«E il biglietto con il riferimento al famoso atto di terrorismo?» disse Ramírez.
«È un dato che può interessare una corte come i documenti che quell’uomo custodiva sui tribunali per i crimini di guerra o il fatto che tenesse una vecchia automobile in un garage o che non fosse chi diceva di essere. Informazioni, ma che non sono collegate a niente, come le minacce anonime», affermò Calderón. «Lei non parla, Inspector Jefe», soggiunse, rivolto a Falcón.
«Dunque stiamo perdendo tempo?» disse Falcón, stanco di tutto ora che l’indifferenza di Calderón gli si era insinuata nel flusso sanguigno. «Potremmo trovare altre informazioni affascinanti che non forniscono né testimoni, né moventi, alla squadra mancano tre uomini per via delle ferie, nella Jefatura abbiamo una situazione seria…»
«L’ho saputo», intervenne Calderón, fissando la scrivania, le mani tra le ginocchia.
«…la possibilità di ritrovare Sergei, l’unico testimone, diminuisce di giorno in giorno. Allora, portiamo a termine il lavoro o no? Se decidiamo di portarlo a termine, che direzione dobbiamo prendere?»
«D’accordo, vedo che è seccato. Mi rendo conto che avete fatto un buon lavoro e trovato notizie interessanti», disse Calderón, cercando di mettere un po’ di entusiasmo nella voce. «Per il momento, dato il profilo psicologico della vittima, per il quale abbiamo un chiaro responso medico supportato dalle fotografie di Maddy Krugman, e anche prendendo in considerazione i nuovi dati a disposizione, sono ancora incline a pensare che Vega abbia ucciso la moglie e poi si sia suicidato. Perciò, propendo per un verdetto di suicidio, ma se siete curiosi tanto da voler continuare, avete altre quarantotto ore di tempo.»
«Per muoverci in quale direzione?» domandò Ramírez.
«Quella che volete. Avete qualche possibilità di parlare con i russi faccia a faccia?»
«Sono in Portogallo», rispose Falcón. «Può anche darsi che vengano qui per controllare i loro investimenti.»
«Con chi si metterebbero in contatto?»
«Probabilmente con Carlos Vásquez.»
«Ecco uno che ha qualcosa da nascondere», interloquì Ramírez.
«E scoprire chi era veramente Rafael Vega?» suggerì Falcón.
«Come?» domandò Calderón, tornando a voltarsi a metà verso la finestra.
«Il collegamento americano», rispose Falcón. «Diciamo che abbia effettivamente vissuto negli Stati Uniti vent’anni fa e che sia fuggito per rifarsi una vita. Mi sono ricordato ora del particolare dell’autopsia a proposito di una vecchia cicatrice per un intervento di chirurgia plastica. Sembra un copione verosimile. Forse aveva una storia criminale alle spalle oppure era persona nota all’FBI.»
«Avete contatti con l’FBI?»
«Naturalmente.»
«Allora accettate la mia offerta di quarantotto ore?»
Scendendo dall’ufficio di Calderón, Falcón ricevette una telefonata da Elvira, che aveva appena parlato con il suo capo, il Comisario Lobo, arrivando alla conclusione che Falcón avrebbe dovuto dirigere le indagini sul suicidio di Montes. Falcón domandò a Elvira se potesse dargli un nominativo affidabile e disposto a collaborare all’interno dell’FBI, che li aiutasse nell’identificazione di Rafael Vega. E gli ricordò il colloquio con il direttore del carcere.
In macchina telefonò a Carlos Vásquez e dopo essere stato lasciato in attesa per qualche minuto, gli fu detto che l’avvocato era fuori studio, ma dato che lo studio si trovava molto vicino all’Edificio de los Juzgados, Falcón e Ramírez decisero di fargli una visita non programmata.
«Che cos’ha il Juez Calderón?» domandò Ramírez. «Sarà difficile che ci faccia avere un mandato di perquisizione nello stato in cui è.»
