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L’ambulanza e le auto si allontanarono verso l’Avenida de Kansas City, ma una macchina della polizia rimase sul posto per tenere d’occhio la casa. La notizia della morte di Ortega probabilmente avrebbe fatto scalpore. Falcón si offrì di accompagnare a casa Alicia Aguado, ma la psichiatra era ansiosa di ascoltare da lui la descrizione della collezione nominata nella lettera.

La collezione, che Ortega aveva spostato nel soggiorno dopo il crollo della copertura della fossa biologica, era stata raccolta a un’estremità della stanza, i pezzi più piccoli sui tavoli, le sculture sul pavimento e i quadri appoggiati alle pareti. Su un foglio di carta attaccato con lo scotch alla superficie di un tavolo antico erano elencati tutti i pezzi con la data di acquisto e il prezzo. Falcón fece scorrere lo sguardo sui diciotto pezzi elencati fino al quadro di Francisco Falcón che aveva visto durante la sua prima visita.

«Interessante», disse, «Ortega ha comprato il dipinto di Francisco Falcón il 15 maggio del 2001, cioè dopo che la frode era stata scoperta. E lo ha pagato duecentocinquantamila pesetas.»

«A quanto si vendevano prima?»

«Avrebbe dovuto sborsare circa due milioni. Lo ha comprato bene, perché ora stanno risalendo. I vecchi collezionisti hanno cercato di liberarsi dei Francisco Falcón quando si è diffusa la notizia, ma ora si è creato un mercato diverso, compratori appartenenti al genere postmoderno: ‘Che cos’è la vera arte?’ e cose del genere. E tra loro e i cacciatori di cimeli di criminali celebri, i prezzi sono di nuovo alti.»

«Così conosceva Francisco, ma ha comprato un suo quadro solo quando la verità su di lui è stata rivelata a tutti», osservò Alicia Aguado. «Questo dice qualcosa.»

Falcón le raccontò del disegno di Picasso, un centauro, e come Ortega lo usasse per mettere alla prova le persone.

«Mi descriva i pezzi della lista. La fermerò se avrò bisogno di particolari.»

«Due statuette africane di ebano raffiguranti giovani con una lancia nel pugno, Costa d’Avorio. Una maschera dello Zaire.»

«Me la descriva, Javier. Gli attori sono esperti di maschere.»

«È lunga sessanta centimetri, larga venti, ha i capelli rossi, per occhi due fessure e un lungo naso, pezzetti di osso e frammenti di specchio infilati nella bocca a mo’ di denti. È una cosa piuttosto terrificante, ma ben modellata. Comprata a New York nel 1966 per novecentocinquanta dollari.»

«Sembrerebbe la maschera di uno stregone. Continui.»

«Le quattro seguenti sono statuette di porcellana Meissen, tutte maschili.»

«Detesto le statuette di porcellana.»

«Uno specchio lungo con cornice dorata rococò. Parigi, 1984. Novemila franchi.»

«Qualcosa in cui guardarsi con un’aureola d’oro.»

«Una bottiglia di vetro romano, opaca, con i colori dell’iride. Una serie di monete d’argento, anche queste romane. Una poltrona dorata Luigi XV, acquistata a Londra nel 1982. L’ha pagata novemila sterline.»

«Abbastanza costosa da poter essere il suo trono.»

«Un cavallo di bronzo al galoppo, romano. Una testa di toro greca. Un frammento di vaso con figura di ragazzo che corre, greco. Un’opera di Manuel Rivera dal titolo Anatomía en el Espejo.»

«Anatomia in uno specchio? Come è fatta?»

«Metallo su legno. Immagine speculare. Difficile da descrivere. E qui c’è anche un quadro di Zobel intitolato Giardino secco, nonché un dipinto erotico indiano.»

«Che genere di erotismo?»

«Una descrizione piuttosto esplicita di un uomo con un pene enorme che fa l’amore con una donna», spiegò Falcón. «E questo è tutto.»

