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Forse vi sembrerà assurdo che mi sia tolto la vita così vicino alla pensione. Avrei dovuto sopportare ancora per poco le tensioni del lavoro, ma non ce l’ho fatta. Questo non ha nulla a che vedere con gli uomini e le donne con i quali ho avuto l’onore di collaborare.

Sono entrato nella polizia convinto che avrei potuto fare qualcosa di buono, ero fortemente convinto del suo ruolo nella società. Non sono stato capace di realizzare le cose positive che speravo di attuare e mi sono sentito sempre più impotente ad agire contro le nuove ondate di depravazione e di corruzione che stanno devastando la Spagna e il resto dell’Europa.

Mi sono messo a bere, sperando così di rendermi impermeabile a ciò che accadeva intorno a me, ma non è servito. Un peso crescente mi gravava sulle spalle, impedendomi di reagire. Mi sono sentito in trappola, incapace di comunicare.

Vi chiedo soltanto, amici, di proteggere la mia famiglia e di perdonare questo mio ultimo gesto disastroso.

Falcón lesse la lettera alla squadra riunita sulla soglia. Le donne piangevano, gli occhi sgranati, incredule. Se qualcuno conosceva la signora Montes, domandò Falcón, forse avrebbe potuto accompagnare Ramírez a darle la notizia e a consegnarle personalmente la lettera del marito. Il numero due di Montes si fece avanti e si allontanò con Ramírez.

Nell’ufficio Falcón non trovò niente di interessante e le risposte avute dai membri della squadra, tutti quanti molto scossi, furono monosillabiche. Quando ebbe finito, Ramírez era già rientrato, dopo aver lasciato l’Inspector del GRUME con la moglie di Montes. Apposero i sigilli all’ufficio e tornarono nei loro, dove trovarono Cristina Ferrera al telefono. Falcón le disse di controllare l’esistenza di un’eventuale casella postale anche per Alberto Montes. La ragazza prese nota del nome.

Ramírez seguì Falcón nel suo ufficio e tutti e due rimasero in piedi davanti alla finestra a guardare l’area del parcheggio, già pulita e asciutta.

«Crede che Montes fosse corrotto?» domandò Ramírez.

«Alcune espressioni usate nella lettera sono interessanti», rispose Falcón. «Come ‘Non sono stato capace di realizzare le cose positive…’ ‘impotente ad agire’, ‘un peso crescente’, ‘in trappola’ e infine la frase che mi ha colpito veramente: ‘proteggere la mia famiglia’. Perché un suicida dovrebbe dire una cosa del genere? ‘Avere cura’ forse, ma ‘proteggere’? Il subconscio di quest’uomo faceva acqua, invadeva la sua vita privata e lui non riusciva a sopportarlo.»

Ramírez annuì, lo sguardo fisso sul parcheggio, immaginando se stesso accartocciato, decomposto, irrecuperabile. Un uomo scartato dalla vita.

«Non è da quella lettera che si è fatto l’idea che Montes fosse corrotto», disse alla fine. «E allora che altro sa?»

«Non so che cosa so.»

«Non cominciamo con queste stronzate.»

«Ma voglio dire proprio questo. Forse Montes pensava che sapessi qualcosa.»

«Be’, se davvero prendeva soldi da qualcuno, poteva essere lui a informare i russi su di lei.»

«Montes credeva che lo stessi incalzando, ma non era vero. Gli avevo solo chiesto di quei russi… per sapere se li avesse sentiti nominare. Niente di più.»

«E la sua mente ha fatto il resto», concluse Ramírez.

«E ora mi sento come un archeologo che ha trovato i frammenti di una ceramica sconosciuta e si sente chiedere di ricostruire una civiltà sulla base di quei pochi cocci.»

«Me li faccia vedere», disse Ramírez. «Sono bravo a incollare i cocci rotti.»

«Mi imbarazza perfino parlarne», si scusò Falcón. «Si tratta di vaghe tracce che risalgono al vecchio caso di Raúl Jiménez, qualche nome trovato sulla rubrica di Rafael Vega, il coinvolgimento della mafia russa nei due progetti immobiliari della Vega Construcciones, le minacce, il momento in cui è avvenuto il suicidio di Ortega, il momento in cui è avvenuto quello di oggi. Non sono nemmeno frammenti, e se anche lo fossero potrebbero non provenire dallo stesso vaso, ma chissà da dove.»

