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«Quelle erano facili, erano le mie prime foto», disse Maddy. «L’idea era solo una trovata, avevo ventidue anni, non capivo niente. Dia un’occhiata a queste…»

Gli porse sei fotografie in bianco e nero. Nelle prime tre Rafael Vega, in camicia bianca e pantaloni scuri, le mani in tasca, era fermo in piedi sul suo prato ben curato. La macchina fotografica metteva a fuoco il profilo al di là della sua spalla. La mandibola era serrata. Falcón attese che l’immagine gli dicesse qualcosa. Poi capì.

«È scalzo.»

«L’ho scattata il 14 gennaio di quest’anno.»

«Che cosa stava facendo?»

«Non è questo il punto… Guardi che non sono una ficcanaso. Guardi queste, sono state fatte giù al fiume. Ci vado spesso: col cavalletto e un grosso teleobbiettivo riesco a riprendere la gente ferma in Calle Bétis e sui ponti. Sono riuscita a cogliere un bel numero di espressioni contemplative. Le gente scende al fiume per una ragione… non è così?»

Le tre foto che gli stava porgendo erano primissimi piani. Nella prima Rafael Vega aveva una smorfia sulla faccia; nella seconda digrignava i denti e strizzava gli occhi; nella terza aveva la bocca socchiusa.

«Sta soffrendo», disse Falcón.

«Sta piangendo», precisò Maddy. «Ha della saliva agli angoli della bocca.»

Falcón le restituì le foto. Era un’intrusione e non gli piaceva. Rimise a posto il libro sullo scaffale.

«Non ha pensato che fosse il caso di parlarne?» le domandò.

«È il mio lavoro», rispose lei, «io mi esprimo così. Non gliele avrei mostrate se Marty non mi avesse spinto a farlo.»

«Anche se fossero state importanti per spiegare ciò che è accaduto nella casa dei Vega ieri notte?»

«Io ho risposto alle sue domande: l’ultima volta che ci siamo parlati, com’era il rapporto tra i Vega, se lui avesse una relazione. Non avevo semplicemente collegato tutto questo alle foto, perché il punto è che noi non dovremmo averle viste, non erano state scattate ai fini di un’indagine di polizia.»

«Perché sono state scattate?»

«Sono fotografie di persone che soffrono colte in momenti assolutamente intimi e tuttavia all’aperto. Persone che hanno preferito non nascondersi nelle loro case, ma camminare tra la gente.»

Falcón ricordò le ore che aveva trascorso camminando per le strade di Siviglia negli ultimi quindici mesi: i ragionamenti sui motivi della sua esistenza erano troppo vasti per lasciarsi rinchiudere entro i confini della sua pur grande casa di Calle Bailén. Anche lui aveva logorato la sofferenza camminando, l’aveva guardata fissa nelle acque nere del Guadalquivir, l’aveva gettata via insieme alle bustine dello zucchero e ai mozziconi di sigaretta in qualche bar senza nome. Era vero. Nemmeno lui era rimasto dentro le mura di casa con l’orrore che gli montava dentro. Nella compagnia senza parole degli sconosciuti aveva trovato sollievo.

Maddy era ferma vicino a lui: ne avvertiva il profumo, avvertiva la presenza del suo corpo sotto la seta sottile, pressione deliziosa, barriera inconsistente. La donna indugiava, in attesa fiduciosa, sicura del suo fascino. Il suo collo pallido fremeva ogni volta che deglutiva.

«Dovremmo tornare giù», disse Falcón.

«C’è un’altra cosa che voglio farle vedere», ribatté Maddy, attraversando il corridoio fino a un’altra camera da letto dal pavimento di piastrelle bianche e altre fotografie alle pareti.

L’attenzione di Falcón fu attratta da una foto a colori di una piscina azzurra circondata da una collana di piastrelle bianche in un prato verde, con una macchia di bugainvillea rosso fiamma in un angolo e una sedia a sdraio con i cuscini bianchi nell’altro. La donna seduta sulla sdraio indossava un costume nero e un cappello rosso.

«È Consuelo Jiménez», disse Falcón.

«Non sapevo che l’avesse già conosciuta.»

Falcón si avvicinò alla finestra. Il giardino di Consuelo era visibile al di là della strada.

