Alle nove e mezzo di sera era seduto nel divanetto a forma di esse nello studio di Alicia Aguado, il polso stretto tra le dita della psicologa, che ricorreva sempre più spesso a questa tecnica ora che aveva perso del tutto la vista per una retinite pigmentosa.
«Lei è stanco», gli disse Alicia Aguado.
«Sono alla fine del secondo giorno di una nuova indagine. Una doppia morte e una quantità di sconvolgimenti emotivi.»
«È di nuovo ansioso.»
«Ho fatto un’altra volta il sogno delle feci, durante la siesta. Mi succede sempre di pomeriggio.»
«Abbiamo già parlato di quei sogni. Dunque perché l’ansia?»
«Questa volta il sogno è stato diverso, mi sono svegliato con un’idea chiara in mente e un forte senso di determinazione.»
Le disse di Sebastián Ortega, di ciò che sapeva del caso (compreso lo stato della casa di Pablo Ortega) e di quanto aveva scoperto in seguito da Montes.
«Succede spesso?» domandò la psicologa.
«Molto spesso elementi di prova che non sono ammissibili in tribunale dimostrano inequivocabilmente la colpevolezza degli imputati», rispose Falcón sulla difensiva, «e allora la polizia e l’accusa sfruttano sfumature e enfasi per assicurarsi la sentenza ‘giusta’.»
«Ma non è questo il caso, vero? Qui una vittima è stata manipolata per farle modificare una deposizione. Chi era il giudice?»
«Che l’imputato dovesse essere condannato era pacifico, però volevano che avesse il massimo della pena. Ma… non voglio entrare in particolari o fare nomi. Il punto è che non sapevo nulla di tutto questo prima del sogno, eppure mi sono svegliato con la sensazione fortissima di dover aiutare quel ragazzo, che peraltro non ha nessun legame con me.»
«È una cosa buona.»
«Lo penso anch’io. L’aspetto più noioso della depressione è la quantità di tempo che si è costretti a passare con se stessi», disse Falcón. «Sono contento di non essere più così assorbito dalla mia persona.»
«Che cosa l’ha portata a interessarsi di Sebastián Ortega?»
«Esistono a questo proposito collegamenti interessanti. Pablo Ortega conosceva Francisco Falcón, era suo amico. Aveva perfino conosciuto me, quando avevo diciott’anni, ma io non lo ricordo. Come Francisco, anche lui ha fascino ed è capace di furie tremende. Inoltre mi ha detto cose che sono risultate non vere, mi è stato molto difficile districare la verità dalla finzione. Può darsi che stia nascondendo qualcosa a se stesso. In un colloquio con un’altra persona questa mi ha detto di averlo sempre ritenuto un omosessuale o un asessuale.»
«Mio Dio… stiamo davvero parlando di Pablo Ortega l’attore, non è vero?»
«Sì, ma la prego di non correre al Diario de Sevilla», disse Falcón. «Si suiciderebbe, se saltasse fuori una cosa del genere.»
«Riesco a vedere i paralleli con la sua situazione.»
«Credo di essermi identificato inconsciamente in Sebastián, e questo spiega perché lo voglio aiutare.»
«E cioè?»
«Perché è me stesso che voglio aiutare.»
«Bene, Javier. Ora torniamo a Pablo Ortega.»
«Quella cosa della sua omosessualità, in realtà non è affatto provata. È solo l’opinione di una persona con la quale ho parlato.»
«Non è questo che mi interessa», ribatté Alicia Aguado. «Perché Pablo Ortega si è arrabbiato tanto?»
«Era furioso con il Juez Calderón…»
«Allora era lui il giudice nel caso di Sebastián Ortega?»
«Ahi, mi ha scoperto!»
«Ho pensato che potesse esservi sotto qualcosa di più complicato.»
«Ammesso che ci sia, non so che cosa sia.»