«Credo che possa aver trovato pane per i suoi denti», disse Falcón.
«L’americana gli ha bevuto il cervello?»
«Potrebbe essere più serio di così.»
«L’ha ridotto in quelle condizioni?», si stupì Ramírez. «Lo facevo più esperto.»
«Più esperto in che cosa?»
«Nell’evitare certi errori, come infrangere la regola numero uno. E infrangerla alla vigilia del matrimonio.»
«E quale sarebbe la regola numero uno?»
«Non farsi coinvolgere», rispose Ramírez. «È il modo sicuro per mandare a puttane la propria vita.»
«Be’, si è fatto coinvolgere e a noi non resta che…»
«Sederci e stare a vedere», terminò Ramírez, battendo le mani come se stesse per cominciare la sua telenovela preferita.
«Montes mi aveva detto che erano in molti a sperare che il Juez Calderón cadesse dal piedistallo.»
«Chi?» si stupì Ramírez, l’espressione innocente, un dito puntato contro il suo petto. «Io?»
Salirono con l’ascensore, Ramírez intento a osservare i numeri dei piani man mano che si accendevano, i muscoli delle spalle rigonfi come il collo di un toro selvaggio.
«Questa volta, Javier, io dirigo e lei segue», disse prima che entrassero, passando a passo di carica davanti alla scrivania della ragazza della reception, nonostante il suo tentativo di fermarli.
Fecero lo stesso con la segretaria di Vásquez, che li seguì nell’ufficio del suo capo. Vásquez stava bevendo da un bicchiere di plastica, in piedi davanti al distributore dell’acqua, guardando nel vuoto fuori dalla finestra.
«In un’indagine per omicidio», esordì Ramírez, la voce carica di collera a malapena contenuta, «non ci si rifiuta mai di ricevere l’Inspector Jefe, a meno che non ci si voglia ritrovare nella merda fino al collo.»
Vásquez, pur avendo l’aria di poter tenere testa a Ramírez, si rese conto tuttavia che l’Inspector era pronto a tutto, compresa la violenza fisica. Fece segno alla segretaria di uscire.
«Che cosa volete?»
«Prima domanda», disse Ramírez. «Mi guardi negli occhi e mi dica che cosa sa di Emilio Cruz.»
Vásquez lo fissò senza capire, era evidente che il nome non gli diceva niente. I due ispettori sedettero di fronte a lui.
«Quali provvedimenti aveva preso per la conduzione dell’impresa il signor Vega nell’eventualità della sua morte?» gli domandò Falcón.
«Come sapete già, ogni progetto immobiliare del signor Vega ha nel consiglio di amministrazione lo stesso signor Vega, un rappresentante dell’impresa e un investitore. Nell’eventualità della sua morte, i progetti sarebbero stati diretti dal rappresentante dell’impresa presente nel consiglio, con la clausola condizionale che tutte le decisioni finanziarie e legali fossero rimandate a un consiglio di amministrazione provvisorio della holding, formato da me, dal signor Dourado e dal signor Nieves, che è l’architetto capo.»
«Quanto dovrebbe durare questo stato di cose provvisorio?»
«Finché non si troverà un direttore adatto.»
«Chi ha il compito di trovarlo?»
«Il consiglio di amministrazione provvisorio.»
«A chi si rivolgono i clienti?»
«Al consiglio provvisorio.»
«E chi prende la telefonata iniziale?»
«Io.»
«E quando si sono messi in contatto con lei i russi?» domandò Ramírez.
«Non si sono messi in contatto.»
«Senta, signor Vásquez, è passata quasi una settimana dalla morte del signor Vega», riprese Ramírez in tono confidenziale, amichevole. «In quei progetti immobiliari, che non hanno più una direzione, i russi hanno investito un sacco di soldi. Non vorrà farci credere che…»