«Ha una reputazione?»
«Lunga come il tuo braccio… più lunga della tua gamba… più lunga di questa strada.»
«Voglio dire… con le donne.»
Falcón, che la scrutava in faccia ansiosamente, vide tutta la fierezza della donna svanire, sostituita da una pena immensa che affiorò come una balena arpionata e poi scomparve. Isabel Cano si voltò, puntò le chiavi verso l’auto e le luci posteriori lampeggiarono.
«Esteban è sempre a caccia di donne», disse.
Salì in macchina e partì, lasciando Falcón fermo sul marciapiede, a pensare che Isabel Cano era felicemente sposata da più di dieci anni.
12
Venerdì 26 luglio 2002
Mentre guidava alla volta della villa di Ortega, ricevette una chiamata di Jorge: la carta usata per la foto di Inés era di marca e qualità diverse da quella che gli aveva portato Falcón. In un primo momento la notizia lo mise di buon umore, poi si rese conto che quella prova della sua sanità mentale significava anche che qualcuno si era introdotto in casa sua e aveva fissato la foto al pannello. E per di più doveva sapere tutto di lui e della sua particolare fragilità. Si sentì bruciare il sangue nelle vene ma si calmò, pensando che tutti conoscevano la sua storia, dopo lo scandalo di Francisco Falcón.
Pablo Ortega aveva portato fuori i cani e stava rientrando in quel momento. Falcón abbassò il finestrino e gli domandò se potesse dedicargli qualche minuto. Ortega annuì con aria cupa. Falcón tirò fuori la fotografia dalla cartella, Ortega gli tenne aperto il cancello. Il fetore di liquame era spesso come un muro di fango. Girarono intorno alla casa, entrarono in cucina e i cani bevvero rumorosamente.
«Ho avuto qualche buona notizia a proposito del pozzo nero», disse Ortega, incapace di sembrare contento. «Un’impresa mandata da mio fratello dice che può ricostruire senza buttare giù tutte le stanze e che può farlo per cinque milioni.»
«Bene», si congratulò Falcón, «mi fa piacere che il suo problema possa essere risolto.»
Passarono in soggiorno e si accomodarono.
«Potrei avere anch’io una buona notizia per lei», riprese Falcón, intenzionato a insistere sulle cose positive. «Vorrei aiutarla per quanto riguarda Sebastián.»
«Non serve che lei lo aiuti da fuori, se Sebastián non vuole aiutarsi da dentro.»
«Credo di poterlo aiutare anche sotto questo aspetto», disse Falcón, pur senza essere certo che Alicia Aguado avrebbe accettato. «Una psicologa sta studiando il suo caso e forse gli parlerà.»
«Una psicologa», ripeté Ortega lentamente. «E di che cosa parlerà con Sebastián?»
«Potrebbe scoprire perché Sebastián ha sentito il bisogno di farsi rinchiudere in carcere.»
«Non si è fatto rinchiudere!» protestò Ortega scattando in piedi con un gesto drammatico della mano. «È stata la Giustizia a incarcerarlo, con l’aiuto di quel cabrón del Juez Calderón.»
«Ma Sebastián non si è difeso, sembra che abbia accettato di buon grado la pena e non abbia offerto nessuno spunto utile a mitigare la sentenza. Perché?»
Ortega si premette i pugni sui fianchi abbondanti, inspirando profondamente come se volesse buttare giù la casa soffiando.
«Perché», rispose poi quietamente, «era colpevole… Era solo il suo stato mentale a essere in discussione. La corte ha deciso che era sano di mente, io contesto questa decisione.»
«La mia psicologa lo appurerà», affermò Falcón.
«Di che cosa gli parlerà? Il ragazzo è già abbastanza fragile, non voglio che sia turbato ulteriormente. È già in isolamento, non posso correre il rischio che cominci a pensare al suicidio.»
«Dalla prigione hanno fatto sapere che potrebbe essere così?»
«Per ora no.»
«È una psicologa molto brava, Pablo. Non credo che gli farà male vederla», insistette Falcón. «E nel frattempo io mi occuperò di alcuni aspetti del caso…»
«Per esempio?»
«Per esempio, del bambino rapito, Manolo. Dovrei parlare con i genitori.»
