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«Meravigliosamente ben fatto, mio signore Drago» lo osannò Karind senza mezzi termini. Il vestito era grigio splendente, con un taglio severo come il volto della donna, ma riccamente ricamato d’argento sulle maniche e sull’orlo, quasi a richiamare le striature grigie fra i capelli scuri. «Devi essere sicuramente il miglior spadaccino del mondo.» Malgrado le parole, lo sguardo piatto della donna robusta fu come una martellata. Se avesse avuto un cervello svelto come la lingua, sarebbe stata pericolosa.

Naean era una donna magra, pallida e bellissima, con dei grandi occhi azzurri e capelli neri splendenti che ricadevano in onde, ma il ghigno che rivolse ai cinque uomini fu solo finzione. «Immagino si siano messi d’accordo prima per dare modo a uno di loro di sconfiggerti. Si spartiranno il denaro aggiuntivo.» A differenza di Elenia, la donna vestita d’azzurro, con la tripla chiave d’argento della casata Arawn ricamata sulle maniche lunghe, non alludeva mai alle proprie pretese al trono, non nei pressi di Rand. Fingeva di essere contenta della sua posizione di somma signora di una casata antica. Una leonessa che faceva finta di gradire il ruolo di gatto domestico.

«Posso sempre contare sul fatto che i miei nemici non si uniranno contro di me allo stesso modo?» chiese lui con calma. La bocca di Naean si mosse sorpresa; non era stupida, eppure pareva credere che quelli che le si opponevano dovessero mettersi a pancia all’aria non appena lei li affrontava, e sembrava considerare un affronto personale quando non lo facevano.

Una delle Fanciulle, Enaila, ignorò i nobili e consegnò a Rand un asciugamano per detergersi il sudore. La capigliatura della giovane era rosso fuoco, ma era bassa per essere una Aiel e le seccava che qualcuna di quelle abitanti delle terre bagnate fosse più alta di lei. La maggior parte delle Fanciulle potevano fissare dritto negli occhi molti degli uomini presenti nella stanza. Gli Andorani fecero del loro meglio per ignorarla, ma guardare altrove rendeva un fallimento il tentativo di esibire sguardi furiosi. Enaila se ne andò come se fossero invisibili.

Il silenzio durò solo alcuni istanti. «Il mio signor Drago è saggio» osservò lord Lir facendogli un piccolo inchino, ma con un leggero cipiglio. Il sommo signore della casata Anshar era sottile come una lama e altrettanto forte, aveva addosso una giubba adornata da un intreccio d’oro, ma era troppo untuoso e troppo tranquillo. Nulla gli sfiorava il volto se non quelle occhiate occasionali che lanciava come se non ne fosse consapevole, ma non era certo il solo a rivolgere a Rand degli strani sguardi. A volte anche gli altri osservavano il Drago Rinato con incredulità pensierosa. «Prima o poi i nemici si alleano sempre. Bisogna saperli riconoscere prima che abbiano la possibilità di farlo.»

Altri elogi nei confronti della saggezza di Rand vennero da Lord Henren, un uomo robusto, calvo e dallo sguardo duro, e da lady Carlys con i suoi ricci grigi, il viso aperto e la mente contorta, dalla grassoccia Daerilla, da Elgar, nervoso e con le labbra sottili; a questi seguirono gli altri nobili che tenevano a freno la lingua fino a quando a parlare con qualcuno più potente di loro.

I signori e le dame delle casate minori si zittirono quando Elenia aprì nuovamente bocca. «È sempre difficile riconoscere i nemici prima che si svelino. Spesso a quel punto è troppo tardi.» Il marito annuì saggiamente.

«Io dico sempre» annunciò Naean «che chi non mi aiuta mi ostacola. Ho scoperto che è un’ottima regola. Quelli che ti restano alle spalle potrebbero aspettare fino a quando hai la schiena completamente voltata per affondarvi un pugnale.»

Non era la prima volta che alcuni nobili tentavano di assicurarsi un posto d’onore lanciando sospetti contro ogni signore o dama che non si schierasse dalla loro parte; Rand sperava di poterli fermare senza agire apertamente. I loro tentativi di giocare il Gioco delle Casate erano deboli a confronto delle manovre subdole dei Cairhienesi o anche dei Tarenesi, e inoltre erano irritanti, ma c’erano pensieri che Rand non voleva ancora fare affacciare nelle loro menti. Con sua sorpresa l’aiuto giunse dal canuto lord Nasin, il sommo signore della casata Caeren.

