«Un altro lotto che gli vendetti gli permise di realizzare un grande progetto immobiliare a Triana. E ce n’era un altro che un suo concorrente voleva a tutti i costi, e quando anche quel mio lotto fu nelle mani di Rafael agli altri non restò che vendere tutto a lui. Come dire che la sua offerta era stata la più generosa di tutte.»
«Allora, non ha dovuto sposare sua figlia per avere i terreni, le faceva una proposta molto allettante comunque.»
«Ho la mentalità del contadino», disse Cabello, «la terra sarebbe semplicemente passata all’uomo che avrebbe sposato la mia figlia maggiore. Sono un uomo all’antica e Rafael era un tradizionalista, sapeva quale fosse la chiave giusta per ottenere quello che voleva. Il suo incontro con Lucía non è avvenuto per caso. Il mio rimorso è di aver permesso agli affari di oscurare il mio giudizio su di lui. Ma non avevo idea del suo comportamento brutale con Lucía.»
«Era violento?»
«Mai. Se l’avesse picchiata, il matrimonio sarebbe finito lì. No, la umiliava… voglio dire, lui… è difficile… lui era restio a fare il suo dovere di marito. Le faceva credere che la colpa fosse sua, che non sapesse rendersi abbastanza attraente.»
«Un’altra cosa… sul certificato di morte della prima moglie era indicata la causa della morte?»
«Accidentale. Ci ha detto che era annegata in una piscina.»
«Aveva figli dal primo matrimonio?»
«A noi ha detto di no, diceva di volere dei figli… perciò era strano che non volesse fare quello che bisognava fare per averli.»
«Ha mai saputo di qualche relazione precedente, prima che sposasse Lucía?
«No. E nemmeno Lucía.»
Falcón tirò fuori il sacchetto di plastica con il frammento di fotografia che Vega aveva bruciato in fondo al giardino.
«Riconosce questa ragazza?»
Cabello si mise gli occhiali, scosse il capo.
«Mi sembra una straniera», disse.
Arrivarono all’Instituto in Avenida Sánchez Pizjuan e parcheggiarono all’interno del complesso ospedaliero. Falcón trovò il Médico Forense, che li accompagnò nella stanza per l’identificazione dei cadaveri e li lasciò là per qualche minuto. Il signor Cabello si mise a passeggiare avanti e indietro, turbato al pensiero di ciò che aveva voluto fare, vedere la figlia morta su un tavolo di marmo dell’obitorio. Poi il Médico Forense tornò e scostò le tende, il signor Cabello si fece avanti incespicando e dovette sostenersi al vetro per non cadere. Le dita dell’altra mano gli si affondarono nel cranio attraverso i capelli radi come se cercassero di strappare l’immagine dal suo cervello. Annuì ed ebbe un accesso di tosse, soffocato dalla violenza delle emozioni. Falcón lo fece allontanare dal vetro. Il Médico Forense presentò i documenti e Cabello firmò il certificato di morte della figlia.
Uscirono nel caldo feroce e in una luce abbagliante che risucchiava il colore da ogni cosa all’intorno, così che gli alberi apparivano vaghi, gli edifici si confondevano con il cielo bianco e solo la polvere sembrava appartenere a quel luogo. Il signor Cabello si era come ritirato nel suo abito, il collo sottile si muoveva su e giù nel colletto largo mentre il vecchio cercava di mandare giù ciò che aveva appena visto. Falcón lo salutò con una stretta di mano e lo aiutò a salire in macchina, poi Cristina Ferrera si mise al volante e si avviò verso l’uscita dell’ospedale. Falcón telefonò a Calderón e fissò un incontro alle sette per discutere dei risultati dell’autopsia.
Tornò nel gelo dell’obitorio, entrò nell’ufficio del Médico Forense, dove sedette davanti alla scrivania con i risultati delle autopsie. Il medico fumava accanitamente Ducados, e il fumo veniva aspirato dall’apparecchio dell’aria condizionata per essere sputato all’esterno nel calore soffocante.
«Cominciamo con la più facile», disse il dottore. «La signora Vega è stata soffocata con il guanciale premuto sulla faccia. Forse non era cosciente in quel momento a causa di un forte colpo che le ha slogato la mandibola, probabilmente un pugno.»
