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«Come ha detto il suo avvocato, è chiaramente scritto di suo pugno, ma ci aveva incuriosito il fatto che avesse definito la grafia ‘accurata’, così l’abbiamo esaminata al microscopio», disse Felipe. «È stato riscritto.»

«Che significa?»

«Aveva già scritto quelle righe, era rimasto il segno dei caratteri sul foglio e allora lui ha seguito con la penna quei segni… come se avesse voluto vedere che cosa era stato scritto.»

«Ma l’aveva scritto lui anche la prima volta?» volle sapere Falcón.

«Posso dirle soltanto quello che ho detto», si schermì Felipe.

Alberto Montes aveva superato da poco i cinquant’anni, era sovrappeso, con le borse sotto gli occhi e il naso gonfio per il troppo bere. Alla fine dell’anno precedente si era dovuto sottoporre a un accertamento psicologico per problemi di alcolismo e in qualche modo era riuscito a superare la prova. A quel punto stava considerando la prospettiva di un prepensionamento e pareva ansioso di arrivarci. Aveva fatto parte del Grupo de Libertad Sexual, che svolgeva indagini sui delitti sessuali compiuti da adulti, era nel GRUME da più di quindici anni e aveva una conoscenza enciclopedica di nomi e di orrori. Seduto alla scrivania, la poltrona girevole rivolta verso la finestra del suo ufficio al secondo piano, presumibilmente stava pensando alla futura libertà mentre forzava l’ingresso all’acqua tra i folti baffi come se desiderasse che il bicchiere di plastica fosse pieno di whisky. All’ingresso di Falcón, fece ruotare la sedia e si riempì un’altra volta il bicchiere.

«Calcoli renali, Inspector Jefe», disse. «Si fanno sentire ogni estate. Mi hanno detto che devo bere sei litri d’acqua al giorno. Che posso fare per lei?»

«Eduardo Carvajal. Ricorda il caso?»

«Quel caso mi è rimasto sullo stomaco, stava per rendermi famoso», rispose Montes. «Come mai è rispuntato quel nome?»

«Sto indagando sulla morte di Rafael e Lucía Vega.»

«Rafael Vega… il costruttore?»

«Lo conosce?»

«Non mi invita nella sua caseta durante la Feria, ma so chi è. L’hanno ammazzato?»

«È quello che cerchiamo di scoprire. Sfogliando la sua rubrica, mi sono imbattuto nel nome di Carvajal, un nome che conoscevo per via di una mia indagine dell’anno scorso: era amico di Raúl Jiménez. Allora non avevo avuto il tempo di approfondire, perciò ho pensato di farlo ora», spiegò Falcón. «Perché avrebbe dovuto renderla famoso?»

«Aveva detto che mi avrebbe dato tutti i nomi di quelli che facevano parte del suo giro di pedofili… tutti quanti. Mi aveva promesso il colpo più grosso della mia carriera. Politici, attori, avvocati, consiglieri comunali, uomini d’affari. Aveva detto che mi avrebbe offerto la chiave d’oro per aprire la porta della buona società e rivelarne la corruzione, il marciume. E io gli avevo creduto, avevo pensato davvero che mi avrebbe dato quelle informazioni.»

«Ma è morto in un incidente d’auto prima di poterlo fare.»

«Be’, sì, è uscito di strada», precisò Montes, «era notte fonda, aveva bevuto e ci sono un sacco di curve pericolose tra Ronda e San Pedro de Alcántara… ma non sapremo mai…»

«Che significa?

«È storia nota, Inspector Jefe. Quando io sono stato informato dell’incidente, Carvajal era già sepolto e la macchina rottamata e ridotta a un blocco di queste dimensioni…» disse Montes tenendo le mani a cinquanta centimetri l’una dall’altra.

«Però poi qualcuno è stato condannato per pedofilia, mi pare.»

Montes alzò quattro dita grassocce e macchiate di nicotina.

«E questi non hanno potuto aiutarla come Carvajal?»

«Si conoscevano tra loro e basta, erano solo una cellula della rete. È gente molto cauta quella, non sono diversi dai gruppi di terroristi o della resistenza.»

«Come era arrivato fino a loro?»