«Un altro Jearom» osservò l’uomo con un sorriso ossequioso, insolito su quel viso scarno. In cambio raccolse occhiate esasperate, anche dai nobili delle casate minori. Nasin aveva subito un declino dopo gli eventi che si erano verificati con l’arrivo di Rand a Caemlyn. Invece che la stella e la spada che rappresentavano la sua casata, mostrava dei ricami con motivi floreali, pietre di luna e nodi degli amanti, e a volte aveva un fiore fra i capelli come un ragazzo di campagna durante un corteggiamento. Eppure, la casata Caeren era troppo forte e neppure Jarid o Naean potevano metterla da parte. Nasin voltò il capo. «La tua scherma è spettacolare, mio lord Drago. Sei un altro Jearom.»

«Perché?» La parola volò nel cortile, amareggiando i volti degli Andorani.

Davram Bashere sicuramente non era Andorano. Aveva gli occhi a mandorla, quasi neri, e il naso aquilino; i baffi folti striati di grigio scendevano come corni attorno alla bocca larga. Era magro, poco più alto di Enaila, portava una corta giubba ricamata d’argento sui polsini e sul colletto, e i pantaloni a sbuffo erano infilati negli stivali con il risvolto all’altezza delle ginocchia. Il maresciallo generale della Saldea aveva fatto portare una sedia dorata nel punto in cui si erano riuniti gli Andorani per guardare e vi si era comodamente sistemato, con una gamba che penzolava da un bracciolo. La spada era legata in vita in modo da essere facilmente raggiungibile. Il sudore brillava su quel volto scuro, ma l’uomo vi prestava poca attenzione, come gli Andorani.

«Cosa vuoi dire?» chiese Rand.

«Mi chiedo quale sia il motivo di tutte quelle esercitazioni con la spada» rispose Bashere. «E con cinque uomini? Nessuno si esercita contro cinque avversari. È sciocco. Prima o poi il tuo cervello finirà sparso in terra, anche usando le spade da esercitazione.»

Rand serrò i denti. «Jearom una volta ne ha sconfitti dieci.»

Dopo aver cambiato posizione, Bashere si mise a ridere. «Credi che vivrai abbastanza a lungo da eguagliare il più grande spadaccino della storia?» Dagli Andorani provennero dei borbottii furiosi — rabbia simulata, Rand ne era certo — ma Bashere li ignorò. «In fondo, sei quello che sei.» L’uomo scattò improvvisamente come una molla; estrasse il pugnale mentre era ancora in movimento e lo lanciò dritto al cuore di Rand.

Quest’ultimo non mosse un muscolo: afferrò invece saidin, la metà maschile della Vera Fonte; fu semplice come pensare. Saidin gli scorse nelle vene, insieme alla contaminazione del Tenebroso, una valanga di ghiaccio disgustoso, un torrente maleodorante di metallo fuso. Cercò di schiacciarlo, di scorticarlo, ma Rand lo cavalcò come un uomo in bilico su una montagna che frana. Incanalò un semplice flusso d’Aria che avvolse il pugnale e lo bloccò a un braccio di distanza dal proprio petto. Il vuoto lo circondava e lui vi fluttuava al centro: nel vuoto, pensiero ed emozioni erano lontani.

«Muori!» gridò Jarid estraendo la spada mentre si avventava contro Bashere. Lir, Henren ed Elgar, come anche ogni lord andorano, estrassero le lame a loro volta, anche Nasin, benché sembrasse pronto a lasciarla cadere. Le Fanciulle si erano avvolte lo shoufa attorno alla testa, i veli neri coprivano il viso fino all’altezza degli occhi azzurri o verdi mentre le Aiel giovani sollevavano le corte lance dalle punte lunghe. Gli Aiel si velavano sempre il volto prima di uccidere.

«Fermatevi!» gridò Rand, e tutti si immobilizzarono. Gli Andorani erano confusi, le Fanciulle ancora pronte a scattare. Bashere non si era mosso se non per sedersi di nuovo, con la gamba sempre sul bracciolo.

Rand raccolse con una mano il pugnale con il manico di corno e rilasciò saidin. Anche con la contaminazione che gli torceva le budella — quella che prima o poi uccideva gli uomini capaci di incanalare — lasciar andare la Vera Fonte fu difficile. Con saidin che lo colmava vedeva con maggiore chiarezza, l’udito era più acuto. Era un paradosso che non comprendeva, ma quando fluttuava in quel vuoto apparentemente infinito, schermato in qualche modo contro sensazioni corporee, sentimenti ed emozioni, ogni senso era amplificato. Senza di esso si sentiva vivo solo a metà. Sembrava che una parte della contaminazione non svanisse, ma ciò non valeva per la gloria di saidin. Quella gloria mortale che lo avrebbe ucciso se avesse vacillato minimamente nella lotta contro di essa.