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L’agenda era personale, con annotazioni ridotte al minimo. Per la maggior parte si trattava di qualche crocetta accanto all’ora e per lo più si trattava di incontri serali. Falcón cercò la Noche de Reyes e anche lì trovò una crocetta. Il primo appuntamento di giorno era in marzo con un «dr. A.». In giugno erano segnati appuntamenti con il dr. A. e con un dr. D. Nella rubrica degli indirizzi trovò un elenco di medici — Médicos Álvarez, Diego e Rodríguez. Sfogliò l’agenda e scoprì che il dr. R. era stato l’ultimo a vedere Vega. Telefonò e fissò un appuntamento con lui verso mezzogiorno.

Scorse tutta la rubrica telefonica in fondo all’agenda. C’era il nome di Raúl Jiménez, ma era stato sbarrato. Sfogliando le pagine gli balzarono agli occhi altri nomi noti, che ricordava dai tempi dell’indagine per l’assassinio di Raúl Jiménez: personaggi dell’amministrazione e dei lavori pubblici. Uno in particolare lo riportò dritto a quel periodo turbolento: Eduardo Carvajal. Anche questo era sbarrato: come Raúl Jiménez anche Carvajal era morto. Falcón non aveva mai scoperto il collegamento tra i due uomini. Sapeva soltanto che durante l’Expo del ’92 Jiménez aveva finanziato le attività di Carvajal tramite una società di consulenze fasulla e che nel ’98, anno in cui era morto in un incidente stradale sulla Costa del Sol, Carvajal stava per essere processato per pedofilia.

Anche Ortega era nella rubrica. L’ultimo nome costrinse Falcón a girare per la casa, per accertarsi che alle pareti non vi fosse nessun quadro di valore artistico: era il nome di Ramón Salgado, uno dei più importanti mercanti d’arte di Siviglia. Anche questo era stato sbarrato. Forse la Vega Construcciones aveva investito nell’arte o aveva semplicemente comprato un’opera per la sede, ma Falcón si ricordò della pornografia infantile che avevano scoperto nel computer di Salgado dopo il suo brutale assassinio. In quei giri si conoscevano tutti, anelli di una catena dorata di ricchezza e di influenza. Un’altra domanda per Vásquez.

Nessun nome russo nell’agenda. La rimise nello schedario e passò al successivo, che conteneva scatole di cianografie e fotografie di edifici. In fondo al cassetto del terzo armadio vide un raccoglitore senza numero di riferimento. Recava semplicemente la scritta Justicia. All’interno erano state raccolte pagine stampate da internet su una serie di argomenti che concernevano principalmente il sistema internazionale di giustizia. C’erano anche articoli di giornale sulla Corte penale internazionale, sul Tribunale che questo era destinato a sostituire, sul battagliero giudice spagnolo Baltasar Garzón e anche sulle possibilità all’interno del sistema legale belga di processare criminali di guerra internazionali.

Nell’ingresso suonò il campanello. Falcón chiuse lo schedario e andò ad aprire. La signora Krugman indossava un top di lino nero e una gonna in sbieco con una sciarpa di seta rossa su una spalla. In fondo al braccio lungo e bianco un termos di plastica.

«Credevo che avrebbe gradito un caffè, Inspector Jefe», disse la donna. «Forte, alla spagnola. Non la risciacquatura di piatti americana.»

«Pensavo che ci fosse stata una rivoluzione del caffè in America», disse Falcón, pensando ad altro.

«Non è penetrata a tutti i livelli, non si può essere sicuri», ribatté Maddy.

La lasciò passare, poi chiuse la porta contro il caldo grottesco. Non gradiva affatto quell’intrusione. Maddy andò a prendere tazze e piattini e Falcón chiamò Cristina Ferrera, che declinò l’offerta. Andarono nell’ufficio di Vega e si sedettero alla scrivania. Maddy fumava, scotendo la cenere della sigaretta nel piattino. Non fece nessun tentativo di conversazione: la sua presenza fisica — o meglio, erotica — riempiva la stanza. Falcón si sentiva ancora nauseato e non aveva niente da dirle, nella mente una ridda di pensieri mentre sorseggiava il caffè.

