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«In un mondo di superficialità e di divertimenti non mi sembra che fosse una donna molto divertente», osservò Falcón.

«Ci risiamo, Javier. Numero tre», gli fece notare Consuelo. «Comunque sia, superficiale lo era, teneva insieme i pezzi della sua esistenza attaccandosi alle cose materiali e alle banalità, trovava i rapporti con gli altri troppo difficili. Perfino Mario talvolta era troppo per lei, per questo le faceva così piacere che stesse da me. Ma non vuol dire che lui non fosse al centro della sua vita.»

«E allora come si sentiva Rafael Vega in famiglia?»

«Non credo che volessero un figlio. In quel periodo non li vedevo spesso, però mi sembra di ricordare che era stato un colpo per loro. Ma un figlio può cambiare un matrimonio, forse un giorno lo scoprirà anche lei, Javier.»

«Finge di non capire che cosa sto facendo. Eppure sa che devo farlo, che devo cercare le fragilità, i punti deboli delle situazioni», protestò Falcón rendendosi conto di quanto sembrasse permaloso. «Le mie domande possono essere sgradevoli, ma, d’altronde, non è molto gradevole nemmeno l’idea di un pluriomicida che camuffa da patto suicida la scena del delitto.»

«D’accordo, Javier, ha ragione», lo rassicurò Consuelo. «Nonostante quello che ho detto a proposito delle attrattive della dinamica fra l’investigatore e il sospetto, preferisco essere esclusa dalla sua inchiesta, anche se dovrò rispondere a domande sgradevolissime. Ho buona memoria e non mi è piaciuto affatto essere sospettata dell’assassinio di Raúl.»

«Bene, siamo soltanto ai preliminari, spero di avere fatti più concreti su cui fondare i miei sospetti sulla morte dei Vega. Perciò mi rivedrà certamente.»

«Non vedo l’ora.»

«Come aveva fatto a entrare nella proprietà dei Vega?» le domandò Falcón.

«Lucía mi aveva dato il codice per aprire il cancello.»

«Lo conosceva qualcun altro?»

«La domestica. Probabilmente Sergei. Non ne ho idea, ma il giardino dei Krugman confina con quello dei Vega e c’è un cancello di collegamento. In quanto a Pablo Ortega, non lo so.»

«Sergei? Ha detto che è russo o ucraino. Una cosa un po’ insolita.»

«Perfino lei deve aver notato quanti immigrati dall’Est ci siano in giro. So che è sbagliato, ma la gente li preferisce ai marocchini.»

«Che cosa sa di Madeleine Krugman?»

«È molto cordiale al modo degli americani… un modo superficiale.»

«Si potrebbe dire lo stesso dei sivigliani», osservò Falcón.

«Forse è per questo che vengono tanti americani ogni anno», suggerì Consuelo. «Non me ne lamento, tra parentesi.»

«Madeleine Krugman è una donna attraente», disse Falcón.

«Secondo lei non per Rafael. Comunque sia, tutti gli uomini la trovano attraente: anche lei, Javier. Ho visto come la guardava.»

Arrossendo come un quindicenne, Falcón sorrise e armeggiò con le sue carte. Consuelo gli rivolse un sorriso triste dal divano.

«Maddy è ben consapevole del suo potere», commentò.

«Dunque sarebbe la femme fatale del barrio?» domandò Falcón.

«Sto cercando di scalzarla, ma ha qualche anno di vantaggio su di me. Scherzi a parte, sa bene che gli uomini si sciolgono per lei e cerca di ignorare la cosa. Che altro può fare una donna quando sembra che tutti, dall’operaio del gas al pescivendolo al Juez de Instrucción all’Inspector Jefe de Homicidios, perdano il controllo delle rispettive mandibole?»

«E che mi dice del marito?»

«Sono sposati da molto tempo. Lui ha qualche anno più di lei.»

«Sa che cosa fanno qui a Siviglia?»

«Hanno voluto vivere per un po’ lontani dall’America. Lui lavora per Rafael, sta realizzando o ha realizzato un paio di progetti per lui.»

«Sono venuti qui dopo l’11 settembre?»

«Erano in America quando è successo. Vivevano nel Connecticut, lui lavorava a New York e credo che fossero semplicemente stufi…»

«Figli?»

«Non credo.»

«È mai stata invitata a casa loro?»

