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«Maddy mi ha detto che ieri avete parlato di Reza Sangari», esordì Marty.

«Proprio così», rispose Falcón, rendendosi conto che il motivo per cui Krugman era stato così pronto a vederlo di sabato sera era che ce l’aveva con lui.

«Ha anche detto che lei ha ipotizzato una sua relazione con Rafael.»

«Sono domande che dovevano essere fatte», spiegò Falcón, «mi interessava solo sapere se sua moglie avesse potuto influenzare in qualche modo la stabilità psichica del signor Vega.»

«Era una domanda assurda e non ho affatto apprezzato che gliela abbia rivolta», ribatté Marty. «Lei non ha idea di che cosa abbiamo passato per il fatto di Reza Sangari.»

«È vero… e per questo ho dovuto farle quelle domande. Io non so nulla su di voi e devo scoprirlo; e voi siete stati comprensibilmente reticenti su certi eventi drammatici della vostra vita.»

«Ora è soddisfatto?» disse Marty, accennando a fare marcia indietro.

«Per il momento… sì.»

Marty gli fece cenno di accomodarsi sulla sedia di fronte a lui.

«Sua moglie mi ha detto che lei parlava molto con il signor Vega», riprese Falcón.

«Sul piano intellettuale era un rapporto stimolante», rispose Marty. «Sa com’è, non ci si diverte a conversare con qualcuno che ci dà sempre ragione.»

«Sua moglie ha detto che lei era sorpreso di quanto voi due foste d’accordo.»

«Sì, non mi sarei mai aspettato di avere qualche punto in comune con chi pensa che Franco avesse ragione a proposito dei comunisti: avrebbero dovuto essere fucilati tutti quanti, secondo lui.»

«E su che cosa vi trovavate d’accordo allora?»

«Avevamo le stesse idee a proposito dell’impero americano.»

«Non sapevo che ce ne fosse uno.»

«Si chiama mondo», spiegò Marty. «Noi americani non ci perdiamo in quell’idiozia del colonialismo tradizionale, che fa perdere un sacco di tempo e costa un sacco di soldi, a noi basta… globalizzare.»

«Il biglietto che aveva nella mano Rafael Vega, con quel riferimento all’11 settembre», disse Falcón, interrompendolo con decisione prima che Marty partisse in quarta. «Pablo Ortega mi ha detto che Vega riteneva che l’America si fosse meritata quello che è avvenuto l’11 settembre.»

«Su questo abbiamo avuto discussioni accese», disse Marty. «È uno dei pochi argomenti che mi emozionano. Due amici miei lavoravano per la Cantor Fitzgerald e, come moltissimi americani e specialmente newyorchesi di diverse culture, non vedo perché loro e gli altri tremila siano dovuti morire.»

«Ma perché crede che lui lo pensasse?»

«L’impero americano non è diverso dagli altri. Noi crediamo che la ragione per cui siamo diventati così potenti non sia soltanto l’aver potuto disporre delle risorse necessarie al momento storico opportuno per sconfiggere l’unico altro contendente, ma sia anche il nostro essere nel giusto. Abbiamo sconfitto un’ideologia di massa non con la bomba atomica, ma con la pura e semplice brutalità delle cifre. Abbiamo costretto l’Unione Sovietica a stare al nostro gioco e le abbiamo fatto fare bancarotta. E la gran cosa del nostro sistema imperiale è che possiamo invadere gli altri Paesi senza occuparli fisicamente. Possiamo comandare pur facendo mostra di essere una forza del bene. Il capitalismo permette di dominare, dando l’illusione della libertà e della possibilità di scelta, mentre al contrario si costringono gli altri ad aderire a un principio rigido al quale è possibile resistere soltanto a costo della rovina personale. Non c’è Gestapo, non ci sono stanze della tortura… è perfetto. Noi lo chiamiamo Impero Light, come la Coca-Cola.»

Falcón fece per inserirsi nell’esposizione della teoria di Krugman, ma fu bloccato dalla mano alzata di Marty.

«Paciencia, Inspector Jefe, ci sto arrivando. Le ho spiegato quali siano gli ingredienti base dell’imperialismo americano e, come avrà capito, ho appena usato quello che secondo Rafael è il più grande talento degli americani: l’arte del presentare. La verità, i fatti, la realtà sono prodotti nelle mani di un bravo presentatore. Per esempio, come facciamo a essere aggressivi verso un Paese senza invaderlo? Basta guardare alla nostra storia di Difensori del Bene contro le Forze del Male. Noi abbiamo salvato l’Europa dai nazisti, il Kuwait da Saddam.