Il Médico Forense offrì una replica al rallentatore, comica senza intenzione: la guancia, mandibola e labbra spostate di lato in un bacio bavoso in aria.
«Una perfetta imitazione, dottore», si congratulò Falcón sorridendo.
«Mi scusi, Inspector Jefe», disse il medico, più compreso del suo compito ora. «Sa com’è. Giornate lunghe in compagnia dei morti, il caldo, le ferie molto, molto vicine, la famiglia già al mare: qualche volta dimentico con chi mi trovo.»
«Va tutto bene, dottore, lei mi sta aiutando», lo rassicurò Falcón. «Che mi dice dell’ora della morte? È importante per noi sapere se sia morta prima o dopo il marito.»
«Su questo non le sarò di grande aiuto, la loro morte è avvenuta all’incirca alla stessa ora, la temperatura corporea era praticamente la stessa, la signora Vega solo leggermente meno fredda. La temperatura ambientale era la stessa in cucina e in camera da letto, ma il signor Vega era disteso a torso nudo sul pavimento di piastrelle, mentre la moglie era nel letto, con la faccia sotto il cuscino. Non potrei affermare in tribunale che è morta dopo il marito.»
«D’accordo. E il signor Vega?»
«È morto per aver ingerito un liquido corrosivo, la causa della morte è una combinazione di effetti sugli organi vitali. Ha sofferto di blocco renale, danni al fegato e ai polmoni… Un vero macello. È interessante la composizione di ciò che ha ingerito. Mi sembra di ricordare che fosse un prodotto noto…»
«Esatto. Harpic.»
«Be’, normalmente quei gel sono una mistura di soda caustica e di disinfettante, l’elemento caustico circa un terzo del contenuto. Naturalmente una mistura che non farebbe certo bene all’organismo, ma che richiederebbe tempo per uccidere un uomo adulto in buone condizioni di salute. Questo prodotto l’ha ucciso in un quarto d’ora, perché era stato fortemente potenziato con acido cloridrico.»
«È facile procurarsene?»
«Qualsiasi drogheria lo vende sotto il nome di acido muriatico, lo si usa per togliere le tracce di cemento dai pavimenti, per esempio.»
«Controlleremo nel suo garage», disse Falcón, prendendo nota. Non c’è modo di salvarsi una volta ingerita quella roba?»
«I danni alla gola e all’apparato digerente sono irreparabili e in ogni caso anche i polmoni sono compromessi.»
«Come è arrivato nei polmoni?»
«È molto difficile stabilire quali danni siano stati fatti con la forza o la violenza e quali siano stati causati dalla corrosività del liquido. Io direi che lui o qualcun altro gli ha cacciato la bottiglia nella gola e in quelle circostanze una parte del liquido troverebbe certamente un passaggio fino ai polmoni. Ci sono tracce nei condotti nasali, perciò il prodotto è stato espulso con colpi di tosse. Con la bocca completamente occupata dalla bottiglia, l’unica via di uscita era il naso.»
«Lei sembra pensare che il signor Vega abbia fatto tutto da solo.»
«Devo dire che la cosa è dubbia.»
«Ma non impossibile?»
«Quando si decide di uccidersi in quel modo orribile, immagino che si cerchi di impedire un eventuale salvataggio ingerendo il massimo del prodotto nei primi momenti. Credo il suicida sia piuttosto nervoso, anche… e forse per questo è possibile che si cacci il collo della bottiglia in profondità nella gola. Questo, naturalmente, provocherebbe il soffocamento. Ma in realtà sarebbe una cosa molto difficile, se qualcun altro non tenesse ferma la bottiglia e anche la vittima.»
«Il pavimento era pulito, a parte qualche goccia vicino al collo della bottiglia.»
«Sul petto e sugli indumenti c’erano alcune macchie, ma nulla rispetto a quanto ci si aspetterebbe da una persona che si sente soffocare ed espelle il liquido a colpi di tosse.»
«Qualche indicazione che sia stato tenuto fermo con la forza, segni sulle braccia, sui polsi, sul collo, sulla testa?»