Entrarono, la casa non aveva il solito gelo da mal di testa dell’aria condizionata, ma una temperatura perfetta.
«Questo sistema di aria condizionata…» cominciò Ramírez.
«Non è aria condizionata, Inspector», lo interruppe Ortega, «ma un impianto di climatizzazione perfetto.»
«Allora nel suo studio dovrebbe piovere, signor Ortega.»
«Posso offrirle da bere, Inspector?» domandò Ortega, disorientato.
«Non credo», rispose Ramírez, «non ci fermeremo a lungo.»
«Lei, Inspector Jefe? Un whisky di malto? Ho perfino del Laphroaig.»
Falcón sussultò: era il suo whisky preferito, e in casa gliene era rimasto ancora molto, intatto. I suoi gusti non erano così eclettici. Scosse la testa.
«Vi dispiace se bevo da solo?» si scusò Ortega.
«Questa è casa sua», disse Ramírez. «Non faccia complimenti.»
Ortega si versò un whisky meno pregiato sul ghiaccio e alzò il bicchiere guardando i due poliziotti, che erano soddisfatti nel vederlo nervoso. Ortega prese il telecomando con cui regolava la climatizzazione e fece per spiegarne il raffinato funzionamento a Ramírez, che lo interruppe subito.
«Noi non sappiamo perdere, signor Ortega», disse.
«Prego?»
«Non sappiamo perdere nemmeno un po’, non ci piace vedere tutto il nostro lavoro ben fatto andare sprecato.»
«Lo capisco», convenne Ortega, cercando di nascondere la sua apprensione per la presenza incombente e aggressiva del poliziotto.
«Che cosa capisce, signor Ortega?» intervenne Falcón.
«Il vostro lavoro deve essere frustrante, a volte.»
«Come mai lo pensa?» gli domandò Falcón.
Ora che aveva capito che aria tirava, anche l’atteggiamento di Ortega si fece ostile. Li guardava con sufficienza, come se fossero due patetici campioni di umanità.
«Il sistema della giustizia non sta certo nelle mie mani», ribatté. «Non sta a me decidere quale caso debba essere portato in tribunale e quale no.»
Ramírez gli strappò il telecomando di mano, osservò la miriade di tasti e lo gettò sul divano.
«Che ne dice di quei due ragazzini che abbiamo trovato sepolti alla finca di Almonaster la Real?» gli domandò Ramírez. «Che cosa ci può dire di loro?»
Falcón vide con sgomento il sorrisetto di Ortega. Quell’uomo aveva capito finalmente quale fosse il problema, ora sapeva di essere al sicuro, ora si sarebbe divertito davvero.
«Che cosa posso dire di loro?» ripeté in tono pacato.
«Come sono morti, signor Ortega?» riprese Ramírez. «Sappiamo che lei è intoccabile su questa faccenda, ma, come ho detto, noi non sappiamo perdere e ci piacerebbe tanto che lei ci dicesse quest’unica cosa.»
«Non so di che cosa stia parlando, Inspector.»
«Possiamo indovinare come è andata», disse Falcón, «ma vorremmo avere una conferma sul modo in cui sono morti e chi li ha seppelliti.»
«Nessuna trappola», lo rassicurò Ramírez, mostrandogli le mani aperte, «lei è al sicuro dalle trappole, non è vero, signor Ortega?»
«E ora vorrei che ve ne andaste, grazie mille», disse Ortega, voltando loro le spalle.
«Ce ne andremo non appena ci avrà detto quello che vogliamo sapere.»
«Non avete assolutamente nessun diritto di entrare in casa mia…»
«Ci ha invitato lei a entrare, signor Ortega,», gli fece notare Falcón.
«Quando ce ne saremo andati, vada pure a lamentarsi con i suoi amici altolocati», disse Ramírez. «Probabilmente potrebbe farci destituire, sospendere senza stipendio, cacciare dal corpo… con tutte le conoscenze importanti che ha!»
«Fuori!» esclamò Ortega, girandosi verso di loro, ringhiando.
«Ci dica come sono morti», insistette Falcón.
«Non ce ne andremo finche non l’avrà fatto», annunciò Ramírez allegramente.
«Si sono suicidati», disse Ortega.
«Come?»
