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Sotto la doccia pensò a Ignacio Ortega. Non mancava di astuzia quell’uomo, tutte quelle bugie dette con facilità durante il loro primo colloquio, l’abile presentazione delle mezze verità. Si domandò se non fosse tutto quanto frutto dell’invidia — «Io ero solo un elettricista e lui un attore famoso» —. Due uomini usciti dalla stessa infanzia brutale, uno per diventare un attore celebre che si rifugiava nei personaggi che interpretava, l’altro, anonimo e colmo di odio, che dissacrava l’innocenza dei bambini. Forse nella mente di Ignazio quella era una strana forma di riequilibrio?

Mentre si vestiva, ricordò che parlando con Ramírez dei nomi scritti nella rubrica di Vega, gli era venuto in mente che il nome Ortega era uno solo e non era preceduto da nessuna iniziale. Arrivato alla Jefatura, prese la rubrica dal deposito degli elementi di prova. Aveva ragione, nessuna iniziale e il numero, di un cellulare, era quello di Ignacio. Un’altra idea. Chiamò Carlos Vásquez.

«Che impresa usa la Vega Construcciones per installare l’aria condizionata negli edifici?»

«Si fa una gara», spiegò Vásquez, «quattro o cinque aziende cercano di assicurarsi il lavoro.»

«C’è un’azienda che vince più appalti delle altre?»

«Direi che il settanta per cento del lavoro è fatto dalla AAC, Aire Acondicionado Central de Sevilla. Appartiene a un certo Ignacio Ortega, che in genere fa prezzi più alti solo quando sa di non poter eseguire il lavoro.»

Falcón chiamò la Vega Construcciones e chiese di Marty Krugman. Non era ancora arrivato, ma rispose sul cellulare. Dal rumore pareva che si trovasse in mezzo a un gran traffico. Il segnale era pessimo.

«Non dovrei parlare con lei, Inspector Jefe, ricorda?» gli disse allegramente Krugman. «Non mi sono ancora incontrato con i suoi gelidi amici orientali.»

«Solo una domanda sui progetti dei russi: che aziende avevano partecipato alla gara d’appalto per l’aria condizionata?»

«Nessuna. Rafael mi disse di usare un’azienda che si chiama AAC.»

«Non faceva prezzi competitivi?»

«Rafael diceva che il cliente aveva già dato l’autorizzazione.»

«Come lo interpreta?»

«Normalmente significa che la AAC era creditrice di un favore, probabilmente perché aveva fatto un lavoro a prezzi stracciati.»

«Conosce Ignacio Ortega della AAC?»

«Certo, l’ho conosciuto. Lavora molto per la nostra società. Un duro. È parente di Pablo?»

«È suo fratello.»

«Non sembra suo fratello.»

«Che cosa può dirmi di Ignacio e del signor Vega? Che rapporto c’era tra loro?»

«Non ne so niente.»

«Si conoscevano bene?»

«Le ho detto, Inspector Jefe…» Falcón perse il resto della frase mentre il segnale veniva a mancare.

«Non possiamo parlarne di persona?» domandò Falcón, pensando a quanto gli aveva detto Guzmán.

«Non farebbe nessuna differenza. E comunque sono occupato.»

«Dove si trova? Verrò io lì, potremmo berci una birra prima di cena.»

«Adesso le sono diventato simpatico, Inspector Jefe? Come mai?»

«Voglio solo parlare!» gridò Falcón mentre la voce di Krugman si interrompeva.

«Le ho detto che i russi non si sono ancora messi in contatto con me.»

«Non si tratta dei russi.»

«Di che si tratta allora?»

«Non posso dirlo… cioè, si tratta piuttosto degli americani.»

«Comincio a provare nostalgia per i bei tempi della Guerra fredda», disse Krugman. «Sa, è interessante… come delinquenti i russi sono diventati molto più efficienti di quanto lo siano mai stati come comunisti.»