«Vediamo di chiarirci un po’ le idee su Vega», propose Ramírez. «Prima di tutto ha l’ossessione della sicurezza: ho controllato la pistola, che non era stata dichiarata; vetri a prova di proiettile; il sistema di videosorveglianza, anche se non lo usava sempre; la porta di casa…»

«La porta di casa che normalmente è chiusa a chiave di notte, ma che non lo era la mattina della scoperta del cadavere.»

«Così come non lo era la porta posteriore sul giardino, il che significa…»

«Il che, forse, significa», lo corresse Falcón, «che la sera tardi Vega ha fatto entrare in casa qualcuno che conosceva.»

«Tutti i suoi vicini lo conoscevano, è probabile che nessuno di loro telefonasse per dire che sarebbe andato a trovarlo, se mai lo hanno fatto.»

«Sappiamo da Pablo Ortega che i russi frequentavano la casa di Vega», disse Falcón. «Ma Vega, come ha detto Vásquez, li aiutava negli affari, perciò i loro motivi per eliminarlo non sono chiari. Marty Krugman ha fatto l’ipotesi che Vega li stesse in qualche modo imbrogliando.»

«Un’ipotesi fondata su che cosa?»

«Sul ragionamento. Gli avevo chiesto perché la mafia russa potesse volere la morte di Vega», spiegò Falcón. «Dovremmo confrontare le due contabilità sui progetti russi di cui ha parlato Dourado.»

«I russi — e noi siamo praticamente sicuri che si tratta di loro — sono agitati tanto da fare minacce a lei e a Consuelo Jiménez», disse Ramírez.

«Sì, ci stanno andando un po’ pesante per un po’ di riciclaggio di denaro sporco.»

«È il denaro a far funzionare la mafia.»

«Oppure nel caso Vega c’è qualcosa di più grave che potrebbe saltare fuori nel corso di un’indagine per omicidio?»

«Stamattina ho dato un’altra occhiata al passaporto argentino che aveva a nome di Emilio Cruz», disse Ramírez. «Aveva anche un visto valido per il Marocco. In effetti i visti per il Marocco erano cinque, quattro scaduti senza essere stati utilizzati, il quinto valido fino al novembre 2002. Ciò significa che avrebbe potuto essere a Tangeri in cinque ore viaggiando in macchina e in traghetto, e anche prima in aereo. Un uomo che si tiene sempre così pronto a ogni eventualità come lui, è un uomo abituato a farlo.»

«Vuole dire addestrato a farlo?» domandò Falcón.

«L’unica cosa da stabilire è se sia stato il crimine organizzato, il terrorismo o il governo ad addestrarlo.»

«Lo stile di organizzazione a compartimenti stagni, già», osservò Falcón. «Nessuno sa che cosa stia facendo un altro. Krugman ha parlato dell’importanza della gerarchia, della disciplina, nei cantieri di Vega. Ha detto di non avere fatto l’esperienza della vita militare, ma di avere avuto l’impressione che lo stile fosse quello.»

«Forse è stato addestrato militarmente da uno Stato e usava quell’addestramento a fini criminali o di terrorismo.»

«L’unica ragione per cui pensiamo al terrorismo è per via del riferimento all’11 settembre nel biglietto che aveva in mano», fece notare Falcón. «Non so quanta importanza possiamo attribuire a poche parole ricalcate su un’annotazione precedente, in inglese, anche quella sua. Marty Krugman ha parlato con lui fino allo sfinimento dell’11 settembre e non è riuscito a capirci niente.»

Bussò alla porta Cristina Ferrera.

«C’è una casella a nome Emilio Cruz nell’ufficio postale di San Bernardo» annunciò. «Ma non eccitatevi troppo. È vuota e dall’anno scorso non ha più ricevuto nulla.»

«Che genere di corrispondenza arrivava per lui?»

«L’impiegato ricorda che ogni mese arrivava una lettera con francobolli americani.»

«Niente su Alberto Montes?»

«Per ora no», rispose la ragazza, richiudendo la porta.