«No, non sono armata.»
«Posso guardare nella borsetta e nella cartella?»
«Ha visto le mie credenziali.»
«E le credenziali dicono che è un'allieva. Mi faccia dare un'occhiata, prego.»
Clarice Starling trasalì quando il primo dei pesanti cancelli d'acciaio si chiuse con un tonfo alle sue spalle e la serratura scattò. Chilton la precedeva di qualche passo lungo il corridoio verde, in un'atmosfera di lisoformio e di rumori lontani di porte sbattute. Clarice era irritata con se stessa perché aveva lasciato che Chilton mettesse le mani nella borsetta e nella cartella, e si sforzava di reprimere la collera per potersi concentrare. Sentiva la solidità del proprio autocontrollo, come un fondale di ghiaia in una corrente rapida.
«Lecter è una seccatura considerevole» disse Chilton girando leggermente la testa. «Un inserviente impiega almeno dieci minuti al giorno per togliere i punti metallici dalle pubblicazioni che riceve. Abbiamo cercato di eliminare o almeno di ridurre i suoi abbonamenti, ma ha presentato un reclamo e il tribunale gli ha dato ragione. Una volta riceveva una montagna di lettere. Per fortuna la posta è diminuita da quando è stato messo nell'ombra da altri mostri che si sono accaparrati l'interesse della stampa. Per qualche tempo sembrava che tutti gli studenti impegnati a preparare una tesi in psicologia volessero includere un parere di Lecter. Le riviste mediche lo pubblicano ancora, ma lo fanno per il valore scandalistico della firma.»
«Ha pubblicato un buon pezzo sull'assuefazione alla chinirgia nel "Journal of Clinical Psychiatry"» disse Clarice. «Almeno mi è sembrato.»
«Ah, sì? Noi abbiamo tentato di studiare Lecter. Pensavamo che fosse l'occasione buona per effettuare uno studio da far epoca... Capita così raramente di averne uno vivo.»
«Uno di che cosa?»
«Un sociopatico puro: e lui ovviamente lo è. Ma è impenetrabile, troppo sofisticato per i test abituali. E poi, santo cielo, ci odia. Pensa che io sia la sua nemesi. Crawford è molto abile... no?... a servirsi di lei con Lecter.»
«Cosa vorrebbe dire, dottor Chilton?»
«Una giovane donna per "accenderlo"... penso si dica così. Non credo che Lecter abbia più visto una donna da diversi anni... forse ha intravisto una delle addette alle pulizie. In genere, teniamo le donne fuori di qui.
Causano disordine.»
Oh, Chilton, vai al diavolo. «Mi sono laureata con lode all'Università della Virginia, dottore. Non è una scuola per indossatrici.»
«Allora dovrebbe ricordare le regole. Non infili le mani attraverso le sbarre, anzi non tocchi le sbarre. Non gli passi altro che carta morbida. Niente penne né matite. Lui ha i suoi pennarelli, anche se non sempre. Nella carta che gli passa non debbono esserci spilli, punti metallici o fermagli. Gli oggetti gli vengono passati esclusivamente attraverso il portavivande scorrevole, ed escono esclusivamente nello stesso modo. Non sono ammesse eccezioni. Se lui le tende qualcosa attraverso la barriera, non l'accetti. Ha capito?»
«Ho capito.»
Avevano varcato altri due cancelli e s'erano lasciati indietro la luce naturale. Ormai avevano superato i reparti dove i ricoverati potevano stare insieme, e si stavano avventurando nel settore dove non possono esserci finestre e dove i ricoverati non stanno insieme. Le lampade del corridoio erano protette da grate pesanti, come quelle nelle sale macchine delle navi. Il dottor Chilton si fermò sotto una di queste. Quando il suono dei loro passi cessò, Clarice Starling sentì, al di là del muro, lo smorzarsi spezzato di una voce rovinata dal troppo urlare.
