«Posso chiedergli quali siano stati i suoi movimenti in quella settimana, se crede.»
«Non voglio metterlo sull’avviso.»
«Be’, se è stato lui a organizzare l’incendio, è già sull’avviso», ribatté Ramírez. «In quanti sanno che cosa è avvenuto alla finca di Montes?»
«A quest’ora lo saprà tutta Almonaster la Real. Voglio dire, non in dettaglio, ma sapranno che si tratta di qualcosa di criminoso, probabilmente sanno già dei cadaveri.»
«Perciò sarà tutto nei notiziari della sera.»
«Non abbiamo in mano abbastanza su di lui per collegarlo a quanto stava effettivamente accadendo alla finca di Montes, dobbiamo prima trovare chi ha appiccato il fuoco e forse così potremmo scoprire il collegamento», disse Falcón. «Lasci Cristina dai Krugman, lei torni alla Jefatura e metta in moto l’operazione, José Luis.»
Falcón scese di nuovo nello scantinato della casa e copiò la scritta in cirillico sulla parete, facendosi luce con una piccola pila tenuta tra i denti. Esaminando le quattro celle si rese conto che i materassi erano stati impregnati di benzina e dati alle fiamme, ma era mancato l’ossigeno per alimentare il fuoco.
Furono mandati altri uomini in paese a prendere grandi teli di plastica che vennero stesi sul terreno bruciato. Materassi e pagliericci furono numerati, trasportati all’aperto e stesi sui teli di plastica. Nel frattempo Falcón esaminò minuziosamente le pareti delle celle vuote.
Nella seconda notò una macchia scura sul pavimento: partiva dal muro sul fondo e arrivava fino al centro della cella. Staccò un pezzetto di cemento e lo mise nel sacchetto; nella quarta trovò una moneta da un euro dietro un frammento di malta. Mise nel sacchetto anche quella.
All’aperto cominciò a lavorare sui materassi, staccando il tessuto esterno e frugando nell’imbottitura. Il materasso della cella numero due conteneva una scheggia ricurva di vetro, frammento di un bicchiere da vino, ma nel materasso della cella numero tre era nascosto un vero tesoro: una lametta Gillette II usata, ancora con qualche pelo attaccato.
Alle tre del pomeriggio fecero una pausa per mangiare qualcosa. Felipe e Jorge erano arrivati ad Almonaster la Real e davanti alle costine di maiale, alle patate fritte e all’insalata Falcón disse loro di concentrarsi sull’interno della casa prima di riesumare gli scheletri.
«Metro quadrato per metro quadrato. Fotografate tutto. Cercate impronte dappertutto, anche su cose che sembrano completamente bruciate, tutti i televisori, i videoregistratori, i telecomandi. C’è molta plastica là dentro, potrebbe essere materiale video: vedete se riuscite a trovare un centimetro di nastro intatto. Cerchiamo anche oggetti personali, soldi, gioielli, indumenti. Qui ci veniva gente che forse ha perso qualcosa. Voglio setacciare tutto il terreno intorno alla casa, siate meticolosi, fate tutto quanto come da manuale. Nessuno, e intendo nessuno, che sia stato in questa casa e sia coinvolto in quello che accadeva qui, dovrà avere la benché minima possibilità di farla franca per colpa di una nostra negligenza tecnica.»
Intorno alla tavola si stabilì un’atmosfera di cupa determinazione. Furono fatte telefonate nelle vicine cittadine di Cortegana e Aracena per avere rinforzi e al loro ritorno alla finca trenta uomini erano lì ad aspettarli. Falcón ne mise ventisei a occuparsi dell’esterno e quattro ad aiutare Felipe e Jorge a trasportare il materiale fuori dalla casa.
Tutti i reperti vennero fotografati in situ, elencati in un quaderno con il numero della foto e messi in sacchetti. Qualsiasi oggetto di grandi dimensioni, con impronte evidenti, fu avvolto nella plastica. Falcón chiese a Elvira di tenere pronti due tecnici di laboratorio per ricevere il materiale e trattare gli elementi di prova.
Alle sette di sera il terreno era stato completamente setacciato, così come due terzi dell’interno della casa. Chiamò Ramírez.