«Per Rafael questo è arroganza, la quale arroganza, in combinazione con il fondamentalismo cristiano e il deciso sostegno a Israele da parte dell’attuale governo, è diventata insopportabile per gli islamici duri e puri. Rafael pensava che questa fosse la Guerra Santa che entrambe le parti aspettavano. Stavamo tornando indietro di secoli, diceva, alle Crociate, tranne che ora l’arena era più vasta e le tecniche disponibili più devastanti.

«Quando Al-Qaeda ha colpito il simbolo dell’impero americano, e Rafael riteneva che per svegliare duecentocinquanta milioni di persone da uno stato di piacevole sonnolenza occorresse un botto molto forte, Rafael ha pensato che la cosa veramente terribile per noi sarebbe stata scoprire che Al-Qaeda ci conosceva meglio di quanto ci conoscessimo noi stessi. Al-Qaeda aveva capito come funzionasse la nostra società: noi reagiamo a una presentazione efficace e abbiamo bisogno di impressionare. Attribuiva una grande importanza al lasso di tempo intercorso tra il primo aereo e il secondo. Significava che i mezzi di comunicazione sarebbero stati sulla scena.»

«Mi sorprende che non siate venuti alle mani», osservò Falcón.

«Le ho fatto un riassunto delle sue idee sull’11 settembre, non delle nostre discussioni», spiegò Marty. «Spesso io me ne andavo, per così dire, sbattendo la porta e lui mi riportava indietro a furia di discorsi. Ci sono stati giorni di rottura totale delle nostre relazioni diplomatiche. Era sorpreso della mia collera, non si era reso conto fino a quel momento di quanta rabbia stesse covando nell’animo degli americani.»

«È in grado di collegare in qualche modo tutto questo con il biglietto trovato in mano al signor Vega?»

«Ho cercato, ma non ci sono riuscito.»

«Sua moglie dice che lei è certo che Vega abbia vissuto in America e che gli Stati Uniti gli piacessero. Eppure le sue idee avrebbero irritato moltissimi americani…»

«Non sono idee poi tanto diverse da quelle della maggior parte degli europei, Inspector Jefe. Per questo molti miei compatrioti cominciano a considerare gli europei traditori e invidiosi.»

«Invidiosi?»

«Sì, e anche su questo Rafael si era fatto un’opinione. Diceva che gli europei non invidiano il modo di vivere americano, è una società troppo aggressiva per poterla invidiare. E, comunque sia, l’invidia non ispira l’odio. Secondo lui gli europei hanno paura degli americani e la paura ispira l’odio.»

«Di che cosa avrebbero paura gli europei?»

«Del fatto che la nostra potenza economica e la nostra forza politica ci danno il potere di rendere inutili i loro sforzi: mi capisce, il protocollo di Kyoto, le tariffe commerciali, la Corte penale internazionale…»

«Però il signor Vega era assolutamente filoamericano.»

«Se si è anticomunisti come lo era lui, bisogna esserlo per forza», rispose Marty. «Il punto era che le sue idee non venivano influenzate dalle emozioni. Certamente non approvava Al-Qaeda, ma per lui… era così che andavano le cose. Quelli che fanno i bulli sul campo da gioco finiscono sempre per prendersi un pugno sul naso e il pugno arriva sempre da dove meno lo si aspetta. Credeva anche che quando il resto della squadra vede il sangue, si butta sempre nella mischia. Stando a Rafael, quello era il principio della fine per l’impero americano.»

«Mi stupisco che lei abbia potuto accettare questo genere di idee», disse Falcón, «sua moglie mi ha ripetuto spesso che per lei l’America è la più grande nazione del mondo.»

«Non mi ha fatto venire voglia di ucciderlo, se è questo che vuole dire, Inspector Jefe», disse Marty, guardandolo di sottecchi. «Lei non deve fare altro che riflettere sulla storia. Rafael diceva che l’America, come tutti gli imperi precedenti, avrebbe finito per sferrare colpi a destra e a manca. Non avrebbe potuto fare diversamente. Ma gli attacchi degli americani sarebbero stati diretti contro qualcosa di troppo piccolo per essere visto oppure avrebbero schiacciato con forza e potenza eccessive il nemico sbagliato. Avremmo avuto un indebolimento graduale, seguito da un collasso economico. E qui io penso che avesse torto, perché la cosa a cui gli americani presteranno sempre la massima attenzione è il dollaro. Non permetterebbero a nessuno di mettere in pericolo il dollaro.»