«Lecter non esce mai dalla cella senza la camicia di forza e un bavaglio» disse Chilton. «Le spiegherò il perché. Durante il primo anno era stato un modello di cooperazione. Le misure di sicurezza vennero un po' allentate... Questo succedeva durante la precedente amministrazione, capisce? Il pomeriggio dell'8 luglio 1976 si lamentò di un dolore al petto e fu portato nel dispensario. Gli tolsero la camicia di forza per fargli l'elettrocardiogramma. Quando l'infermiera si chinò su di lui, la ridusse così.» Chilton porse a Clarice una fotografia sciupata. «I dottori riuscirono a salvarle un occhio. Lecter rimase collegato ai monitor durante l'intero episodio. Le spezzò la mascella per strapparle la lingua, e il suo polso non salì mai oltre ottanta-cinque, neppure quando la inghiottì.»
Clarice Starling non sapeva che cosa fosse peggio... la fotografia oppure l'attenzione di Chilton che la scrutava in viso con occhi avidi. Le dava l'impressione di un pulcino assetato che le beccasse le lacrime dalla faccia.
«Lo tengo qui» disse Chilton, e premette un pulsante accanto a una doppia porta di vetro infrangibile. Un inserviente grande e grosso li fece entrare.
Clarice prese la difficile decisione e varcò la soglia. «Dottor Chilton, abbiamo bisogno dei risultati dei test. Se Lecter la considera un nemico... se è fissato su di lei, come ha detto, potremo avere più fortuna qualora l'affrontassi da sola. Cosa ne pensa?»
Un tic fece fremere la guancia di Chilton. «Per me va bene. Avrebbe potuto suggerirlo nel mio ufficio. Avrei mandato con lei un inserviente e avrei risparmiato tempo.»
«Probabilmente l'avrei suggerito se mi avesse fornito subito le istruzioni.»
«Non credo che la rivedrò più, signorina Starling... Barney, quando avrà finito con Lecter, suona e chiama qualcuno che l'accompagni fuori.»
Chilton se ne andò senza degnarla di un'altra occhiata.
Adesso erano rimasti soltanto l'inserviente grande e grosso e impassibile, l'orologio silenzioso dietro di lui e l'armadietto con le ante a rete dove stavano il Mace e la camicia di forza, il bavaglio e la pistola che sparava tranquillanti. Su un supporto a muro c'era un lungo tubo di cui un'estremità terminava a U per bloccare il detenuto in caso di violenza.
L'inserviente la guardò. «Il dottor Chilton le ha detto di non toccare le sbarre?» La voce era alta e roca. Clarice pensò che le ricordava Aldo Ray.
«Sì, me l'ha detto.»
«Bene. È dopo tutti gli altri, l'ultima cella a destra. Quando passa si tenga al centro del corridoio e non dia ascolto a nessuno. Può portargli la posta, così partirà con il piede giusto.» L'inserviente sembrava divertito. «Basta che la metta sul vassoio e spinga. Se il vassoio è all'interno, può tirarlo con il cordone, oppure lo manderà Lecter. Non può arrivare fino a lei nel punto dove il vassoio si ferma all'esterno.» Le diede due riviste con le pagine sciolte, tre giornali e diverse lettere già aperte.
Il corridoio era lungo una trentina di metri, con le celle sui due lati. Alcune erano celle imbottite con uno spioncino al centro della porta, lunghe e strette come feritoie. Altre erano comuni celle di prigione, con una parete di sbarre che si apriva sul corridoio. Clarice Starling vedeva le figure nelle celle, ma cercava di non guardarle. Era arrivata a metà del percorso quando una voce sibilò: «Sento l'odore della tua fica». Lei non diede segno di aver sentito e proseguì.
Nell'ultima cella le luci erano accese. Clarice si portò verso il lato sinistro del corridoio per vedere nell'interno mentre si avvicinava. Sapeva che il suono dei tacchi aveva annunciato la sua visita.
La cella del dottor Lecter è al di là delle altre: di fronte c'è soltanto uno sgabuzzino. Ed è unica sotto altri aspetti. C'è una parete di sbarre: ma all'interno di quella, a una distanza maggiore della lunghezza di un braccio umano, ce n'è una seconda, una solida rete di nailon che va dal pavimento al soffitto e da muro a muro. Al di là della rete, Clarice scorse un tavolo imbullonato al pavimento, carico di libri in brossura e di fogli, e una sedia, imbullonata anche quella.