«Mi vergogno di dover ammettere che era stato tramite l’FBI», rispose Montes. «Noi non siamo capaci nemmeno di infiltrarci nei nostri giri di pedofili.»

«Era un affare internazionale, allora?»

«È il bello di internet», disse Montes. «Mentre indagavano su una truffa hanno trovato un sito per pedofili gestito da una coppia dell’Idaho, e ci si sono inseriti. C’erano indirizzi di tutto il mondo, per cui erano state informate le autorità locali di ogni nazione coinvolta. Fa piacere pensare che un sacco di pedofili se la sta facendo sotto, ma non credo che riusciremo a pescare qualcuno del giro di Carvajal. Sono sicuro che è tutto finito.»

«Perché?»

«Carvajal era il trait d’union, era il lenone: i pedofili conoscevano lui e lui conosceva loro. Ma gli altri non si conoscevano fra loro, e adesso non c’è più niente che metta insieme il quadro.»

«Ma come mai Carvajal era a piede libero?»

«Faceva parte dell’accordo con il suo avvocato. Carvajal avrebbe messo insieme tutte le cellule e noi avremmo arrestato tutti quanti in una serie di incursioni.»

«Avevate scoperto in che modo operava Carvajal?» «Non che ci sia servito a gran che», rispose Montes, annuendo. «La cosa aveva appena cominciato a funzionare. La mafia russa era coinvolta nella tratta di persone e la prostituzione era diventata un grosso affare, perché avevano il controllo dell’offerta. Per controllare il traffico di droga avrebbero dovuto battersi per il territorio, dato che non producevano eroina o cocaina. Invece per la prostituzione avevano la materia prima. E quel che più conta, avevano scoperto che era meno pericoloso e altrettanto redditizio. Avevamo qui una ragazza rumena la settimana scorsa, comprata e rivenduta sette volte. Mi creda, Inspector Jefe, il cerchio si è chiuso: siamo tornati alla tratta degli schiavi.»

«Le dispiace farmi un piccolo resoconto della situazione?» «Gli Stati ex sovietici sono pieni di gente, molto spesso capace e intelligente, si tratta di assistenti universitari, di docenti di istituti tecnici, di costruttori, di funzionari dello Stato, gente che però non riesce a vivere nell’era post sovietica. Devono cavarsela con quindici, venti euro al mese. Noi in Europa, specialmente in Paesi come l’Italia e la Spagna, non abbiamo abbastanza gente. Secondo i rapporti che ho letto, la Spagna ha bisogno di un quarto di milione di persone in più solo per far funzionare il Paese e pagare le tasse in modo che lo Stato abbia i soldi per assicurarmi la pensione. L’economia fondata sulla domanda e sull’offerta è la più facile da capire e le sue possibilità vengono sfruttate immediatamente.

«Per entrare in Europa c’è bisogno di un visto. So di moltissimi ucraini che attraversano la frontiera in Polonia e ottengono il visto dalle ambasciate a Varsavia. Anche il Portogallo è generoso con i visti. La Spagna, per via del problema che abbiamo in Marocco, è più cauta, ma non è difficile iscriversi a una scuola di lingue o qualcosa del genere. Certo, si ha bisogno di aiuto per riuscirci e a questo punto entra in gioco la mafia. Ti facilitano il viaggio, ti ottengono un visto, organizzano i trasporti. Fanno pagare un minimo di mille dollari a testa… vedo che le ho dato da pensare, Inspector Jefe.»

«Cinquanta persone su un pullman, meno qualche migliaio di dollari per le spese», disse Falcón, «non è difficile capire che l’affare possa rendere bene.»

«Per ogni pullman incassano perlomeno quarantacinquemila dollari», riprese Montes. «Ma la cosa non si ferma qui. Con un po’ di intimidazione quella gente può essere messa a lavorare per l’organizzazione una volta arrivata a destinazione. Gli uomini della mafia li prendono in consegna, le donne e i bambini vengono avviati alla prostituzione e gli uomini ai lavori forzati. Succede dappertutto, a Londra, a Parigi, a Praga. Un amico mio era in vacanza vicino a Barcellona il mese scorso e sulla strada che entrava in Roses c’era una fila di belle ragazze che gli facevano cenno… e non si trattava di autostoppiste.»