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«Ho appena avuto… uno scontro con Maddy Krugman.»

«La puta americana non sarà venuta a trovarti a casa nel tuo giorno libero?»

«Mi ha teso un’imboscata per strada. È la terza volta. È venuta due volte quando ero nella casa dei Vega… mi ha offerto il caffè, voleva parlare.»

«Joder, Javier, quella ti sta addosso.»

«C’è qualcosa del vampiro in lei, anche se non si ciba di sangue.»

«Mio Dio, le hai permesso di avvicinarsi tanto?»

«Credo che si cibi di ciò che non ha», continuò Falcón. «I suoi discorsi sono infarciti di espressioni artificiose come ‘io enfatizzo’, ‘reazioni emotive’, ‘la prigione della sua angoscia’, ma non ha idea di che cosa significhino. Perciò quando vede la gente che soffre veramente la fotografa, cattura la loro sofferenza e la fa sua. Quando vivevo a Tangeri i marocchini credevano che i fotografi rubassero la loro anima. E questo fa Maddy Krugman. Ha qualcosa di sinistro, quella donna.»

«Ne parli come se fosse la principale sospetta del delitto.»

«Forse la manderò nella prigione della sua angoscia.»

Consuelo lo attirò a sé e lo baciò con passione sulla bocca.

«E questo perché?»

«Non è detto che tu debba sapere tutto.»

«Sono un Inspector Jefe, è nella mia natura.»

Arrivarono i piatti. Consuelo si staccò da lui e gli versò altra manzanilla. Prima che cominciassero a mangiare Falcón le fece segno di avvicinarsi così che le loro guance si sfiorarono al di sopra del tavolo.

«Non posso dirlo a voce troppo alta qui», disse Falcón, accostandole le labbra all’orecchio, «ma c’è un’altra ragione per cui sembro un po’ teso. È che… mi sto innamorando di te.»

Consuelo lo baciò sulla guancia, gli tenne la mano.

«Come lo sai?»

«Lo so, perché quando sono entrato e ti ho visto che mi aspettavi, mi sono sentito pieno di felicità, sapendo che la sedia vuota era la mia.»

«Va bene, sei a posto», disse lei, «puoi restare.»

Falcón si raddrizzò, alzò il bicchiere in un brindisi e bevve.

Scelsero un vino bianco da bere con la spigola che avevano ordinato dopo l’antipasto.

«Mi dispiace, mi stavo dimenticando», disse a un tratto Consuelo, frugando nella borsa. «Qualcuno del tuo ufficio…»

«Del mio ufficio?»

«Ho dedotto che fosse della Jefatura, mi ha detto di darti questa…» Gli porse una busta.

«Nessuno sa che sono qui», si stupì Falcón, «nessuno tranne te. Ripetimi che cosa ti ha detto.»

«Ha detto: ‘A quanto so, lei ha appuntamento qui con l’Inspector Jefe Falcón. Per favore gli dia questa, mi raccomando.’ E mi ha messo in mano la busta.»

«Era spagnolo?»

«Sivigliano.»

Falcón rigirò tra le mani la busta bianca. Era molto sottile e, in controluce, sembrava contenere un unico foglio. Falcón sapeva che si trattava di un’altra minaccia e che non avrebbe dovuto aprirla davanti a Consuelo. Annuì e la infilò in tasca.

Prese un taxi per tornare a casa e andò dritto nello studio, dove teneva i guanti di lattice. Usò un tagliacarte per aprire la busta e la scosse, facendo cadere una foto che era stata avvolta in un foglio bianco.

Il corpo nudo di Nadia Kouzmikheva era bianchissimo alla luce del flash. Era bendata e legata a una sedia, le braccia dolorosamente assicurate dietro la spalliera. Sul muro sudicio alle sue spalle l’impronta color ruggine di una mano e una scritta in nero: El precio de la carne es barato. La carne costa poco.

