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«Sì. C’era un articolo molto dettagliato sulla carriera dell’Inspector Jefe Montes.»

Falcón annuì, aspettò, ma Elvira non disse altro.

«Credo che dovrebbe far perquisire la casa dei Krugman prima che si facciano vivi gli americani», suggerì Elvira dopo un po’. «Ho già predisposto un mandato.»

Mentre Falcón si avviava alla porta, Elvira disse:

«Se Virgilio Guzmán dovesse avvicinarla a proposito dei fatti della notte scorsa, vorrei che lei fosse molto cauto sulla presenza del Juez Calderón nell’appartamento. Non voglio uno scandalo sul Juez de Instrucción che ha una relazione con la vittima».

«Lo ha ammesso?»

«Gli ho chiesto un rapporto separato sull’argomento. Sembra che fosse ossessionato da quella donna», rispose Elvira. Poi, senza alzare gli occhi dalle carte: «Sono sorpreso che lei non abbia fatto nessuna menzione nel suo rapporto dell’atto di coraggio del giudice».

«Atto di coraggio?» si stupì Falcón.

«’Mentre Krugman puntava l’arma per fare fuoco’», lesse Elvira dal rapporto di Calderón, «’mi sono gettato verso di lui nella speranza di fargli sbagliare mira. Il proiettile ha colpito al petto la signora Krugman. L’Inspector Jefe Falcón non è riuscito a impedire al signor Krugman di puntarsi la pistola in bocca e di uccidersi’.»

«Perquisiremo la casa dei Krugman», si limitò a dire Falcón, uscendo.

«Nemmeno García lo ha notato», disse Elvira mentre la porta si chiudeva.

Tornato nel suo ufficio, Falcón mandò Cristina Ferrera al laboratorio per farsi dare le chiavi della casa dei Krugman da Felipe e Jorge, che le avevano prelevate sulla scena del delitto in Tabladilla. Ramírez era ancora afflosciato sulla sua scrivania.

«CIA?» disse incredulo.

Falcón alzò le mani. «Oppure non CIA, ma qualche vago consulente collegato alla CIA.»

«Fantasia», affermò Ramírez.

«Ammettiamo che la teoria di Guzmán su una cospirazione sia corretta. Se lei facesse parte del governo americano responsabile dei fatti avvenuti in Sud America negli anni ’70 e temesse che Rafael Vega potesse avere in mano la prova del coinvolgimento di alti funzionari dell’amministrazione statunitense… che cosa farebbe?»

«Lo farei fuori comunque.»

«Dice così perché è un bastardo senza scrupoli, José Luis. Il fatto è che non vorrebbe usare la CIA, non è vero? Non avrebbe nemmeno il potere per farlo. Ma devono pur esistere ex membri della CIA, provvisti di contatti e di influenza, che hanno ‘debiti’ sulle spalle. Capisce che cosa voglio dire a proposito di Krugman il Pazzo? Non lo si può liquidare semplicemente così.»

«Io lo farei», affermò Ramírez. «Era troppo instabile per quel genere di lavoro.»

«E se fosse lui la sua sola scelta?» obiettò Falcón. «E che cosa mi dice della sua ammissione finale, che l’Agenzia non voleva Vega morto, perché non avevano trovato quello che cercavano nonostante la sua attività di spia? Un po’ un contraccolpo, non è vero?»

«Vuole dire che avrebbe svolto quell’opera vitale, segreta, ma che nessuna delle informazioni che aveva dato era cruciale al punto da dover uccidere Vega?» domandò Ramírez. «Forse quello che cercavano è chiuso nella cassetta di sicurezza di Vega, per la quale cassetta non abbiamo ancora il mandato di perquisizione.»

«Vedo che sta cominciando a credere, José Luis. Farà bene a ricordare il mandato al Juez Calderón, nel caso che oggi si presenti in ufficio.»

Squillò il telefono e Ramírez andò a rispondere mentre Falcón rifletteva su Krugman. «Loro», ammesso che esistessero, non si sarebbero aspettati che Marty trovasse documenti o video, sarebbe stato pretendere troppo da lui. Krugman era servito solo per conoscere lo stato d’animo di Vega: per esempio, quell’uomo era intenzionato a presentarsi a Baltasar Garzón o ai giudici belgi per offrire i suoi servizi?