«Ho dovuto salire sul tetto per inquadrarla», spiegò Maddy.

Alla sua sinistra Falcón vide il cancello dei Vega e il vialetto tra gli alberi.

«Sa a che ora è rientrato Vega ieri sera?»

«No, ma in genere non rientrava prima di mezzanotte.»

«Voleva mostrarmi qualcosa?» domandò poi Falcón, voltandosi.

Sulla parete in fondo, dietro la porta, incorniciata in nero, vide una fotografia formato 75 per 50 di un uomo affacciato alla spalletta di un ponte, sotto il quale era evidente che stava scorrendo tutta la sua vita. I lineamenti dell’uomo non contarono in un primo momento, troppe emozioni gli occupavano il volto e fu un colpo per lui scoprire che stava guardando se stesso, uno Javier Falcón che non aveva mai visto prima.

5

Mercoledì 24 luglio 2002

Tornato sulla scena del delitto alla porta accanto, Falcón trovò tutti al piano di sopra, nella camera da letto dei Vega. Calderón aveva già firmato il levantamiento del cadáver per il signor Vega e il corpo, chiuso in un sacco sopra un carrello, nell’aria condizionata dell’ingresso attendeva di essere caricato sull’ambulanza e trasportato all’Instituto Anatómico Forense in Avenida Sánchez Pizjuan.

Intorno al letto, con le mani dietro la schiena, gli uomini della squadra osservavano la signora Vega, solenni come se stessero pregando. Il guanciale non le copriva più il volto ed era appoggiato alla parete, in un sacco di plastica. La bocca era aperta, il labbro superiore e i denti scoperti in una specie di ghigno, come se avesse lasciato la vita con rabbia. La mandibola era slogata.

«Un unico colpo con la mano destra», spiegò Calderón a Falcón. «La mandibola slogata… Probabilmente è svenuta. Il Médico Forense pensa che il colpo sia stato un manrovescio, più che un pugno.»

«A quando risale la morte?»

«Alle tre, tre e mezza, la stessa ora del marito. Non può essere più preciso di così.»

«La signora Jiménez ha detto che Lucía Vega la sera prendeva due pillole per dormire. Deve essersi svegliata e quindi è stata colpita prima di essere soffocata. C’è qualche collegamento tra questa morte e quella del signor Vega?»

«Non si può dire niente prima di averli portati all’Instituto», affermò il Médico Forense.

«Speriamo in qualche traccia di sudore o di saliva sulla parte superiore del cuscino», spiegò Felipe.

«Questo rafforza la sua ipotesi di un assassino sconosciuto, Inspector Jefe», disse Calderón. «Non riesco a vedere un marito che sloga la mandibola alla moglie.»

«A meno che, come dicevo, non si sia svegliata e forse alzata dal letto proprio quando il signor Vega entrava con la ferma intenzione di agire. Potrebbe aver visto in lui qualcosa che l’ha spaventata, essere stata presa da una crisi di isteria, inducendolo a diventare violento», ipotizzò Falcón. «Continuo a tenere aperte tutte le possibilità. Nessun fantasma qui?»

«Fantasma?» si stupì Calderón.

«Qualcosa che renda la scena insolita, diversa da come dovrebbe essere», spiegò Falcón. «Tutti quanti abbiamo avuto questa sensazione a proposito di Rafael Vega morto in cucina: qualcun altro era stato là.»

«E qui?»

Jorge si strinse nelle spalle.

«È stata assassinata», disse Felipe. «Nessuno ha cercato di suggerire qualche altra cosa. Se poi è stato il signor Vega, resta da accertare. Tutto quello che abbiamo è il guanciale.»

«Che cosa hanno da dire i vicini?» domandò Calderón, allontanandosi dagli altri nella stanza.

«Abbiamo versioni contrastanti», rispose Falcón. «La signora Jiménez conosceva abbastanza bene il signor Vega e non lo ritiene il tipo capace di suicidarsi. Ha fatto notare anche la macchina nuova e ha detto che stavano per andare in vacanza a San Diego. La signora Krugman, però, mi ha fatto vedere queste foto, scattate di recente al signor Vega senza che lui lo sapesse. È chiaramente angosciato e forse instabile psicologicamente. La Krugman mi ha lasciato prendere questo provino.»