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«Allora non pensa che sia un corso d’indagine interessante scoprire perché Vega avesse un sia pur minimo interesse per la Corte penale internazionale e altri sistemi giudiziari?»

«Non so che cosa si aspettasse, perché la Corte internazionale è entrata in funzione il primo luglio di quest’anno e non può occuparsi di crimini commessi prima di quella data. Il sistema giudiziario belga e Baltasar Garzón significano soltanto che bisogna girare alla larga dall’Europa, se si ha paura di essere accusati o arrestati. Perciò non restringa troppo il campo, Javier», consigliò Calderón. «E non perdete di vista i particolari. È stato trovato dell’acido muriatico nella proprietà?»

«Non ancora. Non abbiamo potuto perquisirla a fondo, la mia squadra è impegnata nella ricerca di Sergei oltre che a setacciare gli uffici di Vega.»

«Lei sa che cosa cerco: un movente», disse Calderón. «Non voglio rapporti su cose che non sono state trovate. Non trovare l’acido muriatico è solo un indizio, non significa niente. Non voglio… fantasmi.»

Calderón fece un’imitazione passabile di un uomo che stesse affogando al proprio tavolo di lavoro.

«Ecco perché non ci piace parlare delle nostre intuizioni con voi giudici», fece notare Falcón.

«Ho esagerato», ammise Calderón, «so che siete concentrati sugli elementi concreti e sui fatti, ma per il momento non abbiamo in mano altro che vaghe possibilità: il coinvolgimento della mafia russa, la fissazione di Vega per i tribunali internazionali, il giro di pedofili di Carvajal…»

«Di questo non abbiamo ancora discusso.»

«Sono solo nomi su una rubrica, qualcuno cancellato. Niente di sostanzioso, Javier. Non si tratta nemmeno di scheletri nell’armadio, in questo caso. Sono solo fantasmi.»

«Ecco che ci risiamo.»

«Lei sa che genere di materiale mi occorre. Non permetterò che ci impegniamo in un’inchiesta a tutto campo fino a quando non l’avrò avuto. Ci aggiorniamo ai primi della settimana prossima e, se per quella data non mi avrete portato niente che regga in tribunale, allora passeremo ad altro.»

Calderón si allungò sulla poltrona, si accese un’altra sigaretta — Falcón non ricordava che il Juez fumasse tanto — e si smarrì nei suoi pensieri.

«Voleva vedermi da solo», gli ricordò Javier, per distogliere Calderón dalle sue fantasticherie.

«Oltre al fatto che non volevo essere sottoposto al martellamento di Ramírez…»

«È sotto tono ultimamente», lo interruppe Falcón. «Sua figlia è in ospedale per accertamenti.»

«Niente di grave, spero», si informò Calderón automaticamente, la notizia entrata da un orecchio e uscita dall’altro, la mente occupata solo dai suoi problemi. «Non sapevo che lei fosse ancora in contatto con Inés.»

«Non lo sono», disse Falcón, che si imbarcò poi in una spiegazione assurdamente complicata del perché si trovasse da El Cairo con lei.

«Inés mi è sembrata molto nervosa», osservò Calderón.

«Pensi a quello che le è capitato l’ultima volta che si è sposata.» Falcón allargò le braccia, optando per il ridicolo. «Sembrava preoccupata che lei avesse qualche dubbio. Io…»

«Perché dovrebbe pensare che ho dei dubbi?» domandò il giudice e Falcón sentì le punte di diamante della mente inquisitoria di Calderón trapanargli il cervello.

«Le era sembrato nervoso.»

«E lei che cosa ha risposto?»

«Che era del tutto naturale per un uomo sentirsi nervoso in simili circostanze, io stesso avevo provato la stessa apprensione. E spesso l’apprensione viene scambiata per incertezza.»

«Lei aveva avuto dei dubbi?» domandò Calderón.

«Non ho mai dubitato di lei», rispose Falcón, con il sudore che gli scorreva lungo la schiena.

«Non era questa la mia domanda, Javier.»

«Probabilmente di dubbi ne ho avuti. Ora mi rendo conto che forse avevo paura del cambiamento, della mia incapacità di…»

«Di che cosa?»

La sedia cigolò mentre Falcón si divincolava sullo spiedo delle domande del giudice.

«Ero un uomo diverso, allora, più distante. Per questo sono in psicoterapia», rispose.

«E ora?»

Con quell’ultima domanda Calderón aveva chiuso il cerchio. Falcón fu quasi grato al magistrato dell’implicito avvertimento di non ficcare il naso nella sua vita privata.

«È un percorso lungo», disse.

Falcón, seduto alla scrivania, ripensò alla conversazione, sollevato all’idea di non aver tirato fuori ciò che aveva trovato in internet su Madeleine Krugman. La cosa avrebbe potuto far infuriare Calderón, il giudice sapeva che Falcón aveva intuito qualcosa. Ma in quella situazione personale delicata, Falcón non avrebbe potuto mettersi a parlare del coinvolgimento di Maddy nelle indagini dell’FBI finché non fosse stato certo dei fatti. Mentre componeva il numero del suo avvocato, Isabel Cano, provò compassione per quelle due vite che vedeva correre verso la distruzione.

Avrebbero potuto vedersi per dieci minuti al massimo, gli disse l’avvocato. Falcón si recò nel piccolo studio in Calle Julio César, entrandovi dopo essere passato davanti ai tre praticanti nell’ufficio esterno. Isabel Cano lo accolse a piedi nudi. Falcón si accomodò a sedere e le espose la sua proposta per arrivare a un accordo con Manuela.

«Sei pazzo, Javier?»

«Non sempre.»

«Vorresti regalarle tutto ciò per cui ci siamo battuti negli ultimi sei mesi, saresti disposto a perdere, Dio lo sa, mezzo milione di euro? Ma perché non le regaliamo anche il contenuto della casa, allora?»

«Non è una cattiva idea.»

La donna si sporse verso di lui sulla scrivania, capelli lunghi e neri, occhi scurissimi, un viso moresco bello, ardente e altero che in tribunale sapeva paralizzare i fiscales a cento metri di distanza.

«La strizzacervelli ti sta ancora armeggiando nella zucca?»

«Sì.»

«C è stato un cambiamento nei farmaci?»

«No.»

«Li stai ancora prendendo?»

Falcón fece cenno di sì.

«Be’, non so che cosa stia succedendo nella tua testa, ma di sicuro è un gran casino», affermò l’avvocato.

«Non voglio più vivere in quella casa, non voglio vivere con Francisco Falcón. Manuela invece sì. È fissata con quella casa… ma non ha soldi.»

«Perciò non può averla, Javier.»

«Pensaci su.»

«Ho già pensato e dico no, all’istante.»

«Riflettici ancora un po’.»

«I tuoi dieci minuti sono finiti», annunciò Isabel, infilandosi le scarpe. «Accompagnami alla macchina.»

I praticanti la bombardarono di richieste mentre passava, ma lei li ignorò e uscì facendo scoppiettare i tacchi sul pavimento di marmo.

«Avrei un’altra domanda», disse Falcón.

«Speriamo che sia meno costosa della prima, o non potrai più permetterti i miei servizi.»

«Conosci il Juez Calderón?»

«Ma certo, Javier.» Isabel Cano si fermò di colpo e Falcón, che la seguiva, le sbatté contro. «Ah, ora ci sono! Sei sconvolto per via di lui e Inés. Dimentichiamoci di questa tua visita e quando sarai più calmo…»

«Non sono così sconvolto.»

«Allora che vuoi sapere di Calderón?»