«Al tempo delle indagini sul delitto Jiménez, ricordo di averle sentito dire che il giudice Calderón le piaceva. Mi aveva detto che era una delle poche persone con le quali avrebbe potuto fare amicizia qui, dopo Barcellona.»
«È stato prima che sapessi che si vedeva con Inés.»
Le dita di Alicia Aguado si staccarono di colpo dal polso mentre Falcón pronunciava quel nome.
«È successo qualcosa con Inés?»
«Ieri lui mi ha detto che stanno per sposarsi. Sono stato sul punto di telefonarle, Alicia.»
«Abbiamo già risolto la questione di Inés.»
«Pensavo di sì.»
«Prevedeva che si sarebbero sposati e mi ha detto che aveva accettato la cosa.»
«L’idea, sì.»
«E la realtà è diversa?»
«Sono rimasto sorpreso da come la notizia mi ha turbato.»
«Lo supererà.»
«Per questo non le ho poi telefonato», disse Falcón. «Ma proprio quando stavo per venire qui stasera, ho trovato una fotografia di Inés fissata al pannello dietro la mia scrivania con uno spillo rosso nella gola.»
Silenzio. A Falcón parve che Alicia rabbrividisse.
«È stato lei a farlo?»
«È questo che mi preoccupa», rispose Falcón. «Non lo so.»
«Pensa di averlo potuto fare inconsciamente?»
«Non ho nemmeno riconosciuto la fotografia.»
«Ha scattato altre foto?»
«Ho comprato una macchina digitale la settimana scorsa. Fino a ieri il lavoro mancava e sono uscito spesso a fotografare in strada per imparare a usarla. Poi ho scaricato le immagini nel computer, ne ho cancellate alcune, stampate altre, buttato via qualcosa. Insomma, mi ci sono divertito. Perciò… non… non posso essere certo. Forse l’ho fotografata senza accorgermene. Non abitiamo tanto distanti, spesso la incontro, come succede a Siviglia.»
«Chi altri avrebbe potuto arrivare a quel pannello?»
«Non so. Ieri sera ho bevuto molto e mi sono addormentato come un sasso…»
«Non deve pensarci troppo», disse Alicia Aguado.
«Ma che cosa pensa che significhi? Non mi piace l’idea che la mia mente agisca in modo indipendente da me. È quello che succedeva a una delle vittime della mia indagine attuale.»
Falcón parlò dello strano biglietto trovato nella mano di Vega, del fatto che l’uomo aveva ricalcato la scrittura.
«Il lato positivo di questo episodio è che sembra indicare come lei, fissando Inés con uno spillo nella gola al pannello, si stia liberando dal potere che crede quella donna abbia su di lei.»
«Be’, questa è solo una delle interpretazioni possibili. Potrebbero essercene altre più oscure.»
«Non ci pensi. Sta facendo passi avanti, non si fermi proprio adesso.»
«D’accordo, parliamo d’altro… di Sebastián Ortega. Che ne pensa del suo comportamento, dal punto di vista psicologico?»
«Avrei bisogno di sapere molte più cose su di lui e sul caso, prima di azzardare un parere.»
«La mia teoria è che stesse vivendo una situazione ideale, che volesse essere per il bambino ciò che avrebbe voluto fosse stato suo padre per lui.»
«Non posso fare commenti.»
«Non le chiedo un’opinione professionale.»
«E io non do pareri amatoriali.»
«Okay, e allora di che cosa parliamo che non sia Inés?»
«Mi parli ancora del Juez Calderón.
«Non so più che cosa pensare di lui, sono confuso. All’inizio ero stato attratto dalla sua intelligenza e dalla sua sensibilità, poi ho scoperto che aveva una relazione con Inés, una cosa di cui non ho potuto e non posso parlare con lui. Ora stanno per sposarsi. Ho visto la sua stella innalzarsi costantemente, ma qualcuno sostiene che sia la vanità il motore delle sue azioni…»
«Credo che abbia tralasciato qualcosa.»