«Il ragazzo ha strangolato la ragazza e poi si è tagliato le vene dei polsi con un pezzo di vetro.»
«Quando?»
«Otto mesi fa.»
«Chi li ha sepolti?»
«È stato mandato qualcuno a farlo.»
«Immagino che siano bravi a scavare fosse, i contadini russi», osservò Ramírez. «Tu quando è stata l’ultima volta che hai scavato un buco?»
Ramírez si era avvicinato a Ortega. Gli afferrò una mano. La sentì molle. Lo guardò dritto in faccia.
«Lo sapevo. Nessuna traccia di coscienza… ma forse, col tempo, le cose cambieranno.»
«Vi ho detto quello che volevate sapere, ora andateneve.»
«Andiamo via subito», assicurò Falcón.
Ramírez tirò fuori dalla tasca un paio di manette e le fece scattare intorno al polso della mano che stava ancora tenendo nella sua. Falcón tolse il bicchiere di whisky dall’altra, poi Ramírez gliele unì insieme dietro la schiena, concludendo con una pacca sulle spalle.
«Siete finiti tutti e due», disse Ortega. «Lo sapete bene.»
«La dichiaro in arresto», spiegò Falcón, «per violenze sessuali ripetute su suo figlio, Salvador Ortega, e su suo nipote, Sebastián Ortega…»
Davanti al volto sorridente di Ignacio Ortega, Falcón lasciò la frase a metà.
«Davvero pensate che un eroinomane e un disgraziato che è stato condannato per sequestro di persona e violenza sessuale su un bambino possano avere qualche possibilità di far finire me in galera?»
«Le cose sono cambiate», lo informò Falcón mentre Ramírez posava la mano sulla testa di Ortega. «Abbiamo voluto che avesse ben presenti i bambini della finca per farle capire che lei è stato appena toccato da mani scomparse.»
EPILOGO
Falcón era seduto fuori dalla Bodega de Albariza in Calle Bétis, davanti a una birra e a una tapa di acciughe fritte. Il caldo era diminuito e la gente affollava il lungofiume. Falcón aveva rinunciato alla solita sosta sul Puente de Isabel II, che gli ricordava troppo da vicino momenti dolorosi e intrusioni di fotografi. Il fiume non era più un girone infernale di sconosciuti che si torcevano le mani, ma ciò che era sempre stato, la forza vitale della città. Ora, seduto al tavolino del locale accanto ad altra gente che mangiava e beveva, osservava coppie di tutte le età baciarsi mentre passeggiavano al sole, uomini e donne che correvano o andavano in bicicletta lungo la doppia pista sulla sponda opposta. Ordinò un’altra birra e un piatto di chipirones, minuscoli calamaretti.
Due cose di quell’ultima, torrida, settimana di luglio continuavano a disturbarlo. La prima riguardava Mario, il figlio di Rafael Vega e la risposta che lui, Javier, aveva dato alla domanda del Juez Calderón: che cosa non sopporterebbe che suo figlio sapesse di lei? Ricordava la pietà provata per Mario quando era stato bruscamente trascinato nella sua nuova famiglia. Avrebbe voluto che il bambino sapesse, non ora, ma un giorno, che il suo mostruoso padre, Rafael Vega, era stato restituito all’umanità dall’amore e dal dolore. Aveva affrontato la sua coscienza e ne era stato tormentato, era morto con il desiderio che qualcosa di buono venisse da quella sua vita spaventosa. Come avrebbe fatto Mario a saperlo?
Una seconda cosa non riusciva a scuotersi di dosso, e non voleva nemmeno farlo: quanto era accaduto tra lui e Consuelo. Consuelo lo aveva lasciato ed era partita per il mare per stare insieme ai figli. Falcón aveva cercato di sapere dove fosse dai direttori dei suoi ristoranti, che tuttavia avevano ricevuto istruzioni rigidissime. Il cellulare di lei era perennemente spento. Non aveva avuto risposta ai messaggi che le aveva lasciato sulla segreteria telefonica. La sognava, la vedeva per la strada e attraversava di corsa le piazze per afferrare il braccio di una sconosciuta stupefatta. Viveva con lei dentro di sé, non resisteva al desiderio di sentire il suo odore, il tocco della guancia di lei sulla sua, la vista della sedia destinata a lui davanti a quella di Consuelo al ristorante.