Ramírez era seduto nella stanza degli interrogatori numero quattro, con i gomiti sulle ginocchia, la testa china. Dalle dita della destra si levava un filo di fumo. Non si mosse quando Falcón entrò, non si mosse fino a quando si sentì toccare su una spalla. Allora si raddrizzò sulla sedia lentamente, come se fosse pieno di dolori.
«Qual è il problema, José Luis?»
«Ho visionato una cassetta.»
«Quale cassetta?»
«Ho cambiato opinione sugli incendiari. Erano due grandissimi fessi. Tontos perdidos. Sono andati là con la mentalità dei ladruncoli e prima di dare fuoco alla finca hanno rubato un televisore e un videoregistratore. E dentro al videoregistratore…»
«…c’era una cassetta!» lo interruppe Falcón, galvanizzato dagli sviluppi del caso.
«E si trattava di quello che pensavo: pornografia infantile. Ma non pensavo di riconoscere uno dei partecipanti.»
«Non sarà Montes?»
«No, no, grazie a Dio. Sarebbe stato tremendo. Questo era uno del barrio. Ricorda che le ho parlato di un tipo che si era arricchito, ma non ne aveva mai abbastanza e che veniva continuamente a dirci quanto fosse diventato ricco e importante? Provava gusto a ficcarcelo in gola. È lui il cabrón del video.»
«Allora sulla cassetta è stato registrato quello che avveniva nella finca?»
«Immagino di sì, ma non ho visto più di un minuto di registrazione, mi sono sentito subito male.»
«Bisogna informare Elvira», affermò Falcón. «Ma c’è modo di farne una copia prima di mandarla di sopra?»
Ramírez lo fissò attentamente.
«Non dica quello che immagino stia per dirmi».
«Elvira è dalla nostra parte.»
«Ma certo!» ribatté Ramírez. «Finché qualcuno non gli pesterà i coglioni.»
«Per questo dobbiamo fare una copia della cassetta, perché glieli stanno già pestando», disse Falcón. «Ma per il momento con le babbucce ai piedi.»
«Lasci fare. Quando avranno sentito parlare della registrazione, specialmente se è stato ripreso qualcuno di importante, piomberanno qui con gli stivali da cowboy.»
Ramírez batté i tacchi sul pavimento della stanza.
«Chi sa della cassetta?»
«Nessuno. Il televisore e il videoregistratore erano stati buttati dietro la porta dell’appartamento, solo quando ho portato qui i due incendiari ho pensato di andare a controllare se il videoregistratore fosse carico.»
«Bene. Allora noi copiamo la cassetta, consegniamo l’originale e stiamo a vedere che cosa succede.»
«Sa come si copia una cassetta?»
«So che servono due videoregistratori.»
«Non possiamo farlo qui», disse Ramírez. «E nemmeno possiamo chiedere a qualcuno di spiegarci come si fa in poche parole facili da capire, altrimenti lo saprà tutta la Jefatura.»
«A casa lei ha certamente uno di questi apparecchi e l’ho anch’io», insistette Falcón. «Si faccia spiegare da uno dei suoi figli come si fa e porti il videoregistratore a casa mia, dove nessuno ci disturberà.»
Falcón preparò la cassetta nell’apparecchio per far vedere ai due che cosa avevano rubato. Ramírez gli dette i dati del furgone, il rapporto sulle ricerche nei garage, una copia della registrazione video della televisione a circuito chiuso e il cappello usato da uno dei fermati, di nome Carlos Delgado.
«Ha una foto di Ignacio Ortega da mostrare ai due?» domandò Ramírez.
«Non una chiara», rispose Falcón. «Ma sapranno il suo nome e avranno una gran paura di dirlo, sono sicuro. Bussi alla porta quando avrà bisogno di usare la cassetta.»
«Vediamo chi sarà il primo a ottenere una confessione. Chi perde paga da bere», disse Ramírez.
Vennero scortati nella stanza gli incendiari. Ramírez prese con sé Pedro Gómez, Falcón fece sedere Carlos Delgado e spiegò l’uso del registratore.
