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«Sì, me l’ha mostrata, ma io non mi interessavo molto alle sue cose artistiche.»

«Ha mai visto questo?» gli chiese Falcón, tirando fuori il dipinto erotico indiano nascosto dal paesaggio di Francisco Falcón.

«Ooh!» esclamò Ignacio ammirato. «Questo sì che è bello. Ma questo non le dice niente, Inspector Jefe?»

«È il solo dipinto che raffiguri una donna», disse Falcón, intuendo di aver imboccato una strada sbagliata, quell’approccio non avrebbe funzionato con Ignacio Ortega.

«No, io parlo dell’altro quadro», precisò Ignacio, «c’è il suo nome sopra: Falcón.»

Una lampadina si accese nella testa di Ignacio e Falcón si rese conto con disappunto che probabilmente aveva fatto fallire tutto l’interrogatorio. A nessuno era sfuggito il caso di Francisco Falcón.

«Sì, Pablo mi aveva parlato di quella storia», riprese Ignacio. «Conosceva personalmente Francisco Falcón… e per l’appunto è saltato fuori che lui era un maricón. E lei è l’Inspector Jefe che, se ricordo bene, era suo figlio.»

«No, non era mio padre.»

«Ora capisco! Per questo pensa che Pablo fosse un maricón, vero? Perché suo padre lo era. Lei pensa che fossero…»

«Non era mio padre e non penso affatto ciò che dice lei. È una teoria.»

«È una scemenza. Tra un po’ mi dirà che anche Rafael lo era e che aveva una ‘relazione’ con Pablo e che lui non sopportava…»

«L’ha sorpresa che suo fratello non le abbia lasciato una lettera?» lo interruppe Falcón, cercando di recuperare e al tempo stesso di ferire Ignacio.

«Sì, sì, è così.»

«Quando è stata l’ultima volta che gli ha parlato?»

«Subito prima di andare in ferie. Volevo sapere se ci fossero stati dei progressi nei lavori per il pozzo nero, anche perché mi era venuta in mente una persona che avrebbe potuto affrontare il problema in modo diverso.»

«Quando abbiamo dato a Sebastián la lettera di suo padre, l’ha buttata a terra come se non volesse nemmeno vederla. Poi ha avuto una crisi veramente brutta e ha dovuto essere portato via in barella», raccontò Falcón. «Lei gli ha fatto da padre, secondo quanto ha detto: può spiegare il perché di quella crisi? Sembra che Sebastián detesti Pablo, eppure la notizia della sua morte lo ha distrutto.»

«Non posso dirle più di quanto le ho già detto, se non che Sebastián era un ragazzo molto difficile. Il fatto che sua madre lo avesse abbandonato non lo ha aiutato di certo e probabilmente non è stata una buona cosa che suo padre fosse assente così spesso. Ma non sono qualificato per spiegare una reazione come quella.»

«È stato a trovarlo in carcere?»

«Pablo aveva detto che non voleva vedere nessuno. Ci ho mandato mia moglie, sperando che gli potesse parlare, ma lui si è rifiutato di vederla.»

«E prima che andasse in prigione? Era grande ormai e non aveva più bisogno di qualcuno che badasse a lui quando Pablo non c’era. Lo vedevate in quel periodo?»

«Sì, ogni tanto veniva a pranzo da noi quando era alle Belle Arti… prima di abbandonare gli studi.»

«Perché lo aveva fatto?»

«È stato un peccato, Pablo diceva che era molto bravo. Non c’è stato un motivo apparente, non ne aveva più voglia e basta.»

«Quando è morta Gloria?»

«Nel 1995 o 1996.»

«È stato allora che Sebastián ha smesso di studiare arte? Doveva avere circa vent’anni.»

«È vero, me l’ero dimenticato. Da quando aveva compiuto sedici anni vedeva la madre tutti gli anni, passava l’estate negli Stati Uniti.»

«Sebastián assomiglia a lei, vero? Più a lei che a Pablo.»

Ignacio si strinse nelle spalle, un movimento rapido, come se volesse scacciare una mosca irritante. Falcón riusciva a vedere domande formarsi nella sua mente.

«Nella lettera che le ha scritto, Inspector Jefe, Pablo mi ha menzionato?»

«Mi ha chiesto in un poscritto di informarla», rispose Falcón. «Ma potrebbe averle spedito un’altra lettera per posta. In questo caso, ci interesserebbe molto vederla.»

