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«Conosce la casa?»

Comparve una donna sul vialetto d’accesso, difficile non vederla: capelli rossi, occhi verdi e pelle così bianca da rendere quasi doloroso guardarla alla luce brutale del sole.

«Hola, Consuelo», fece la donna, individuando quello dell’amica tra i volti ufficiali.

«Hola, Maddy». Consuelo la presentó a tutti: Madeleine Krugman, vicina di casa della signora Vega.

«È successo qualcosa a Lucía e a Rafael? Ho visto l’ambulanza. Posso essere d’aiuto?»

Gli occhi di tutti erano fissi su Madeleine Krugman e non soltanto perché parlava spagnolo con accento americano. Era alta e snella, con un busto sodo, il sedere ben in carne e la capacità innata di scatenare la fantasia degli uomini, anche i più stolidi. Soltanto Falcón e Calderón riuscirono a tenere a bada il testosterone e a guardarla negli occhi, una cosa che richiedeva concentrazione. Le narici di Consuelo ebbero un tremito di stizza.

«Dobbiamo entrare subito nella casa, signora Krugman», disse Calderón. «Ha le chiavi?»

«No, ma… che cosa è successo a Rafael e Lucía?»

«Rafael è steso sul pavimento della cucina e non si muove», spiegò Consuelo. «Di Lucía non si sa niente.»

Madeleine Krugman ebbe un moto di apprensione e inspirò bruscamente, scoprendo la linea perfetta dei denti bianchi interrotta solo dagli incisivi leggermente aguzzi. Per una frazione di secondo parve che le invisibili zolle litosferiche del suo viso si contraessero in uno spasmo.

«Ho il numero di telefono del suo avvocato, me lo ha dato Rafael nel caso ci fossero problemi in casa mentre erano in vacanza», disse. «Vado a prenderlo…»

Arretrò di qualche passo, poi si voltò dirigendosi al cancello. Gli sguardi dei presenti si fissarono sulle natiche che fremevano leggermente sotto il lino bianco dei pantaloni scampanati. La vita era circondata da una sottile cintura rossa simile a una riga di sangue. La donna scomparve dietro il muro di cinta e gli uomini si lasciarono andare a qualche verso di approvazione, sospeso fino a quel momento sotto la campana di vetro del suo fascino.

«Bellissima, vero?» disse Consuelo Jiménez, seccata con se stessa per quel bisogno di riportare l’attenzione sulla sua persona.

«Sì», convenne Falcón, «e molto diversa dal genere di bellezza a cui siamo abituati dalle nostre parti. Chiara, di una chiarezza traslucida.»

«Sì, è davvero chiara», ammise Consuelo.

«Sappiamo dove sia il giardiniere?» domandò Falcón.

«È scomparso.»

«Che cosa si sa di lui?»

«Si chiama Sergei. È russo o ucraino. Lavora per noi, per i Vega, i Krugman, Pablo Ortega e me.»

«Pablo Ortega… l’attore?» domandò Calderón.

«Sì, si è appena trasferito qui. Non è un uomo molto felice.»

«Non mi sorprende.»

«Già, è stato lei, vero, Juez Calderón, a far condannare suo figlio a dodici anni di prigione?» osservò Consuelo. «Un caso terribile, una tragedia… ma non mi riferivo a questo quando ho detto… anche se certamente avrà contribuito. La sua casa ha qualche problema e trova il quartiere un po’… morto, dopo aver vissuto in centro.»

«Perché è venuto qui?» domandò Falcón.

«Nel barrio non gli rivolgevano più la parola.»

«Per via di ciò che ha fatto il figlio?» chiese Falcón. «Non ricordo bene il caso…»

«Il figlio di Ortega ha rapito un bambino di otto anni, lo ha legato e violentato per parecchi giorni.»

«Ma non lo ha ucciso?»

«Il bambino è riuscito a scappare.»

«È stata una cosa ancor più strana», intervenne Consuelo. «Il figlio di Ortega lo ha liberato e poi è rimasto seduto sul letto nella stanza insonorizzata che aveva predisposto per il sequestro ad aspettare l’arrivo della polizia. Gli è andata bene che a trovarlo per primi siano stati i poliziotti.»

«Dicono che in carcere se la passi male», soggiunse Calderón.

