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«Manolo però sta bene, vero?»

«Sì. È come se non gli fosse successo nulla. Ora è in vacanza, in campeggio con i nipoti e i cugini.»

«Allora avete altri figli molto più grandi?»

«Ho avuto un maschio e una femmina quando avevo diciotto e diciannove anni e poi, vent’anni dopo, è venuto Manolo.»

«Manolo ha avuto qualche reazione a quello che gli è capitato?»

«Non proprio a quello che è capitato a lui», precisò la signora López. «È sempre stato un bambino allegro, era più dispiaciuto per Sebastián Ortega che per sé. Non riesce a immaginarlo in prigione.»

«Allora come mai suo marito ha avuto questi problemi? Sembra che sia stato lui a risentire di più di questa storia.»

«Non può parlarne, è qualcosa che ha a che fare con quello che è successo a Manolo, ma non sono capace di fargli dire che cos’è.»

«Forse si vergogna? Non è una reazione insolita.»

«Per Manolo? Lui dice di no.»

«Le dispiace se provo a parlargli da solo?»

«Non le servirà a niente.»

«Ho qualche notizia che potrebbe giovargli.»

«È l’ultima porta a sinistra in fondo al corridoio», disse la donna.

A occhi chiusi, una mano scossa da movimenti incontrollabili posata sullo stomaco, l’altra inerte sul lenzuolo, il signor López era sdraiato su un letto di legno scuro sotto un crocefisso. Il ventilatore sul soffitto muoveva a malapena l’aria soffocante della stanza. Falcón lo toccò sulla spalla. Gli occhi si spalancarono rivelando paura.

«Non deve fare altro che ascoltarmi», disse Falcón. «Io non giudico nessuno, sono qui per cercare di rimettere a posto le cose, nient’altro.»

Il signor López batté le palpebre una volta, come se fosse un segnale concordato tra loro.

«Le indagini sono una cosa strana», cominciò Falcón. «Noi partiamo per scoprire ciò che è avvenuto e ci troviamo davanti ad altre cose che avvengono man mano. Le indagini hanno vita propria: noi crediamo di condurle, ma qualche volta sono loro a condurre noi. Quando ho saputo ciò che Sebastián Ortega aveva fatto, sono rimasto affascinato da quel caso, anche se non aveva niente a che fare con l’indagine di cui mi stavo occupando. Mi affascinava perché in casi del genere è rarissimo che alla vittima sia permesso di andarsene libera e di guidare la polizia nel luogo dove il colpevole aspetta di essere arrestato. Capisce che cosa le sto dicendo, signor López?»

L’uomo batté un’altra volta le palpebre. Falcón gli parlò del suo lavoro alla Jefatura e delle voci che vi circolavano su ciò che era veramente accaduto nel caso di Manolo. L’esigenza, e quindi la richiesta, di una deposizione tale da sostenere l’accusa non era insolita, ma che Sebastián non si fosse difeso affatto era stata una cosa imprevista, e il risultato di quelle gravi accuse era stato una condanna più dura di quanto il reato effettivo meritasse.

«Non ho idea di che cosa stia avvenendo dentro di lei, signor López, so soltanto questo: non per colpa sua e forse a causa dei problemi psichici di Sebastián, è stata fatta giustizia con una severità non necessaria. Sono qui per dirle che lei può, se vuole, contribuire a rimettere le cose a posto. Non deve fare altro che chiamarmi. Se non sentirò niente, lei non mi rivedrà più.»

Falcón lasciò il suo biglietto da visita sul comodino mentre il signor López, immobile, fissava le pale del ventilatore che si muovevano lentamente, poi uscì dalla stanza e salutò la signora López che lo accompagnava alla porta.

«Pablo Ortega mi ha detto che aveva dovuto lasciare il quartiere perché la gente non gli parlava più e nei negozi e nei bar non volevano più servirlo», domandò sul pianerottolo. «Come mai succedeva questo, signora López?»

La donna parve confusa e imbarazzata, si rassettò la veste senza necessità, poi si ritirò in casa e richiuse la porta senza rispondere.