«Non concluderà niente con loro, il nome di Ortega non può essere pronunciato in quella casa. Il padre ha avuto una specie di crollo, non è più in grado di lavorare. Hanno sparso voci malevole su di me, tanto che il barrio intero mi si è rivoltato contro. Voglio dire, è per questo che mi trovo qui, Javier… e non là.»
«Devo assolutamente parlare con loro. È stata la deposizione di Manolo la causa di una sentenza così dura per Sebastián.»
«Perché dovrebbe cambiarla? È stato lui a testimoniare così.»
«È proprio quello che devo scoprire: se sia stato lui a voler testimoniare in quel senso o se altri lo abbiano suggestionato.»
«Questo che vorrebbe dire?»
«Era ancora un bambino: a quell’età si fa ciò che gli adulti ti dicono di fare.»
«Lei sa qualcosa, non è così, Javier? Che cosa sa?»
«So che voglio dare una mano.»
«Be’, non mi piace», disse Ortega, «e non voglio che Sebastián debba rimetterci.»
«Non può andare peggio di così per lui, Pablo.»
«Smuoverà certe cose…», disse Ortega, reiterando le sue paure. Aveva cominciato a parlare con rabbia, ma dopo un po’ si fece più calmo. «Le dispiace darmi il tempo di pensarci su, Javier? Non voglio essere precipitoso, è una faccenda delicata, la stampa, la televisione si sono appena acquietate, non le voglio di nuovo a soffiarmi sul collo. D’accordo?»
«Non si preoccupi, Pablo, si prenda tutto il tempo che le occorre.»
Ortega lanciò un’occhiata alla fotografia con cui Falcón stava giocherellando.
«Niente altro?» domandò.
«Ho un po’ di confusione sui suoi rapporti con Rafael Vega», rispose Falcón, sfogliando il suo taccuino. «Lei ha detto: ‘lo conoscevo, si è presentato una settimana dopo che mi sono trasferito qui.’ Significa che lo conosceva già prima di trasferirsi qui o che lo ha conosciuto quando è venuto ad abitare a Santa Clara?»
Ortega stava fissando la fotografia sul tavolo, capovolta, come se Falcón fosse un giocatore di poker e quella fosse una carta che avesse pescato, ma non fosse interessato a sapere quale fosse.
«Lo conoscevo già prima di venire qui», rispose Ortega. «Suppongo che avrei dovuto dire che si era ‘ripresentato’. Lo avevo conosciuto a non so quale cena, non ricordo chi…»
«L’aveva visto una, due, tre volte?»
«Non è facile per me ricordare, incontro tanta gente…»
«Conosceva anche il defunto marito di Consuelo Jiménez?»
«Sì, sì, Raúl. Deve essere stato lì, lavoravano nello stesso ramo e io frequentavo il ristorante a El Porvenir. Ecco com’è andata.»
«Credevo che fosse stato per via di suo fratello e dei suoi impianti di aria condizionata.»
«Sì, sì, sì, ora ci sono. Certo.»
Falcón gli porse la fotografia, osservandolo bene in viso mentre Ortega la guardava.
«Con chi sta parlando in questa foto?» gli domandò.
«Lo sa Iddio», disse Ortega. «Questo è mio fratello, lo riconosco dalla calvizie. Questo tizio… non lo so.»
«È stata scattata durante una cena a casa di Raúl Jiménez.»
«Non mi è di aiuto saperlo, andavo a decine di cene, incontravo centinaia di… Posso dire soltanto che non era del mio ambiente, doveva essere nell’edilizia.»
«Raúl divideva i suoi amici tra celebrità e… persone utili ai suoi affari», disse Falcón. «Sono sorpreso che nella foto lei non figuri tra le celebrità.»
«Raúl Jiménez credeva che Lorca fosse una marca di sherry, non era mai entrato in un teatro in tutta la sua vita, gli piaceva pensare di essere amico di Antonio Banderas e di Ana Rosa Quintana, ma non era così. Era tutta pubblicità. Io ero un… No, cerchiamo di essere precisi: ogni tanto io davo una mano a mio fratello intervenendo a qualche ricevimento. Conoscevo Raúl e ho conosciuto Rafael, ma non eravamo esattamente amici.»