«Sì… C’era anche Rafael.»

«Ma non Lucía?»

«Sarebbe stato troppo stressante per lei.»

«Qualche osservazione?»

«Personalmente sono sicura che a Rafael sarebbe piaciuto portarsela a letto, perché è questo che passa per la testa degli uomini quando sono in presenza di Maddy Krugman. Ma non credo che sia successo.»

Dal piano superiore giunse un suono lacerante, il verso terribile di un animale sofferente. L’urlo penetrò nella spina dorsale di Consuelo che balzò in piedi, mentre Falcón si alzava maldestramente dalla poltrona. Un rumore di passi precipitosi sulle scale, poi arrivò Mario di corsa, in pantaloncini e maglietta, le braccia tese in avanti, la testa gettata all’indietro, gli occhi chiusi, la bocca spalancata in un grido. Nella mente di Falcón si materializzò la visione della famosa fotografia dell’attacco al napalm contro un villaggio vietnamita, con la differenza che la figura principale non era la ragazza nuda che correva per strada, ma il bambino che le stava davanti, con la bocca scura aperta, contratta per l’orrore.

4

Mercoledì 24 luglio 2002

Nella foto sul passaporto Martin Krugman, senza barba, dimostrava la sua età e cioè cinquantasette anni. Con la barba, grigia e lasciata incolta, sembrava un vecchio pensionato. La vita era stata più generosa con Madeleine Krugman, che aveva trentotto anni e non sembrava diversa dalla fotografia del passaporto, scattata quando di anni ne aveva trentuno. Avrebbero potuto essere padre e figlia e a molti sarebbe piaciuto che fosse così.

Uno spilungone ossuto, qualcuno avrebbe potuto definire Martin Krugman, un uomo con un naso prominente che, visto di faccia, era sottile come una lama. Sopracciglia che sua moglie aveva rinunciato a contenere sovrastavano occhi vicini e profondamente infossati. Non sembrava un uomo che dormisse molto, beveva tazze di caffè espresso l’una dietro l’altra, versandole da una caffettiera cromata. Non era vestito per andare in ufficio, ma indossava una camicia di tela a righe blu portata come un grembiule sui jeans stinti e sandali Outward Bound, e stava seduto con una gamba piegata sul ginocchio dell’altra, tenendosi la caviglia con entrambe le mani, come se stesse remando. Parlava perfettamente spagnolo con accento messicano.

«Da giovane ho vissuto in California», spiegò. «Berkeley, facoltà di ingegneria. Poi, per qualche anno, sono stato nel Nuovo Messico, a dipingere a Taos e poi ho viaggiato per l’America Centrale e Meridionale. Il mio spagnolo è un gran pasticcio.»

«È stato alla fine degli anni ’60?» domandò Falcón.

«E negli anni ’70. Sono stato un hippy finché non ho scoperto l’architettura.»

«Conosceva già il signor Vega prima di venire qui?»

«No. Ci siamo conosciuti tramite l’agente immobiliare che ci ha affittato la casa.»

«Non aveva un lavoro allora?»

«Non in quel periodo. Vivevamo alla grande. È stata una fortuna conoscere Rafael nelle prime settimane. Abbiamo cominciato a parlare e quando ha saputo cosa facevo a New York mi ha offerto un lavoro.»

«È stata una vera fortuna», intervenne Madeleine, con l’aria di aver pensato a piantarlo in asso in caso contrario.

«Così siete venuti a Siviglia quasi per caso?»

Maddy non indossava più i calzoni bianchi di lino, ma una gonna ampia, lunga fino al ginocchio, che si allargava sulla poltrona di pelle color crema. Accavallava le gambe bianchissime, ora l’una ora l’altra, quasi di continuo e Falcón, seduto proprio di fronte a lei, si irritava con se stesso perché non riusciva a fare a meno di guardarla. A ogni movimento i seni fremevano sotto il top di seta blu e un frastuono ormonale pareva propagarsi nella stanza mentre il sangue le pulsava azzurrino sotto la pelle candida. Marty era indifferente a tutto ciò, non la guardava, né reagiva a niente di quanto diceva sua moglie, mantenendo lo sguardo fisso su Falcón, il quale trovava difficile individuare un punto sicuro dove posare gli occhi, con la stanza ormai trasformata in un’unica zona erogena.