Nella luce abbagliante della strada Falcón ricevette una telefonata dal Juez Calderón, che voleva vederlo a proposito del caso Vega, ma prima di tornare alla macchina, entrò in un bar sull’Alameda e ordinò un café solo. Mostrò il suo tesserino della polizia e rivolse al barista la stessa domanda che aveva fatto alla signora López. L’uomo non era giovane e aveva l’aria di averne viste parecchie a suo tempo come proprietario di un bar nella parte meno elegante dell’Alameda.

«Conoscevamo tutti quanti Sebastián», rispose l’uomo, «e ci era simpatico. Era un bravo ragazzo, anche se poi… ha fatto quello che ha fatto. La gente allora aveva cominciato a discutere, a dire che gli stupratori in genere sono stati stuprati da piccoli e poi si sono tirate le conclusioni. E certamente non ha giovato il fatto che Pablo Ortega stesse sulle scatole a tutti, arrogante com’era, uno che si credeva adorato dalla gente.»

Il sudore si raffreddò rapidamente sul corpo di Falcón mentre aspettava nell’ufficio del Juez che il magistrato tornasse da una riunione. Quando Calderón si fu accomodato sulla sua poltrona girevole, apparve chiaro a Falcón che quanto aveva turbato il giudice nei giorni precedenti non esisteva più. Era tornato quello di sempre, saldo in sella e sicuro di sé.

Falcón lo aggiornò sul caso Vega, dicendogli che aveva scoperto tutto quello che c’era da scoprire tranne il nome dell’assassino e gli consegnò un resoconto di quanto aveva appreso da Mark Flowers e da Virgilio Guzmán.

«Ha controllato questa presunta registrazione della presenza di Krugman al consolato americano, la notte in cui è morto Vega?»

«Ne parlerà il Comisario Lobo con il console, ma non credo che saprò mai se la registrazione esiste o no.»

«Perciò pensa che a uccidere Vega sia stato Marty Krugman?»

«Sì. E nonostante la moglie abbia negato, quel lunedì sera, credo anche che lo abbia indotto lei a uccidere Reza Sangari.»

«Se non avesse ammazzato Reza Sangari, pensa che non sarebbe stato capace di uccidere Vega?»

«Non penso che stesse acquistando il gusto di uccidere, ma non c’è dubbio che la sensazione di potere avuta nella prima esperienza lo abbia esaltato», rispose Falcón. «E quando ha scoperto chi fosse in realtà Rafael Vega, perché ci era arrivato da solo o perché glielo aveva detto Mark Flowers, ha sentito che aveva il potere di uccidere ancora. Credo che abbia ucciso Sangari per motivi passionali e Vega per motivi ideologici.»

«E la signora Vega?»

«È stato quello il problema. Krugman sapeva che Mario era dalla signora Jiménez e che non doveva preoccuparsi del bambino, e sapeva anche che Lucía Vega aveva un sonno molto profondo; certe volte lui e Vega discutevano a lungo in casa e non l’avevano mai disturbata. Però non sapeva che la signora Vega prendeva due pastiglie per dormire, la seconda verso le tre di notte. Così, mentre Rafael Vega agonizzava, probabilmente lei è scesa in cucina, ha visto la scena orrenda ed è scappata di corsa al piano superiore, inseguita da Krugman. Per questo aveva la mandibola slogata. Urlava e lui ha dovuto colpirla. Poi ha dovuto ucciderla, il che spiega come mai Krugman fosse così agitato e instabile fin dall’inizio.»

«E tutte quelle minacce dei russi?»

«Forse volevano soltanto scoraggiarci dall’indagare più a fondo e scoprire il loro sistema di riciclaggio del denaro sporco.»

«Davvero? Avrebbero avuto la mano un po’ pesante, non crede?»

«È gente che ha la mano pesante.»

«La vedo abbattuto, Javier», osservò Calderón.

E tu no, pensò Falcón, ma disse soltanto: «Ho fallito nel caso Vega. Ho fallito nell’impedire che Krugman si ammazzasse sotto i miei occhi e… be’, la mia psicologa dice che non bisogna mai usare il verbo ‘fallire’ alla prima persona singolare, perciò non dico altro».