Nel momento in cui lui posò il biglietto da visita sul tavolo, la falena spiccò il volo. Gli passò sopra la testa e si posò tra loro, su un pensile sopra il lavello.
Gumb la guardò. Quando si accorse che la visitatrice non la guardava, che non distoglieva gli occhi da lui, comprese.
I loro occhi s'incontrarono. Ognuno dei due seppe chi era l'altro.
Jame Gumb inclinò leggermente la testa. Sorrise. «Ho un telefono in dispensa. Vado a prenderlo.»
No! agisci. Clarice prese la pistola, con un movimento fluido che aveva eseguito quattromila volte, e tutto fu come doveva essere: una solida presa a due mani, la concentrazione più assoluta sul mirino e sul centro del petto dell'uomo. «Fermo.»
Gumb sporse le labbra.
«E adesso alzi le mani. Lentamente.»
Fallo uscire, e tieni il tavolo tra di voi. Fallo passare dall'ingresso principale. Ordinagli di sdraiarsi a faccia in giù sulla strada e mostra il distintivo.
«Signor Gub... signor Gumb, lei è in arresto. S'incammini lentamente davanti a me, ed esca.»
E lui, invece, uscì dalla stanza. Se si fosse portato la mano alla tasca o l'avesse tesa all'indietro, se Clarice avesse visto un'arma, forse avrebbe sparato. Ma lui uscì semplicemente dalla stanza.
Lo sentì scendere in fretta la scala della cantina. Girò intorno al tavolo e arrivò alla porta in cima ai gradini. Era sparito, e la tromba delle scale era illuminata e vuota. Una trappola. Lei era un bersaglio facile in quel punto.
Poi dalla cantina giunse un urlo, sottile come un foglio di carta.
La scala non era sicura... non era sicura, ma Clarice Starling era arrivata
a un momento decisivo.
Catherine Martin urlò di nuovo. La sta uccidendo... Clarice Starling si decise a scendere comunque, con una mano sulla ringhiera, il braccio proteso, la pistola appena al di sotto della linea della visuale, il piano inferiore che balzava al di sopra del mirino, poi il braccio che si muoveva seguendo la testa, mentre cercava di coprire le due porte l'una di fronte all'altra e aperte in fondo alla scala.
Le luci brillavano nella cantina. Non poteva varcare una porta senza voltare le spalle all'altra. Doveva fare in fretta, girare a sinistra verso l'urlo. Entrò nella camera della segreta, superò la soglia e spalancò gli occhi. L'unico posto per nascondersi era dietro il pozzo. Girò di sbieco intorno alla parete stringendo la pistola con entrambe le mani, a braccia tese, esercitò una leggera pressione sul grilletto, girò intorno al pozzo. Dietro non c'era nessuno.
Un grido salì dal pozzo come uno sbuffo di fumo. Poi un guaito. Un cane. Si avvicinò con gli occhi fissi alla porta, si affacciò all'apertura. Vide la ragazza, rialzò lo sguardo, guardò di nuovo in basso e disse ciò che le avevano insegnato a dire per tranquillizzare l'ostaggio.
«FBI. È salva.»
«Salva un corno, MERDA, lui ha una pistola. Mi tiri fuori. MITIRIFUORI.»
«Catherine, andrà tutto bene. Non gridi. Sa dov'è lui?»
«MI FACCIA USCIRE, NON MI FREGA NIENTE DI DOV'È LUI. MITIRIFUORI!»
«La tirerò fuori. Stia calma. Mi aiuti. Stia zitta, così potrò sentire. E cerchi di far star zitto il cane.»
Clarice era trincerata dietro il pozzo e teneva di mira la porta. Il cuore le batteva forte, il suo respiro faceva volar via la polvere dalla pietra. Non poteva lasciare Catherine Martin per chiedere aiuto quando non sapeva dove fosse Gumb. Si accostò alla porta e si riparò dietro lo stipite. Riusciva a vedere al di là della base della scala, e una parte del laboratorio.
Doveva trovare Gumb, o accertarsi che fosse fuggito, oppure avrebbe dovuto portare Catherine fuori di lì. Erano le uniche possibilità. Lanciò una rapida occhiata alle sue spalle, dentro la camera della segreta.
«Catherine. Catherine. C'è una scala a pioli?»
«Non lo so. Quando sono rinvenuta ero quaggiù. Lui calava un secchio con uno spago.»
A una trave del muro era imbullonato un piccolo argano a mano. Ma non
c'era corda sul rullo.