«Ho trovato i suoi piromani», disse. «Sto mettendo insieme una squadra per andarli ad arrestare. Si trovano a Tres Mil Vivendas e non voglio che se la squaglino in quel piccolo buco d’inferno.»
«Ha lavorato in fretta, José Luis.»
«Sono stato fortunato. Ho calcolato che probabilmente avevano agito di notte, perciò ho cominciato con tutti i garage sulla strada per Aracena che rimangono aperti fino a tardi. Ho pensato che, pur non essendo stupidi, potevano però essere impigriti dal caldo. Mi sono detto che forse non avrebbero riempito le taniche nello stesso posto per non attirare l’attenzione, ma lo avrebbero fatto in vari distributori lungo la strada. In due garage ricordavano un furgone con due tizi che avevano riempito taniche di plastica, ma in nessuno di quei garage c’era la televisione a circuito chiuso. Sono partito da lì andando indietro finché non ho trovato un distributore con le telecamere e qui ho avuto fortuna. I tizi erano tornati due volte a riempire le taniche. Sono andato a vedere la registrazione. Tutti e due avevano il cappello in testa, perciò sapevano di poter essere ripresi e quindi non si vedevano, come non si vedeva il furgone perché lo avevano parcheggiato sull’altro lato delle pompe. Ma la seconda volta quel posto era occupato da un camion, perciò sono dovuti uscire allo scoperto tra la cassa e le pompe. Le telecamere inquadravano proprio quello spazio e il numero di targa è visibilissimo.»
«Ha i nomi?»
«Sì e hanno tutti e due precedenti penali per reati minori e furto con scasso. Uno si è anche beccato una condanna per aggressione, ma nessuno dei due è mai stato arrestato per incendio doloso.»
«Sto tornando con il primo carico di prove.»
Chiuse il cellulare che immediatamente suonò di nuovo. Alicia Aguado gli disse che avrebbe trovato un amico per farsi accompagnare al carcere per la seconda seduta con Sebastián Ortega.
Uno dei poliziotti di Aracena che aveva parenti a Siviglia si offrì di guidare il furgone con il materiale e Falcón poté così tornare in città da solo, a tutta velocità, come se stesse correndo verso una conclusione brillante. Durante il tragitto dovette accostare tre volte l’auto al ciglio della strada per rispondere alle telefonate.
La prima era di Cristina Ferrera: aveva esaminato tutte le foto di Maddy Krugman, a stampa e su disco, e ne aveva trovate due nelle quali Marty Krugman era in compagnia di uno sconosciuto diverso. In una era animato e parlava, nell’altra sembrava in attesa di qualcosa. In entrambe appariva sullo sfondo o su un lato dell’inquadratura. Quella in cui appariva sullo sfondo era sul computer e Cristina aveva dovuto ingrandire quella parte per avere la certezza che si trattasse di lui.
La seconda telefonata era di Ramírez, confermava l’arresto dei due incendiari e informava che stava perquisendo il loro appartamento.
La terza, di Elvira, arrivò mentre Falcón stava entrando in Siviglia. Il Comisario voleva vederlo non appena fosse arrivato alla Jefatura.
Falcón salì subito nell’ufficio di Elvira. La segretaria era già uscita e la porta dell’ufficio era aperta: il Comisario, seduto alla scrivania, fissava il vuoto con l’aria di chi avesse avuto una notizia terribile.
«Sta succedendo qualcosa», disse, indicando a Falcón la sedia.
«Qualsiasi cosa sia non sembra bella.»
«Pressioni politiche stanno arrivando da… poteri forti», disse Elvira. «L’articolo pubblicato stamani sul Diario de Sevilla. …»
«Qualche ora fa non mi era sembrato tanto preoccupato per quell’articolo.»
«Il lungo necrologio che lo accompagna è un pezzo scritto con grande abilità. Non si dà nessuna spiegazione del suicidio di Montes e non si avanza nessuna teoria, ma dopo aver letto l’articolo quelli che ‘sanno’ non hanno avuti dubbi sulle implicazioni, implicazioni gravi. C’è stata una reazione da parte di personaggi importanti dell’amministrazione comunale e del parlamento andaluso. Vogliono sapere quale sia lo stato di… casa nostra.»