«Un uomo molto complicato, con le sue figure, le sue maschere e i suoi specchi», osservò Alicia. «Non c’è un’indicazione di come abbia cominciato la raccolta?»

Falcón frugò nei cassetti di una scrivania antica e trovò una serie di fotografie della collezione, ognuna con una data sul retro. In tutte Pablo Ortega era seduto sulla sedia Luigi XV. La più recente comprendeva tutti i pezzi tranne il dipinto erotico indiano e lo Zobel. Poi Falcón si rese conto che nella foto Ortega stava guardando lo Zobel, mentre il dipinto indiano era più recente e non era stato incluso. Descrisse la foto ad Alicia.

«Sembra che voglia mostrarci la Bella e la Bestia. La maschera dello Zaire è tutte e due le cose. I pezzi su un lato sembrerebbero immagini di bellezza, di nobiltà e di magnificenza: il centauro di Picasso, la testa di toro, il cavallo al galoppo, il ragazzo che corre. Sto semplificando, perché è più complicato di così. Anche i centauri sono mostri. E da che cosa fugge il ragazzo? Poi ci sono le monete e la bottiglia romana, bella ma vuota. E il quadro di Rivera riflesso nello specchio dorato… questo non lo capisco.»

«E i pezzi sull’altro lato?»

«Tra quelli c’è il fraudolento Francisco Falcón e Ortega ha passato la vita a fingere. Le belle figurine racchiuse nella porcellana, cioè l’attore nei suoi ruoli… e con l’implicito ‘Io sono vuoto come loro’. Lo specchio è qualcosa di duro, di riflettente, che avvolge in oro il suo narcisismo.»

«E i giovani di ebano?»

«Non saprei… forse custodiscono i suoi segreti. O li mantengono.»

«E perché lui guarda sempre il Giardino secco

«Probabilmente questa è la sua idea della morte: bella, ma disseccata. Javier, lo sa che non potrà usare nulla di tutto questo in un tribunale?» soggiunse Alicia.

«Certo», rise Falcón, divertito da quella ipotesi assurda. «Spero soltanto di capire meglio. Pablo mi aveva detto che la collezione rivelava tutto di lui, che non aveva niente da nascondere. Qual è la sua impressione generale?»

«È una collezione molto maschile, l’unica figura femminile è nel dipinto erotico indiano, perfino i pezzi che non raffigurano esseri umani sono maschili: cavalli, tori, centauri. Che ne è stato della moglie, la madre di Sebastián?»

«È morta di cancro, ma, e questo è interessante, prima era scappata… cito le parole esatte di Pablo: era scappata in America con un idiota col cazzo grosso.»

«Oh mio Dio», disse Alicia fingendosi sgomenta. «Guai in camera da letto. Mi chiedo se tutti questi specchi, maschere e figure non vogliano dire che il ruolo più importante che ha mai interpretato è quello di se stesso nella sua propria vita, recitando la parte dell’uomo virile, forte, sessualmente potente, mentre in realtà… non lo era.»

«Forse è arrivato il momento di parlare con il figlio», concluse Falcón.

17

Sabato 27 luglio 2002

Prima di arrivare al carcere di Alacalà, fuori Siviglia, Falcón telefonò al direttore, che conosceva bene, e gli spiegò la situazione. Il direttore era a casa, ma disse che avrebbe fatto le telefonate necessarie e il detenuto sarebbe stato a disposizione al loro arrivo; nessun problema per quanto riguardava la presenza di Alicia Aguado, anche se uno psicologo del carcere avrebbe dovuto assistere al colloquio, con un infermiere, nel caso Sebastián dovesse essere sedato.

Il carcere, isolato in un tratto di terreno arido e bruciato sulla strada per Antequera, tremolava nelle onde di calore sprigionate dal suolo al punto da scomparire completamente alla vista. Entrarono con l’auto nel cortile esterno, circondato da due cinte di rete metallica di sicurezza e si fermarono davanti alle mura della prigione, dove parcheggiarono.