«Catherine, devo trovare qualcosa per tirarla fuori. È in grado di camminare?»
«Sì. Non mi abbandoni.»
«Dovrò lasciare questa camera per un minuto.»
«Carogna maledetta, se mi lascia quaggiù, mia madre la farà a pezzi...»
«Catherine, stia zitta. Voglio che taccia, così potrò sentire. Se vuole salvarsi stia zitta, ha capito?» Poi, a voce più alta: «Gli altri agenti arriveranno da un momento all'altro, quindi taccia. Non la lasceremo certo lì sotto».
Gumb doveva avere una corda. Dov'era? L'unica cosa era andare a cercarla.
Clarice Starling attraversò di corsa l'atrio delle scale arrivò alla porta del laboratorio... la porta era il posto peggiore, doveva entrare in fretta e muoversi avanti e indietro lungo il muro più vicino fino a quando avesse visto tutta la stanza, con le forme riconoscibili che galleggiavano nei serbatoi di vetro. Era troppo tesa per sgomentarsi. Attraversò il laboratorio, passò oltre le vasche, i lavelli, la gabbia, le falene che volavano. Le ignorò.
Si avvicinò al corridoio in fondo. Sfolgorava di luce. Il frigorifero si mise in funzione dietro di lei; si girò acquattandosi, alzò il cane della Ma-gnum, allentò la pressione. Proseguì nel corridoio. Non le avevano insegnato a sbirciare. Doveva sporgere la testa e la pistola contemporaneamente, ma tenendosi bassa. Il corridoio era vuoto. In fondo, lo studio era un mare di luce. Avanzò quasi correndo oltre la porta chiusa, fino all'entrata dello studio. La stanza era tutta bianca, con i pannelli di quercia bionda. Era difficile valutare la situazione dalla soglia. Doveva assicurarsi che ogni immagine riflessa fosse l'immagine di un manichino, che l'unico movimento negli specchi fosse il suo.
Il grande armoire era aperto e vuoto. La porta più lontana era spalancata sull'oscurità della cantina. Niente corde, niente scale a pioli. E niente luci, al di là dello studio. Clarice Starling chiuse la porta che dava sulla zona buia della cantina, spinse una sedia sotto la maniglia e la macchina per cucire contro la sedia. Se avesse potuto avere la certezza che Gumb non si trovava in quel tratto di cantina, avrebbe potuto arrischiarsi a salire per un momento in cerca del telefono.
Indietro, lungo il corridoio, c'era una porta che aveva superato all'andata. Doveva portarsi sul lato opposto ai cardini e spalancarla con un unico movimento. La porta si aprì, sbattè. Dietro non c'era niente. Era un vecchio bagno, e c'erano una corda, alcuni ganci, un'imbracatura. Doveva andare a far uscire Catherine, o cercare il telefono? In fondo al pozzo, Catherine non avrebbe corso il rischio di venire colpita per caso. Ma se Clarice Starling fosse stata uccisa, anche per l'ostaggio sarebbe stata la fine. Doveva condurre Catherine al telefono con sé.
Clarice Starling non voleva rimanere a lungo nel bagno. Lui poteva arrivare alla porta e sparare. Guardò a destra e a sinistra ed entrò per prendere la corda. C'era una grande vasca. La vasca era quasi piena di gesso indurito, rosso-purpureo. Dal gesso spuntavano una mano e un polso. La mano era diventata scura e raggrinzita, e le unghie erano laccate di rosa. Il polso era cinto da un grazioso orologio. Clarice Starling vedeva tutto contemporaneamente, la corda, la vasca, la mano, l'orologio.
Il movimento lentissimo della lancetta dei secondi fu l'ultima cosa che vide prima che le luci si spegnessero.
Il cuore le batteva così forte da farle tremare il petto e le braccia. La tenebra le dava le vertigini; sentiva il bisogno di toccare qualcosa, il bordo della vasca. Il bagno. Doveva uscire dal bagno. Se Gumb avesse trovato la porta avrebbe potuto crivellare la stanza di proiettili, non c'era niente per nascondersi. Oh, Gesù, doveva uscire. Doveva acquattarsi e uscire nel corridoio. Erano spente tutte le luci? Sì, tutte. Doveva essere andato all'interruttore generale, doveva aver abbassato la leva. Dove poteva essere? Dove? Vicino alle scale. Quasi sempre si trova vicino alle scale. Se è così, lui verrà da quella direzione. Ma è tra me e Catherine.