«Non riesco a provare pietà per chi distrugge l’innocenza dei bambini», affermò con veemenza Consuelo. «Si meritano tutto.» Madeleine Krugman tornò con il numero di telefono. Si era messa gli occhiali da sole, per proteggersi dal riflesso lancinante della sua pelle di porcellana.

«Nessun nome?» domandò Falcón digitando il numero sul cellulare.

«Mio marito dice che si chiama Carlos Vásquez.»

«E dov’è suo marito?»

«A casa.»

«Quando le ha dato questo numero, il signor Vega?»

«Prima di raggiungere Lucía e Mario in vacanza l’estate scorsa.»

«Mario è il bambino che ha dormito a casa sua, signora Jiménez?»

«Sì.»

«I Vega non hanno parenti a Siviglia o nei dintorni?»

«I genitori di Lucía.»

Falcón si allontanò di qualche passo e chiese di parlare con l’avvocato. «Sono l’Inspector Jefe Javier Falcón. Il suo cliente, il signor Rafael Vega, è disteso sul pavimento della cucina privo di sensi, forse morto. Abbiamo bisogno di entrare in casa.»

Un lungo silenzio mentre Vásquez assorbiva la notizia devastante.

«Sarò lì tra dieci minuti», disse alla fine. «Vi consiglio di non tentare di entrare, Inspector Jefe, perché certamente vi occorrerebbe molto più tempo.»

Falcón alzò lo sguardo sulla casa inespugnabile. Due telecamere di sicurezza agli angoli della facciata, altre due sul retro.

«Sembra che i Vega avessero l’ossessione della sicurezza» osservò, ritornando dagli altri. «Telecamere. Vetri a prova di proiettile. Porta d’ingresso solidissima.»

«Vega è molto ricco», gli fece notare Consuelo.

«E Lucía è… be’, nevrotica, come minimo», disse Maddy Krugman.

«Conosceva già il signor Vega prima di trasferirsi qui, signora Jiménez?» le domandò Falcón.

«Naturalmente. Era stato lui a segnalarmi la casa che ho poi finito per comprare.»

«Siete amici o il vostro è un rapporto d’affari?»

«Entrambe le cose.»

«Di che cosa si occupa il signor Vega?»

«Ha un’impresa di costruzioni», intervenne Madeleine. «Per questo la casa è costruita come una fortezza.»

«È mio cliente al ristorante di El Porvenir», spiegò Consuelo. «Ma lo conoscevo anche tramite Raúl; erano nello stesso ramo, come sa. Anni fa avevano lavorato insieme alla costruzione di alcuni edifici a Triana.»

«Lei lo conosceva solo come vicino di casa, signora Krugman?»

«Mio marito è architetto. Lavora a diversi progetti del signor Vega.»

Una grossa Mercedes metallizzata si fermò fuori dal cancello. Ne scese un uomo basso e corpulento in camicia bianca a maniche lunghe, cravatta scura e pantaloni grigi. L’uomo si passò le dita tra i capelli già bianchi e si presentò: Carlos Vásquez. Porse le chiavi a Falcón, il quale aprì la porta girando appena la chiave. Non era stata chiusa a doppia mandata.

Dopo il caldo della strada l’interno della casa era gelido e cupo. Falcón chiese al Juez Calderón di dare una rapida occhiata prima che il medico legale e gli uomini della scientifica si mettessero al lavoro. Accompagnò Felipe e Jorge fino alla soglia della cucina, che aveva il pavimento di piastrelle. I due guardarono, si scambiarono un segno di assenso e si ritirarono mentre Calderón impediva a Carlos Vásquez di entrare per non contaminare la scena del delitto: l’avvocato aveva l’aria di non essere abituato a sentirsi respingere con una mano sul petto da nessuno, se non da sua moglie a letto. Il Médico Forense, che si era già infilato i guanti, venne introdotto nella stanza. Controllò il polso e la temperatura corporea e nel frattempo Falcón uscì all’aperto e pregò Consuelo e Madeleine di tenersi a disposizione per un colloquio, prendendo nota del fatto che Consuelo continuava a occuparsi del bambino dei Vega, Mario.

Il Médico Forense bisbigliò qualcosa nel registratore mentre esaminava le orecchie, il naso, gli occhi e la bocca della vittima, rigirando poi con un paio di pinze un flacone di plastica che giaceva per terra accanto alla mano tesa del morto. Era un litro di liquido sturalavandini.