«Le piacciono le corride?» gli domandò Maddy, guardando il manifesto alle sue spalle proprio quando il silenzio si era fatto intollerabile.

«Ci andavo molto spesso», le rispose, «ma non l’ho più fatto da quando… da più di un anno.»

«Marty non voleva accompagnarmi, così lo avevo chiesto a Rafael. Siamo andati parecchie volte alla corrida. Io non la capivo, ma mi piaceva.»

«Succede a molti stranieri», osservò Falcón.

«Ero rimasta sorpresa da quanto rapidamente la violenza diventi accettabile», riprese la donna. «Quando ho visto per la prima volta la lancia del picador penetrare nella carne del toro ho pensato di non riuscire a sopportarlo. Ma, lo sa, è uno spettacolo che affina la vista. Non ci si rende conto di come sia sfuocata la nostra vita quotidiana fino a quando non si è stati alla corrida. Tutto si staglia nettamente. Tutto ha contorni precisi. È come se la vista del sangue e la prospettiva della morte risvegliassero in noi qualcosa di atavico. Mi sono scoperta a sintonizzarmi con un livello di coscienza diverso, antico, un modo di percepire le cose che il tedio della nostra vita ha gradualmente consumato. Al terzo toro mi ero ormai abituata, il rosso vivo del sangue che scaturiva da una ferita di lancia particolarmente profonda e ricadeva sulla zampa anteriore dell’animale non era solo tollerabile, ma addirittura elettrizzante. Dobbiamo davvero essere nati per la violenza e la morte, non crede, Inspector Jefe?»

«Ricordo una specie di emozione rituale sulla faccia dei marocchini a Tangeri, quando ammazzavano una pecora per la festa di Aid el Kebir», disse Falcón.

«La corrida deve essere un’estensione di questo. C’è rito, teatro, emozione… ma c’è anche qualche altra cosa. Passione, per esempio e, ovviamente… sesso.»

«Sesso?» ripeté Falcón, con il whisky che gli si agitava nello stomaco.

«Quei bei ragazzi nei costumi attillati che muovono con tanta grazia ogni muscolo del corpo e che affrontano un pericolo tremendo, la morte forse… È il massimo dell’attrazione sessuale, no?»

«Io non la vedo così», disse Falcón.

«Come la vede?»

«Vado alla corrida per il toro, è sempre il toro la figura centrale. La tragedia è sua e maggiore è la sua grandezza, più bella sarà la tragedia. Il torero è là per dare forma allo spettacolo, per tirar fuori dal toro le qualità più nobili e alla fine per ucciderlo e dare a noi, il pubblico, la nostra catarsi.»

«Si vede che sono americana», osservò Maddy.

«Non tutti la interpretano così», riprese Falcón, «qualche torero crede di essere là per dominare il toro, per umiliarlo perfino e per far vedere a tutti quanto lui sia virile.»

«Sì, me ne sono accorta. Quando mostrano i genitali al toro.»

«S-sì», disse Falcón, con un certo nervosismo. «Molto spesso lo spettacolo è una parodia, perfino nelle arene migliori. Ci sono stati spettacoli notturni solo per signore e altri…»

«Decadenza?» suggerì Maddy.

«La tragedia greca è rarissima oggigiorno, contrariamente alle soap opera.»

«E come possiamo mantenerci nobili in un mondo così?»

«Bisogna concentrarsi sui grandi valori. L’amore. La compassione. L’onore… quel genere di cose.»

«Sembra roba da Medioevo.»

Silenzio. Falcón udì Cristina Ferrera uscire dalla casa, la vide passare davanti alla finestra dello studio.

«Ieri mi ha detto qualcosa in inglese», disse Falcón, ansioso di liberarsi di Maddy.

«Non ricordo», disse lei. «L’ho offesa?»

«Su col morale. Mi ha detto: Su col morale.»

«Già, be’, oggi è un altro giorno», disse Maddy. «Ieri sera ho letto la sua storia su internet.»

«Per questo è venuta?»