Il segnale sparì del tutto. Falcón digitò nuovamente il numero. Non disponibile. Ramírez si affacciò nell’ufficio. Falcón lo mise al corrente della situazione per quanto riguardava Salvador e Ignacio Ortega, e Ramírez lo ascoltò attento, i gomiti sulla scrivania, le guance sostenute dalle mani, la bocca socchiusa, l’espressione intelligente. Prima che potesse rivolgergli qualche domanda, Falcón lo aggiornò anche sulla conversazione con Guzmán, che lasciò Ramírez con le palpebre a mezz’asta.

«Joder», disse dopo un po’, da sivigliano mai particolarmente impressionato da nulla. «Ha parlato di questo con Krugman?»

«Non c’era segnale sul cellulare e comunque devo stargli seduto davanti quando gli parlerò dell’attività collaterale per la CIA.»

«Io non ci credo», disse Ramírez. «Secondo me Virgilio Guzmán vive in un suo mondo di cospirazioni fantastiche. Siamo a Siviglia qui, non a Bilbao. Tutto quell’indagare sull’ETA e sulla Guardia Civil gli ha dato alla testa.»

«Andiamo, José Luis, è un professionista di tutto rispetto!»

«Lo era anche Alberto Montes», ribatté Ramírez. «Che cosa crede che stia facendo qui Guzmán?»

«Qualcosa di meno stressante di quando era a Madrid.»

«A parer mio», disse Ramírez, battendosi l’indice sulla tempia, «quell’uomo comincia a dare i numeri.»

«Un’opinione la sua fondata su una ricerca empirica o è solo una sensazione?» domandò Falcón. «E la teoria di Guzmán sul foglietto nella mano di Vega? Anche quella è campata per aria?»

«No, quella mi sembra giusta», affermò Ramírez. «Quella mi piace. Non ci aiuta, però mi piace.»

«Sì che ci aiuta. Serve a restringere il campo delle ricerche per l’FBI. Nessuna notizia da loro?»

Ramírez scosse la testa.

«Voglio trovare Krugman», disse Falcón.

«Sta cominciando a pensare che sia stato lui a far fuori Vega.»

«Non escludo nessuna possibilità. Ne avrebbe avuto l’occasione, perché Vega lo avrebbe fatto entrare in casa a quell’ora di notte, e ora avremmo anche un possibile movente, anche se per lei è solo una fantasia di Guzmán», disse Falcón. «Ma sono preoccupato per Krugman. Quando sono andato a parlargli dopo che avevamo visto Dourado, mi è sembrato un po’ strano. Guardava fuori dalla finestra con un binocolo.»

«Probabilmente cercava di vedere se la moglie si stava facendo il Juez Calderón, il che poi è la ragione per cui non abbiamo ottenuto il nostro mandato di perquisizione.»

«Allora lei pensa che Vega fosse parte di una qualche operazione, per così dire», sottolineò Falcón. «E pensa che il contenuto della sua cassetta di sicurezza sia importante per noi. Però non pensa che Krugman sia…»

«Be’, io non mi servirei di Krugman per nulla, e tantomeno per un’operazione», spiegò Ramírez. «È troppo imprevedibile, c’è troppa roba chiusa in quel suo cervello. Ma se mi dà il numero del suo cellulare, dirò ai ragazzi del centralino di continuare a provare e, ammesso che risponda, potremo rintracciarlo.»

«Si sta muovendo qualcosa nell’indagine su Montes?»

«Stiamo ancora aspettando che Elvira ci dia un paio di uomini.»

«L’avvocato ha fatto sapere quale proprietà ha aggiunto all’elenco dei beni nel testamento di Montes?»

«Sì, sono in contatto con il municipio di Aracena per controllare se sulla proprietà ci sia un progetto edilizio.»

«È sulla sierra, vero?»

Squillò il telefono, Ramírez rispose, rimase in ascolto, disse che Falcón stava arrivando e riattaccò.

«Alicia Aguado», riferì.