18

Sabato 27 luglio 2002

La luce del sole era ancora viva nelle fessure delle imposte di legno mentre Falcón, sdraiato sul letto, pensava a Nadia, resa cieca e vulnerabile, un’immagine vivida dentro di lui. Aveva superato l’iniziale reazione di orrore e indotto la parte analitica della sua mente a ragionare sul significato di quell’ultimo avvertimento. Quelle minacce, l’una peggiore dell’altra, ognuna frutto di un’invasione sempre più approfondita nella sua vita privata e che ora coinvolgevano anche Consuelo… qual era il loro scopo? La macchina che lo aveva seguito la sera del primo giorno e la fotografia di Inés appuntata sul pannello erano state un tentativo di togliergli sicurezza. Erano avvertimenti arroganti: siamo in grado di seguirti e non ci importa che tu ci veda, possiamo entrare in casa tua e sappiamo molte cose di te. L’implicita minaccia fisica a Nadia e il coinvolgimento di Consuelo alzavano la posta, ma qual era il loro vero significato? Rinunciò a qualsiasi tentativo di dormire e si trascinò sotto la doccia, lasciando che l’acqua gli scrosciasse sulla testa e si portasse via i fumi del vino. Nessuna di quelle minacce apparentemente spavalde fino a quel momento aveva avuto seguito. Si stava cercando di distoglierlo… ma da che cosa?

Si mise a pensare a Rafael Vega e ai russi. La frase usata da Vásquez — «aiutandoli nei loro affari» — gli era rimasta impigliata nel cervello. Sarebbe stato logico pensare che un imprenditore legato in modo oscuro alla mafia russa e successivamente trovato morto fosse stato assassinato a causa di qualche disaccordo con loro. In questo particolare caso, però, non sembrava un ragionamento tanto logico. I russi traevano vantaggi enormi dai rapporti con Vega: perché ucciderlo?

Non c’era ragione di non credere a Vásquez quando diceva che non era stato coinvolto nelle trattative per l’acquisto dei terreni e non aveva avuto modo di mettersi in contatto diretto con i russi; era una cosa che si accordava con lo stile di Vega, sempre attento a tenere tutto diviso in compartimenti stagni. Il fatto che Pablo Ortega avesse visto i russi a Santa Clara sembrava indicare che Ivanov e Zelenov si vedevano con lui soltanto a casa sua e il numero memorizzato nel telefono del suo studio era forse una conferma dell’esclusione di ogni contatto nella sede dell’impresa. E questo spiegava anche come mai il sistema di sicurezza fosse stato staccato: né Vega né i russi avevano voluto che rimanesse traccia di quelle visite.

Falcón si vestì e scese nello studio, dove mise la busta e la fotografia di Nadia in una busta di plastica, poi si allungò sulla poltrona mentre la furia e la frustrazione si mettevano all’opera nel suo organismo. Era impotente. Riorganizzare le indagini sulla base del rapimento di Nadia sarebbe stato inutile. Cominciava a pensare che i russi volessero distoglierlo dall’inchiesta sulla morte di Vega, perché erano ansiosi di nascondere un delitto molto più grave del probabile assassinio del costruttore.

Ricordò all’improvviso il fallito tentativo di telefonare a Ignacio Ortega e provò un’altra volta. Il cellulare era ancora spento e dagli altri numeri trovati sulla rubrica di Pablo non ebbe risposta. Tirò fuori il taccuino e controllò l’elenco delle cose che aveva pensato di fare quella mattina, se non fosse stato per il suicidio di Pablo Ortega. Interrogare Marty Krugman.

Marty Krugman era negli uffici della Vega Construcciones in Avenida de la República de Argentina, impegnato a finire alcuni disegni sul computer più potente che aveva a disposizione. Disse che sarebbe stato felice di vederlo, lo avrebbe aspettato in ufficio e si sarebbe accertato che il conserje lo lasciasse passare. Mentre era al telefono Falcón buttò giù tre argomenti di cui voleva parlare con Marty Krugman: l’11 settembre, i russi, la moglie.

L’entrata del palazzo della Vega Construcciones si trovava fra due grosse agenzie immobiliari che pubblicizzavano nelle vetrine i progetti della Vega. Il conserje lo lasciò entrare e lo fece salire direttamente nell’ufficio di Marty Krugman.

Marty era seduto con i piedi sulla scrivania. Indossava scarpe rosse da basket. Si strinsero la mano.