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L’Edificio de los Juzgados si stava preparando per una mattinata attiva; l’odore di umanità sudata in preda alla paura o alla speranza aveva raggiunto un’intensità animalesca che nessun sistema di aria condizionata al mondo avrebbe potuto eliminare. Falcón salì al piano superiore, nell’ufficio di Calderón affacciato sul parcheggio e sulla stazione dei pullman El Prado de San Sebastián. Il magistrato stava fumando. Sei mozziconi erano già nel posacenere, ognuno consumato fino al filtro. Falcón chiuse la porta alle sue spalle. Calderón aveva gli occhi cerchiati e l’espressione ancora vagamente allucinata di chi è appena tornato alla civiltà dopo un’esperienza nella natura. Falcón gli posò davanti i risultati delle autopsie e i rapporti della polizia e sedette.

Calderón lesse in fretta, assorbendo rapidamente la quantità di informazioni dettagliate, poi accese una sigaretta e si lasciò andare contro lo schienale, soppesando Falcón con lo sguardo. Parve sul punto di dire qualcosa di personale, ma si trattenne, come se volesse evitare un confronto troppo diretto prima del tempo.

«Che ne pensa di tutto questo, Javier?» domandò. «Le autopsie non hanno fornito le basi per un caso di omicidio. Mi sorprende che il Médico Forense non si sia sbilanciato di più.»

«Ufficialmente. Ufficiosamente, come tutti noi alla Jefatura, dubita che si sia trattato di suicidio, e per questa ragione non ha ancora dato il permesso di seppellire Vega.»

«Consideriamo lo stato mentale dei deceduti», propose Calderón. «Le condizioni della signora Vega erano gravi, tanto che doveva prendere il litio. In quanto al marito, non solo si comportava stranamente, come abbiamo visto nelle foto di Madeleine Krugman, ma si era fatto visitare da due e forse tre medici per il suo problema di ansia.»

Falcón capì che il giudice aveva voluto pronunciare il nome di lei, aveva avvertito il bisogno di quella dolcezza sulle labbra e sulla lingua. Questo gli fece decidere di lasciare nella cartella i fogli stampati da internet.

«La scena del delitto…» cominciò.

«Già, la scena del delitto», lo interruppe Calderón. «Direi che si può spiegare in vari modi: suicidio, omicidio, da una a tre persone coinvolte. Non avete nessun individuo sospetto, non ho trovato nemmeno il più vago movente in nessun rapporto, non avete testimoni. Il giardiniere, Sergei, non è stato ancora trovato.»

«Ci stiamo lavorando. Abbiamo la fotografia di un documento di identità e sappiamo che molto di recente è stato visto parlare con una donna in un bar vicino alla casa dei Vega. Stiamo anche cercando informazioni a Santa Clara e nel Polígono San Pablo», disse Falcón. «In quanto al movente abbiamo intenzione di lavorare molto sull’ipotesi russa e…»

«Non esaltiamoci troppo a proposito dei russi, finché non avremo saputo chi sono e controllato la situazione contabile per constatare quale sia il loro coinvolgimento. So che a Marbella e in altre località della Costa del Sol c’è una grossa attività di riciclaggio di denaro, ma finora qui a Siviglia abbiamo solo Pablo Ortega che dice di aver visto qualche russo fare visita al vicino sette mesi fa.»

«Io sono stato seguito fino a casa mercoledì sera da una Seat blu con targa rubata a Marbella e nei cantieri di Vega lavora manodopera illegale russa e ucraina», ribatté Falcón. «La scena del crimine, le condizioni dei cadaveri, l’attaccamento del defunto al figlio e gli elementi esterni potenzialmente pericolosi suscitano interrogativi sufficienti a giustificare ulteriori indagini.»

«Okay, accetto l’ipotesi russa, cerchiamo di darci da fare su questo fronte», disse Calderón. «Restando fermi sul suicidio per il momento, che mi dice del bambino?»

«La situazione familiare di Vega non era totalmente disperata, perfino il signor Cabello, che non ama certo il genero, ha riconosciuto che Vega voleva molto bene al figlio.»