«Che cosa hai fatto sabato notte e la domenica mattina presto, Carlos?»
«Dormito.»
«Eri col tuo amico Pedro?»
«Dividiamo l’appartamento.»
«E lui era con te quella notte?»
«È nella stanza accanto, perché non glielo chiede?»
«C’era qualcun altro?»
Carlos scosse il capo. Falcón gli mostrò una foto del furgone.
«È tuo?»
Carlos guardò la foto, fece segno di sì.
«Lo hai usato sabato notte o domenica mattina?»
«Siamo andati a trovare la zia di Pedro a Castillo… Domenica mattina verso le undici.»
«Sai chi ha usato il tuo furgone sabato notte e domenica mattina presto?»
«No.»
«Questo cappello è tuo?»
«Sì», rispose Carlos. Poi, dopo qualche istante: «Con chi ce l’avete voialtri? Mi chiede del furgone… del cappello. Di che cosa cazzo si tratta?»
«Stiamo indagando su un reato sessuale molto grave.»
«Reato sessuale? Mai commesso nessun reato sessuale.»
Falcón gli chiese di avvicinarsi al televisore. Sullo schermo scorrevano le immagini riprese dalla telecamera del garage, immagini in bianco e nero del furgone che si fermava, di Carlos che scendeva, riempiva le taniche, entrava. Falcón fermò la cassetta.
«Quel furgone ha la stessa targa di quello delle foto che è tuo, secondo quanto mi hai detto.»
«Noi non abbiamo commesso nessun reato sessuale.»
«Ma quel furgone è il tuo?»
«Sì.»
«E quella persona che paga la benzina sei tu?»
«Sì, ma io non…»
«Basta così, non mi serve di sapere altro.»
«Che cosa sarebbe questo reato?» insistette Carlos. «Qualcuno ha violentato la ragazza del distributore?»
«Che cosa avete fatto delle taniche una volta riempite?»
«Siamo tornati a casa.»
«Direttamente?»
«Sì. Abbiamo comprato la benzina per la zia di Pedro.»
«Ma eravate già stati in quel distributore e in un paio di altri dove avete riempito due taniche in ognuno. E ne avete riempite altre lungo la strada per Aracena. Che cosa ci siete andati a fare?»
Silenzio.
«Perché siete andati fino ad Almonaster la Real con tutta quella benzina nel furgone?»
«Non ci siamo andati.»
«Non ci siete andati», ripeté Falcón. «Carlos, lo sai, vero, che l’incendio doloso è un crimine grave? Ma non è la sola cosa che ci interessa. Vogliamo mettervi dentro per molto, molto tempo anche per un reato sessuale.»
«Io non ho commesso nessun…»
«Quando siete stati prelevati nel vostro appartamento, l’Inspector Ramírez l’ha perquisito e ha trovato in vostro possesso un televisore e un videoregistratore.»
«Non sono nostri.»
«Che cosa facevano nel vostro appartamento e con le vostre impronte sopra?»
«Quella roba non è nostra.»
«Vieni con me.»
«Non voglio venirci!»
«Andiamo solo là, al televisore.»
«No.»
Falcón spinse il televisore vicino al tavolo, tolse la cassetta registrata nel garage e la sostituì con l’altra, alzò il volume e premette il tasto «play». L’urlo dal televisore fece sobbalzare perfino lui. Carlos Delgado balzò in piedi, facendo rovesciare la sedia, agitò le mani in direzione dello schermo, poi si afferrò i capelli folti e ricciuti, come per sostenersi.
«No, no, no! Lo spenga! Noi non c’entriamo per niente!» gridò.
«Era in vostro possesso.»
«Lo spenga. Lo spenga!»
Falcón fermò la cassetta. Carlos era sconvolto. Tornarono a sedersi al tavolo.
«La violenza sessuale sui bambini è un reato gravissimo», disse Falcón. «Chi subisce una condanna per crimini di questo genere finisce in carcere per molti anni e in carcere se la passa malissimo. La maggior parte di quella gente preferisce l’isolamento per tutti i sette, dieci anni.»