Ignacio, dopo essere stato seduto in pizzo fino a quel momento, si sistemò più comodamente.

«Può darsi che abbia spedito una lettera anche al suo avvocato», riprese Falcón. «Lei sa a quale legale abbia lasciato in custodia il testamento?»

Di nuovo Ignacio si sporse in avanti.

«Ranz Costa», disse, distrattamente. «Era stato Ranz Costa a occuparsi dell’acquisto di questa proprietà, perciò sono sicuro che avrà anche il testamento.»

«Sarà in ferie, immagino?»

«È anche il mio legale. So che non va in ferie prima di agosto», rispose Ignacio, alzandosi, posando il bicchiere e spegnendo la sigaretta. «Le dispiace se do una rapida occhiata in giro? Solo per vedere dove viveva mio fratello e le sue cose.»

«La stanza dove è morto è ufficialmente la scena del crimine, perciò là è meglio che non entri.»

Ignacio si allontanò. Falcón uscì nel corridoio e vide Ignacio entrare nella camera da letto. La porta era socchiusa. Ignacio stava frugando dappertutto, come un pazzo, sotto il letto, sotto il materasso, tra gli abiti nell’armadio, controllando il contenuto delle tasche. Falcón arretrò e riprese il suo posto a sedere.

Poco dopo lasciarono la casa, Falcón chiuse la porta a chiave e rimase a guardare la Mercedes color argento di Ignacio scomparire nella foschia del calore. Tornò da Consuelo, che venne ad aprirgli con El Mundo della domenica in mano. Andarono in soggiorno e si lasciarono cadere sul divano.

«Come l’ha presa Ignacio?» domandò Consuelo.

«Conosci Ignacio Ortega?»

«L’ho conosciuto a qualche evento organizzato da Raúl per qualche impresa immobiliare. Ho passato più tempo con la moglie, lui è un tipo abbastanza insulso, un uomo che si è fatto da sé senza un grammo di cultura. Considerando il talento e la capacità intellettuale di Pablo… difficile credere che siano fratelli.»

«Sai niente del figlio?»

«So che si chiama Salvador e che è un tossico: eroina. Vive a Siviglia, non so dove.»

«Ah, questo è più di quanto Ignacio sia stato disposto ad ammettere.»

«Lo si scopre parlando con la moglie.»

«Come è lui con la moglie?»

«Non esattamente un ‘uomo nuovo’, appartiene alla generazione ‘macho’. La moglie fa quello che dice lui. Aveva paura del marito. Se stavamo parlando e Ignacio ci raggiungeva, si ammutoliva subito.»

«Ho capito… Ma è domenica», soggiunse Falcón, scacciando ogni altro pensiero, «cerchiamo di dimenticare tutto per il resto della giornata.»

«Bene! Sono contenta che tu sia tornato, stavo per cadere in una depressione domenicale. Il tuo ritorno mi ha impedito di leggere della Russia. No, non è proprio vero. Avevo acceso la televisione per sentire le notizie e smettere di pensare alla Russia e mi sono ritrovata a guardare l’incendio, il che non mi ha aiutato. Il rumore che fa! Non avevo mai sentito il rumore di un incendio, Javier, sembrava un animale che avanzasse nella foresta calpestando tutto quanto.»

«L’incendio sulla Sierra de Aracena?»

«Ha distrutto duemilacinquecento ettari di bosco e continua a divampare. I vigili del fuoco dicono che è doloso. Mi chiedo che cosa stia succedendo alla gente.»

«Dimmi della Russia. La Russia mi interessa.»

«Si tratta più che altro di statistiche.»

«Sono la cosa peggiore dei notiziari», affermò Falcón. «Io credo che nelle redazioni abbiano una regola: se ti manca la notizia, dai una statistica. Sanno che la nostra immaginazione farà il resto.»

«Sono statistiche russe», cominciò Consuelo, leggendo. «Il numero delle nascite illegittime è raddoppiato tra il 1970 e il 1995. Ciò significa che nel 1997 il venticinque per cento di tutti i neonati era illegittimo. La maggior parte di questi bambini è nata da madri che vivono sole e non possono mantenersi e mantenere anche il figlio, perciò lo abbandonano. La Chiesa ortodossa nel dicembre del 2000 calcolava che in Russia vi fossero tra i due e i cinque milioni di bambini vagabondi.»