«Ha bevuto l’acido muriatico invece di spararsi un colpo alla tempia, il che potrebbe suggerire che volesse punirsi per qualche ignoto peccato e proteggere il bambino dalla possibilità di vedere lo spettacolo di una morte cruenta. Forse si è ucciso proprio perché c’era qualcosa che non sopportava di far sapere al figlio», ipotizzò Calderón. «Se lei avesse un figlio, Javier, che cosa non vorrebbe mai che sapesse di lei?»

«Troverei difficile guardarlo in faccia se sapesse che sono un criminale di guerra, per esempio», rispose Falcón. «La differenza tra un criminale di guerra e un assassino comune è che nel primo caso è possibile arrivare a capire chi si è stati. Con il passare degli anni e i cambiamenti nella storia, il criminale di guerra potrebbe rendersi conto di essere stato persuaso da una combinazione di ideologie politiche, esaltazione patriottica e paura a passare dallo stato di comune cittadino a quello di assassino spietato, ma convinto di essere nel giusto e di fare il proprio dovere verso il regime. In seguito, specialmente se fosse ricercato dalla giustizia, potrebbe riflettere su ciò che ha fatto e provare rimorso. Non riesco a immaginare di guardare mio figlio negli occhi e fargli sapere che sono stato capace di tanta spietatezza.»

Silenzio. Un’altra sigaretta.

«Stiamo facendo quello che due uomini di legge non dovrebbero mai fare», disse Calderón.

«Torniamo ai fatti», tagliò corto Falcón. «Abbiamo trovato un passaporto falso in uno dei congelatori di Vega. È argentino e intestato a Emilio Cruz. Lo stiamo controllando e controlliamo anche la carta di identità di Rafael Vega.»

Calderón annuì, spense la sigaretta, ne accese un’altra.

«Vásquez ha detto che i genitori di Vega erano stati ‘uccisi’, suggerendo che non erano morti per cause naturali», riprese Falcón. «Chi erano? Come sono morti? Potrebbe essere interessante scoprirlo.»

«Per ricostruire lo sfondo, sì.»

«E c’è un’altra cosa che non è stata scritta nei rapporti. Ho trovato nello studio di Vega un raccoglitore con l’etichetta Justicia. Dentro c’erano articoli e stampate da internet su tribunali come la Corte penale internazionale…»

«Ecco il suo criminale di guerra, Javier!»

«…su Baltasar Garzón e sul sistema giudiziario belga. Una documentazione molto curiosa per un costruttore, anche se interessato ai temi di attualità. Mettiamo insieme questo, lo strano biglietto che stringeva nella mano al momento della morte nonché il passaporto falso, e forse ci troviamo in presenza di una persona che poteva essere in possesso di informazioni tali da danneggiare qualcuno.»

«Sia i Krugman sia Ortega hanno accennato a sentimenti antiamericani da parte di Vega», osservò Calderón.

«Forse non così generalizzati. Credo che il risentimento di Vega fosse diretto più che altro contro il governo, Marty Krugman ha perfino detto che era filoamericano.»

«Comunque sia, l’ho ricordato soltanto perché l’amministrazione degli Stati Uniti è contraria alla Corte penale internazionale, che si collega direttamente alla situazione mondiale post 11 settembre. E c’è il bizzarro biglietto di Vega, come ha detto lei.»

«Ieri ho letto qualcosa in merito sul País, ma non ho capito bene le ragioni degli americani.»

«La ragione apparente è che il governo americano non vuole che i suoi cittadini siano processati ingiustamente», spiegò Calderón. «La ragione vera è che il mondo, dopo l’11 settembre, ha bisogno di un’operazione di polizia. I poliziotti sono i soldati americani e gli americani vogliono riservarsi il diritto di decidere ciò che è giusto, oltre a non volere che un membro dell’amministrazione possa essere accusato di crimini di guerra. Sono la nazione più potente della terra, che esercita la sua influenza ovunque può. A molti non piacciono le loro tattiche: ‘Se non ci appoggiate, tagliamo gli aiuti militari’. Ma viviamo in un mondo complesso, dove chi per qualcuno è un campione della libertà per qualcun altro è un terrorista, e dove un’azione militare giustificata per altri è un’atrocità.»