inizio della Guerra del Potere. I suoi ricordi erano frammentari — troppo era andato perduto durante il lungo sonno e quello breve — ma questo lo rammentava ancora. La popolarità era stata breve perché quasi sempre gli sfidanti morivano entrambi. Le lame dei pugnali erano intrise di un veleno mortale.
Qualcosa si mosse indistinta nello specchio e lui si voltò lentamente. Doveva tenere a mente chi fosse e accertarsi che anche gli altri facessero lo stesso. La porta ancora non c’era, ma adesso un Myrddraal condivideva la stanza con loro. Nulla di tutto ciò era inconsueto in quel luogo, anche se il Myrddraal era più alto di qualsiasi altro Osan’gar avesse mai visto prima.
Se la prese comoda, lasciando aspettare il Mezzo Uomo, e prima che lui potesse aprire bocca, Aran’gar chiese furiosa: «Perché mi è stato fatto tutto ciò? Perché sono stata infilata in questo corpo? Perché?» L’ultima domanda fu quasi un grido stridulo.
Osan’gar ebbe l’impressione che le labbra esangui del Myrddraal si torcessero leggermente in qualcosa di simile a un sorriso, cosa impossibile, lì come ovunque. Anche i Trolloc avevano il senso dell’umorismo, ma non i Myrddraal. «A entrambi è stato dato il meglio che potesse essere trovato nelle Marche di Confine» la voce della creatura ricordava il suono di una vipera che strisciava fra l’erba secca. «È un bel corpo, forte e sano. Meglio delle alternative.»
Il Myrddraal aveva ragione. Era un bel corpo, adatto a una ballerina daien dei vecchi tempi, morbido e rigoglioso, gli occhi verdi erano incorniciati in un viso ovale color avorio e i capelli erano neri e lucidi. Qualsiasi soluzione sarebbe stata migliore delle alternative.
Forse Aran’gar non era dello stesso parere. Quel volto bellissimo era chiazzato dalla rabbia. Stava per fare qualcosa di avventato. Osan’gar lo sapeva; aveva sempre avuto quel problema. Lanfear al confronto pareva cauta. Si protese verso saidin. Incanalare in quel luogo avrebbe potuto essere pericoloso, ma sempre meno che permettere alla donna di fare qualcosa di veramente stupido. Si protese verso saidin e... non trovò nulla. Non era stato schermato, lo avrebbe percepito e sapeva cosa fare per spezzare la protezione. Avendo tempo a disposizione, però: lui non era molto forte. Quella condizione assomigliava di più all’essere stato Troncato. Lo stupore lo pietrificò sul posto.
Non fu lo stesso per Aran’gar. Forse la donna aveva fatto la stessa scoperta, ma con un effetto diverso. Gridando come un gatto selvatico si scagliò contro il Myrddraal con le unghie protese.
Fu ovviamente un attacco futile. Il Myrddraal non cambiò nemmeno posizione. L’afferrò per la gola con scioltezza, la sollevò con il braccio teso fino a quando sentì i piedi di lei sollevarsi dal pavimento. Il grido divenne un gorgoglio e la donna afferrò con entrambe le mani i polsi del Myrddraal. Questi, con la donna che oscillava nella sua morsa ferrea, rivolse lo sguardo privo di occhi verso Osan’gar. «Non siete stati Troncati, ma non incanalerete fino a quando non vi verrà detto che potete farlo. E non mi attaccherete mai. Io sono Shaidar Haran.»
Osan’gar cercò di deglutire, ma aveva la bocca secca. Sicuramente la creatura non aveva nulla a che vedere con ciò che gli era stato fatto. I Myrddraal avevano diversi poteri, ma non quello. Eppure sapeva. Non gli erano mai piaciuti i Mezzi Uomini. Aveva aiutato a creare i Trolloc, incrociando umani e animali — di quello era fiero, delle conoscenze coinvolte nella creazione, delle difficoltà superate — ma questi strani esseri che spuntavano occasionalmente lo mettevano, nella migliore delle ipotesi, a disagio.
Shaidar Haran rivolse di nuovo la propria attenzione sulla donna che si agitava fra le sue mani. Il viso cominciava a diventare purpureo e i piedi scalciavano debolmente. «Ti abituerai. Il corpo si piega all’anima ma la mente si inchina davanti al corpo. Ti stai già adattando. Presto sarà come se non ne avessi mai avuto un altro. Oppure, se vuoi, puoi rifiutare. In quel caso un’altra prenderà il tuo posto e tu verrai consegnata a... i miei fratelli, bloccata come ora.» Le labbra sottili della creatura si torsero di nuovo. «Nelle Marche di Confine hanno nostalgia del loro sport preferito.»
«Non può parlare» osservò Osan’gar. «La stai uccidendo! Non sai dove ci troviamo? Mettila giù, Mezzo Uomo! Obbediscimi!» Quella creatura doveva obbedire a uno dei Prescelti.
Invece il Myrddraal, impassibile ancora per un lungo momento, studiò il volto di Aran’gar che diventava sempre più scuro, prima di lasciare che i piedi della donna toccassero il tappeto e allentare la presa. «Obbedisco al Sommo Signore e nessun altro.» La donna, appesa alla mano della creatura, tossiva tremante e respirava con affanno. Se il Myrddraal avesse tolto la mano, lei sarebbe caduta. «Ti sottometterai alla volontà del Sommo Signore?» Non era una domanda, solo una formula meccanica espressa con quella voce graffiante.
«Lo farò» rispose rauca Aran’gar, e Shaidar Haran la lasciò andare.
La donna vacillò massaggiandosi la gola e Osan’gar si mosse per aiutarla, ma lei lo minacciò con l’espressione furiosa e un pugno sollevato ancor prima che la toccasse. L’uomo si fece indietro con le mani alzate. Non voleva che si creassero inimicizie, ma la donna aveva proprio un bel corpo, era stato davvero un bello scherzo. Era sempre stato fiero del proprio senso dell’umorismo, ma questo superava ogni sua bravata.
«Non provi gratitudine?» chiese il Myrddraal. «Eri morta e adesso sei rinata. Pensa a Rahvin, la cui anima è oltre ogni salvezza, oltre il tempo. Tu hai la possibilità di servire ancora una volta il Sommo Signore e di farti perdonare per i tuoi errori.»
Osan’gar si affrettò a rassicurarlo che lui era grato, che non voleva niente di più che servire e ottenere il perdono. Rahvin morto? Cos’era successo? Non importava; un Prescelto in meno significava una possibilità in più per ottenere il vero potere una volta che il Sommo Signore si fosse liberato.
Gli bruciava umiliarsi davanti a una creatura che avrebbe potuto considerare una sua creazione quanto i Trolloc, ma ricordava la morte con troppa chiarezza. Avrebbe strisciato davanti a un verme pur di evitarla di nuovo. Notò che Aran’gar non era stata meno veloce, anche se gli occhi di lei erano colmi di rabbia. Ovviamente anche la donna ricordava perfettamente la situazione.