I vicesceriffo la sbirciarono di straforo mentre passava. Uno mormorò «Signora...» Clarice rivolse loro un cenno e un sorriso di circostanza mentre proseguiva per raggiungere Crawford sotto il portico.
Quando fu abbastanza lontana, uno dei giovani aiutanti dello sceriffo, uno sposino novello, si grattò il mento e disse: «Non mi sembra in gamba come crede di essere».
«Be', ma se crede di essere maledettamente carina, devo darle ragione» disse l'altro giovane. «A me non dispiacerebbe per niente.»
«Io preferirei un cocomero bello grosso, se fosse fresco» disse il più anziano, quasi tra sé.
Crawford stava già parlando con il vice caposceriffo, un uomo piccoletto e teso che portava occhiali dalla montatura d'acciaio e quegli stivali con gli elastici ai lati che i cataloghi chiamano "Romeos".
Erano entrati nel corridoio semibuio, dove ronzava un distributore automatico di Coca-Cola, e contro le pareti erano appoggiati oggetti d'ogni genere... una macchina per cucire a pedali, un triciclo, un rotolo d'erba artificiale e un tendone a righe avvolto intorno ai pali. Alla parete c'era una stampa color seppia di santa Cecilia seduta all'organo. La santa aveva i capelli intrecciati a corona intorno alla testa e dal cielo piovevano rose.
«Le sono grato di averci informati con tanta prontezza, sceriffo» disse Crawford.
Il vice caposceriffo non abboccò. «È stato uno dell'ufficio del procuratore distrettuale a telefonare» disse. «So che lo sceriffo non vi ha chiamati di sicuro... in questo momento lo sceriffo Perkins è in viaggio alle Hawaii con la moglie. Gli ho parlato per interurbana stamattina alle otto, cioè alle tre di notte per le Hawaii. Mi chiamerà lui più tardi, ma mi ha detto che la cosa più importante è scoprire se è una delle ragazze della zona. Può darsi che ce l'abbia scaricata qualche elemento forestiero. È quello che cercheremo dì accertare prima di ogni altra cosa. Abbiamo dovuto portare qui tanti cadaveri fin da Phenix City, nell'Alabama.»
«In questo possiamo aiutarla, sceriffo. Se...»
«Ho telefonato al comandante dei servizi esterni della polizia di stato, a Charleston. Manderà qualcuno della Sezione Indagini Criminali... la CIS. Ci daranno tutto l'appoggio che ci occorre.» Il corridoio si stava riempiendo di aiutanti dello sceriffo e di agenti statali; il vice capo aveva un pubblico troppo numeroso. «Ci occuperemo di voi appena potremo, e faremo tutto il possibile, però in questo memento...»
«Sceriffo, questo tipo di delitto sessuale ha certi aspetti che preferirei discutere tra noi uomini... capisce cosa intendo?» chiese Crawford accennando alla presenza di Clarice Starling con un lieve movimento della testa. Condusse l'altro in un piccolo ufficio e chiuse la porta. Clarice rimase là, a dover nascondere l'irritazione davanti agli altri. Strinse i denti; osservò santa Cecilia e ne ricambiò il sorriso etereo mentre si sforzava di ascoltare attraversò la porta. Sentì un suono di voci concitate, quindi frammenti di una conversazione telefonica. I due ritornarono nel corridoio meno di quattro minuti dopo.
Il vice capo strinse le labbra. «Oscar, va' a chiamare il dottor Akin, di là nella cappella. È tenuto più o meno ad assistere ai servizi funebri, ma non credo che abbiano ancora cominciato. Digli che abbiamo Claxton in linea.»
Il coroner, dottor Akin, entrò nell'ufficio e si piazzò con un piede su una sedia, battendosi sugli incisivi un ventaglietto del Buon Pastore durante il breve colloquio telefonico con il medico legale di Claxton. Poi si mostrò molto arrendevole.
E così, nella sala delle imbalsamazioni con la tappezzeria a rose centifo-lie e una modanatura dipinta sotto l'alto soffitto, in una candida casa di legno d'un tipo che conosceva bene, Clarice Starling incontrò per la prima volta una prova diretta delle imprese di Buffalo Bill.
Il sacco di plastica verde vivo che conteneva il cadavere era l'unico oggetto moderno nella stanza. Era disteso su un antiquato tavolo di porcellana da imbalsamatore, che si specchiava nei vetri degli armadietti dove stavano i trequarti e le confezioni di Rock-Hard Cavity Fluid.
