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Abbottonò il colletto della blusa, alzò le spalle intorno al collo e scivolò sotto la porta.

Era sotto la parte posteriore della Packard. Là macchina era parcheggiata sul lato sinistro del magazzino e quasi toccava il muro. Sul lato destro c'era una catasta di scatoloni che riempiva lo spazio accanto alla macchina. Clarice continuò a strisciare sul dorso fino a quando sporse la testa nello stretto varco tra la Packard e le scatole. Puntò il fascio di luce verso l'alto. Parecchi ragni avevano tessuto le tele in quello spàzio limitato. Erano quasi tutte ragnatele rotonde, costellate da minuscole carcasse raggrinzite e avvolte in bozzoli.

Bene, l'unico ragno che può far paura è quello bruno, e non fa tele all'aperto, si disse Clarice. Gli altri sono quasi innocui.

C'era abbastanza spazio per alzarsi dietro il paraurti posteriore. Clarice si girò fino a quando uscì da sotto là macchina, con la faccia vicina alla gomma dalla fascia bianca. Era tutta scrostata, ma vi si leggeva ancora la scritta GOODYEAR DOUBLE EAGLE. Clarice stette attenta a non urtare la testa, si alzò nello spazio stretto tenendo la mano davanti al viso per rompere le ragnatele. Era quella l'impressione, che si provava quando si portava un velo?

Dall'esterno le arrivò la voce del signor Yow. «Tutto bene, signorina Starling?»

«Tutto bene» rispose lei. Al suono della sua voce vi furono minuscoli fruscii, e qualcosa, all'interno di un pianoforte, fece udire alcune note alte.

I fari della Plymouth le illuminavano le gambe fino al polpaccio.

«Ha trovato il piano, agente Starling» disse il signor Yow.

«Non ero io.»

«Oh.»

La macchina era grande, alta e lunga. Una berlina Packard del 1938, secondo l'inventario di Yow. Era coperta da un tappeto, con il pelo all'interno. Clarice vi fece scorrere sopra la luce della lampada tascabile.

«È stato lei a mettere il tappeto, signor Yow?»

«Ho trovato la macchina così e non l'ho mai scoperta» rispose l'avvocato attraverso la porta. «Non potrei spostare un tappeto impolverato. Era stato Raspail a sistemare tutto. Io mi sono limitato ad assicurarmi che la macchina ci fosse. I miei traslocatori hanno messo il piano contro il muro, l'hanno coperto, hanno ammucchiato altri scatolom accanto alla macchina e se ne sono andati. Li pagavo un tanto all'ora. Gli scatoloni contengono soprattutto fogli di musica e libri.»

Il tappeto era pesante; e quando Clarice Starling lo tirò, una nube di polvere si alzò nel fascio di luce della lampada, facendola starnutire due volte. Si alzò in punta di piedi per sollevare il tappeto sulla fiancata della vecchia automobile. Le tendine dei finestrini posteriori erano tirate. La maniglia della portiera era coperta di polvere. Dovette sporgersi al di sopra degli scatoloni per toccarla. Riuscì ad arrivare all'estremità e cercò di abbassarla: era chiusa a chiave, e non c'era una serratura nella portiera posteriore. Avrebbe dovuto spostare parecchi scatoloni per raggiungere la portiera anteriore e c'era pochissimo spazio per sistemarli. Scorse un piccolo varco fra la tendina e la cornice del finestrino posteriore.

Clarice si protese sopra le scatole per accostare l'occhio al vetro e fece filtrare il fascio di luce nella fenditura. Riuscì a scorgere solo la propria immagine riflessa, fino a quando coprì con la mano la parte superiore della lampada. Un filo di luce, diffuso dal vetro polveroso, si mosse sul sedile. C'era un album aperto. I colori erano fiochi nella poca luce, ma Clarice scorse i biglietti incollati sulle pagine. Erano vecchi biglietti di san Valentino, ornati di pizzi di carta.

«Mille grazie, dottor Lecter.» Quando parlò, il suo alito sollevò la polvere sul bordo del finestrino e appannò il vetro. Non voleva pulirlo, e dovette attendere che tornasse a schiarirsi. La luce continuò a muoversi, su un plaid caduto sopra il tappetino della macchina e sul luccichio polveroso di un paio di scarpe di vernice da uomo. Un paio di scarpe da sera. Sopra le scarpe, calzini neri, e sopra i calzini c'erano i pantaloni da smoking, con due gambe dentro.

Nessunoèentratoquidacinque anni... Calma, calma, piccola.