«Era il municipio di Aracena», riferì Ramírez, appoggiato allo stipite della porta. «Ha approvato un progetto di ristrutturazione della finca di Montes valutata in venti milioni di pesetas: ricostruzione, ammodernamento completo, impianto elettrico a norma: tutto quanto, insomma.»

Falcón passò la notizia al Comisario Elvira, il quale reagì come se lo avesse sempre saputo. Disse di procedere con la perquisizione in casa Krugman. Quando Cristina Ferrera fu tornata con le chiavi, uscirono tutti e tre diretti a Santa Clara.

La villa, fredda e silenziosa, pareva osservarli imperturbabile mentre si infilavano i guanti di lattice.

«Io vado di sopra», disse Falcón. «Raggiungetemi quando avrete finito.»

«Che cosa dobbiamo cercare?» domandò Cristina Ferrera.

«Un bigliettino di Kissinger che dice ‘Datti da fare, continua a lavorare per noi’», le disse Ramírez. «Dovrebbe bastare.»

Falcón salì al piano superiore. La porta della stanza dove erano esposte le opere di Maddy Krugman era aperta. Tutte le fotografie erano state tolte dalle pareti e solo una era rimasta, su un basamento al centro della stanza: figura ritagliata e ingrandita di Vega a piedi nudi sul prato montata in un blocco di plexiglass e dentro il blocco trasparente erano sospese, simili a scheletri di foglie autunnali, impronte spettrali di mani umane che sembravano premersi contro la figura solitaria, imprigionata là dentro, imprigionata nella sua stessa storia come un insetto nell’ambra. Attaccato al blocco di plexiglass un cartoncino stampato, scritto in spagnolo: Las Manos Desaparecidas. Le mani scomparse.

Andò nella stanza dove lavorava Maddy: Cristina Ferrera avrebbe impiegato una giornata a esaminare tutte le stampe, le diapositive, i negativi, controllandoli uno per uno. Alle pareti erano appoggiate le fotografie incorniciate che Falcón aveva visto appese nell’altra stanza, le guardò rapidamente, cercando quella che Maddy aveva scattato di lui, ma trovò la cornice vuota. Nel cestino della carta vide la sua immagine tagliata a striscioline.

Marty Krugman usava come studio una delle camere da letto: c’erano una scrivania, un computer portatile e un tavolo da disegno. Rotoli di progetti negli angoli. Falcón controllò i cassetti della scrivania. Trovò un quaderno di scuola con una raccolta dei pensieri di Krugman, o così pareva.

La noia è la nemica dell’umanità. Perciò noi uccidiamo.

Il torturatore impara dall’agonia delle sue vittime, trasformata dal potere.

È la colpa a definirci come esseri umani, ma, consumando la mente, distrugge ciò che ci rendeva esseri umani. Solo con una confessione pubblica la nostra umanità viene restaurata. Questa è la misura della nostra dipendenza reciproca.

Falcón lesse rapidamente fino all’ultima frase.

So che cosa stai facendo. Io ti incatenerò, ti rifiuterò cibo e acqua, ti osserverò sbiadire e spaccarti e mi farò scorrere sulla lingua un ricco vino rosso mentre tu muori.

Ecco il problema di Krugman: era simile a un testimone inaffidabile che salisse sul banco. La sua lucidità era sempre contaminata dai batteri dell’emozione.

Ramírez si affacciò sulla soglia.

«Ha visto la mostra?» gli domandò Falcón. «Le mani scomparse

«Sono salito per farle in privato la domanda di Cristina», disse Ramírez. «Che cosa cazzo cerchiamo?»

«Quella foto… crede che si tratti di un’interpretazione artistica di Maddy Krugman su ciò che passava per la mente di Vega oppure la signora sapeva di più?» continuò Falcón. «Qui c’è un quaderno con i pensieri di Krugman… parla della mente di un torturatore.»

«Non si tratta di vere tracce», disse Ramírez, «non si possono usare.»