Crawford tornò alla macchina per prendere la trasmittente delle impronte digitali mentre Clarice sistemava la sua attrezzatura sul piano di scolo di un grosso lavello doppio.
C'era troppa gente. Diversi aiutanti dello sceriffo e il vice capo erano entrati con loro e non mostravano nessuna intenzione di andarsene. Non era giusto. Perché Crawford non arrivava e si sbarazzava di loro?
La carta da parati ondeggiò leggermente in uno spiffero e ondeggiò di nuovo verso l'interno quando il dottore mise in funzione il grosso ventilatore polveroso.
Clarice Starling, che adesso era accanto al lavello, aveva bisogno d'un modello di coraggio più grande di quello necessario a un marine per lanciarsi con il paracadute. L'immagine le balzò alla mente e l'aiutò... ma nel
lo stesso tempo la ferì.
Sua madre, davanti all'acquaio, mentre lavava il sangue dal cappello di suo padre... faceva scorrere l'acqua fredda sul cappello e diceva: ”Ce la caveremo, Clarice. Di' a tuo fratello e a tua sorella di lavarsi e di venire a tavola. Dobbiamo parlare, e poi prepareremo la cena”.
Clarice si tolse la sciarpa e se la legò sui capelli come una levatrice di montagna. Prese dall'astuccio un paio di guanti chirurgici. Quando aprì la bocca, per la prima volta da quando era a Potter, la sua voce aveva un accento più spiccato, così nitido che Crawford si fermò sulla soglia per ascoltare. «Signori. Signori! Ascoltatemi un momento. Per favore. Lasciatela a me.» Alzò le mani per infilare i guanti. «Dobbiamo fare certe cose. Voi l'avete portata qui, e sono sicura che i suoi vi ringrazierebbero, se potessero. Adesso, vi prego, uscite e lasciate che sia io a occuparmi di lei.»
Crawford li vide diventare di colpo rispettosi, incitarsi reciprocamente a voce bassa: «Vieni, Jess, usciamo in cortile». Si accorse che l'atmosfera era cambiata dalla presenza della morte; qualunque fosse il luogo di provenienza della vittima, e chiunque fosse, il fiume l'aveva portata lì, e finché giaceva impotente in quella stanza, Clarice Starling aveva con lei un rapporto speciale. Crawford si rese conto che in quel luogo Clarice era l'erede delle sagge nonne, delle guaritrici, delle erboriste, le solide campagnole che hanno sempre fatto quanto è necessario, che fanno la veglia e poi, quando finiscono, lavano e vestono i morti delle campagne.
Poi rimasero con la vittima soltanto Crawford, Clarice e il dottore. Il dottor Akin e Clarice si scambiarono un'occhiata, come se si riconoscessero. Entrambi erano stranamente compiaciuti e nel contempo sembravano stranamente intimiditi.
Crawford prese dalla tasca un barattolo di Vicks Vaporub e l'offrì in giro. Clarice attese per vedere cosa doveva fare; e quando Crawford e il dottore si spalmarono un po' d'unguento intorno alle narici, li imitò.
Prese le macchine fotografiche dalla borsa dell'attrezzatura che aveva posato sul lavello, voltando le spalle al tavolo. Sentì scorrere la lampo del sacco che conteneva il cadavere.
Batté le palpebre fissando le rose centifolie della tappezzeria, trasse un respiro profondo ed espirò. Si voltò e guardò il corpo sul tavolo.
«Avrebbero dovuto infilarle le mani nei sacchetti di carta» disse. «Lo farò io quando avremo finito.» Meticolosamente, regolando la macchina automatica fotografò il corpo.
La vittima era una giovane donna dai fianchi larghi, lunga 167 centimetri secondo il metro a nastro di Clarice. L'acqua l'aveva fatta diventare grigia dove la pelle era stata asportata: ma si era trattato di acqua fredda, e chiaramente non c'era rimasta immersa per molti giorni. Il corpo era stato scuoiato da una linea netta appena al di sotto del seno fino alle ginocchia: all'incirca l'area che sarebbe stata coperta dai calzoni e dalla fascia di un torero.
I seni erano piccoli: e in mezzo, sopra lo sterno, spiccava la causa apparente della morte, una ferita irregolare a forma di stella, larga quanto una mano.