«Oh, signor Yow! Mi sente, signor Yow?»

«Sì, agente Starling?»

«Signor Yow, sembra che in macchina sia seduto qualcuno.»

«Oh, santo cielo! È meglio che venga fuori, signorina Starling.»

«Non subito. Lei mi aspetti lì, per favore.»

Adesso è importante pensare. E molto più importante dì tutte le sciocchezze che confiderai al tuo cuscino per il resto della tua vita. Respira profondamente e non sbagliare. Non voglio distruggere le prove. Ho bisogno d'aiuto. Ma soprattutto non voglio dare un falso allarme. Se chiamo l'ufficio dì Baltimora e i poliziotti corrono qui per niente, sono fregata. Ho visto qualcosa che sembra un paio di gambe. Il signor Yow non mi avrebbe condotta qui se avesse saputo che c'era uno stecchito in macchina. Clarice riuscì a sorridere. "Stecchito"... era una spavalderia. Nessuno è stato più qui dopo l'ultima visita di Yow. D'accordo, significa che gli scatoloni sono stati portati dopo quello che c'è dentro alla macchina. E questo vuol dire che posso spostare le scatole senza perdere niente d'importante.

«Tutto a posto, signor Yow?»

«Sì. Dobbiamo chiamare la polizia oppure basta lei, agente Starling?»

«Questo dovrò scoprirlo. Continui ad aspettare lì, per favore.»

Il problema degli scatoloni era esasperante quanto il cubo di Rubik. Clarice cercò di lavorare tenendo la torcia elettrica sotto il braccio, la fece cadere due volte e alla fine la piazzò sopra la macchina. Doveva mettere gli scatoloni alle sue spalle, e alcuni dei più piccoli, quelli con i libri, poteva infilarli sotto l'automobile. Un morso di ragno o forse una scheggia le faceva dolere il pollice.

Adesso riusciva a vedere attraverso il vetro polveroso del finestrino anteriore, dalla parte del passeggero. Un ragno aveva intessuto la tela tra il grande volante e la leva del cambio. Il vetro divisorio tra la parte anteriore e quella posteriore era chiuso.

Clarice si rammaricava di non aver pensato a oliare la chiave della Packard prima di passare sotto la porta: ma quando la inserì nella serratura, funzionò.

C'era spazio soltanto per aprire la portiera per circa un terzo, nello stretto varco: batté contro gli scatoloni con un tonfo che fece fuggire i topi e strappò altre note al pianoforte. Un odore stantio di putredine e di sostanze chimiche uscì dalla macchina e colpì la memoria di Clarice, evocando un luogo che non avrebbe saputo nominare.

Si sporse all'interno, aprì il divisorio dietro il sedile dello chauffeur e puntò il fascio di luce della torcia elettrica nel compartimento posteriore.

La luce inquadrò per prima cosa una camicia con i bottoni lucidi, salì verso la faccia che non c'era, ridiscese, sui bottoni della camicia e i risvolti di raso, fino ai calzoni con la lampo aperta, risalì alla cravatta a farfalla e al colletto dal quale emergeva il collo bianco di un manichino. Ma sopra il collo qualcosa d'altro rifletteva la poca luce. Era un cappuccio di stoffa nera al posto della testa, grande come se coprisse una gabbia per pappagalli. Velluto, pensò Clarice Starling. Era appoggiato su un ripiano di compensato che si estendeva dal lunotto fin sopra il collo del manichino.

Clarice scattò diverse fotografie dal sedile anteriore, scegliendo le inquadrature con la torcia elettrica e chiudendo gli occhi per non restare abbagliata dal flash. Si raddrizzò, ritraendosi dalla macchina. E così, al buio, infradiciata e coperta di ragnatele, pensò a ciò che doveva fare.

Non avrebbe chiamato l'agente speciale responsabile dell'ufficio di Baltimora per mostrargli un manichino con i calzoni aperti e un album di biglietti di san Valentino.

Quando ebbe deciso di infilarsi sul sedile posteriore e di togliere il cappuccio, preferì non stare a pensare a lungo. Tese il braccio attraverso il divisorio, sbloccò la portiera posteriore, spostò qualche scatolone per poterla aprire. Le sembrò che la manovra richiedesse molto tempo. L'odore che usciva dal compartimento posteriore divenne molto più forte, quando aprì. Si sporse, sollevò cautamente per gli angoli l'album dei biglietti, lo posò su uno dei sacchetti per raccogliere le prove che aveva messo sul tettuccio della macchina. Aprì un altro sacchetto sul sedile.