«Ho sentito qualche brontolio», disse Calderón.
«È ora di pranzo.»
«Brontolii tettonici nella Jefatura. Teste che cadranno, impieghi perduti, pensioni saltate.»
«Perché Montes si è buttato dalla finestra?»
«Quello è stato l’inizio», affermò Calderón, crogiolandosi come un tempo nei pettegolezzi del momento. «E che mi dice di Martinez e Altozano?»
Falcón si strinse nelle spalle: Calderón scoprisse da solo perché i russi erano una vera minaccia.
«Lei sa qualcosa, non è così, Javier?»
«Anche lei», ribatté Falcón, irritato dal tono confidenziale.
«Io so che il Juez Decano e il Fiscal Jefe si sono parlati a porte chiuse per un’ora questa mattina, e non li si vede spesso nello stesso edificio e nella stessa stanza.»
«Quei brontolii che ha sentito sono il rumore dei poteri che ci controllano mentre serriamo i ranghi», disse Falcón.
«Mi racconti.»
«Oggi noi siamo ciechi, sordi e muti, Esteban.» Falcón si alzò dalla sedia. «Vorrei ancora avere quel mandato per la cassetta di sicurezza di Vega. Tanto vale soddisfare la nostra curiosità.»
«Glielo farò avere questo pomeriggio», assicurò Calderón, guardando l’orologio e raggiungendo Falcón sulla porta. «Scendo con lei. Vado a fare spese con Inés.»
Scesero le scale e attraversarono l’atrio del tribunale, dove tutti facevano i salamelecchi al giovane magistrato, tornato nel suo elemento, gli orrori sempre più lontani all’orizzonte. Uscirono superando la barriera di sicurezza e Inés era in attesa dall’altra parte. Falcón la salutò con un bacio sulla guancia, lei cinse Calderón alla vita e il giudice l’attirò a sé, baciandola sui capelli. Inés rivolse a Falcón un saluto pieno di brio con la mano e un gran sorriso girando il capo mentre si incamminava con andatura baldanzosa sui tacchi alti, i capelli ondeggianti sulle spalle come nella pubblicità di uno shampoo.
Falcón li seguì con lo sguardo, cercando di immaginare che cosa potesse essere passato tra loro da quel fatale lunedì notte. E col pensiero venne la risposta: assolutamente nulla. Si erano aggrappati l’uno all’altro terrorizzati dalla solitudine che li aspettava, desiderando che scomparisse tutto quanto era successo e spalancando le braccia alla vita di prima. Era quello l’uomo che secondo Isabel Cano smaniava per le nuove esperienze? Era quella la donna di cui Falcón aveva cercato disperatamente l’approvazione? Li osservò allontanarsi verso la città e verso una vita di piccole, dolorose, distruzioni.
Consuelo chiamò, per chiedergli di fare colazione insieme. Gli fece la stessa impressione della sera precedente, la sentì distante e preoccupata. Si accordarono per vedersi in Calle Bailén, avrebbe cucinato lui. Falcón comprò qualcosa al Corte Inglés tornando a casa. In cucina si liberò dei pensieri. Affettò le cipolle, le fece soffriggere lentamente in olio d’oliva fino a renderle caramellate, fece bollire le patate e versò sherry oloroso sulle cipolle riducendo il tutto a sciroppo, pulì e condì il tonno, preparò l’insalata, sistemò i gamberetti intervallandoli con fette di limone e maionese. Bevve manzanilla gelata e sedette nell’ombra del patio in attesa di Consuelo.
Arrivò alle due. Non appena l’ebbe fatta entrare in casa, capì che qualcosa non andava. Era chiusa, impenetrabile. Non era la prima volta che Falcón aveva quell’impressione con una donna, la sensazione che volesse tenere tutto dentro finché l’atmosfera non fosse stata sgombra. Le sue labbra non risposero al bacio, il corpo si tenne a distanza. Falcón avvertì alla bocca dello stomaco la stretta dell’amante che sta per sentirsi dire qualcosa con molta gentilezza. La condusse in cucina come se fossero due condannati a morte e quello fosse il loro ultimo pasto.
Mangiarono gamberetti e bevvero manzanilla mentre lui le spiegava come il caso Vega fosse ufficialmente chiuso. Poi si alzò per friggere i tranci di tonno, riscaldò lo sciroppo oloroso e lo versò sul pesce e quando fu di nuovo seduto a tavola, con la padella tra loro, non riuscì a resistere oltre.
«Ti sei già stancata di me», disse, servendole la fetta di tonno.
«Precisamente il contrario», ribatté lei.
«Oppure si tratta del mio mestiere? So che sei venuta qui per dirmi qualcosa, ho una certa esperienza in materia.»
«Hai ragione, ma non è che mi sono stancata di te.»
«È per via di quello che è successo domenica? Posso capirlo. So quanto tieni ai tuoi figli. Sono stato…»
«Ho imparato a sapere ciò che voglio, Javier», disse Consuelo, scotendo la testa. «Mi ci è voluta una vita, ma ho imparato questa preziosa lezione.»
«Non tutti ci riescono», osservò Falcón, servendosi del tonno, che ora appariva insulso nel suo piatto.
«Un tempo ero romantica. Stai parlando con una donna che si era innamorata di un duca, ricordi? Anche quando sono venuta a vivere qui ho continuato a coltivare certe illusioni sentimentali, ma dopo che sono nati i miei figli mi sono resa conto che non avevo più bisogno di prendermi in giro. Mi hanno dato tutto l’amore, l’amore vero e incondizionato di cui avevo bisogno e che ho ricambiato doppiamente. Ho avuto una relazione per soddisfare certe esigenze fisiche, tu lo hai conosciuto quell’idiota di Basilio Lucena e hai capito di che genere fosse il nostro rapporto. Non si trattava di amore, era molto meno complicato e più gestibile dell’amore.»
«Non hai bisogno di farlo con delicatezza», la interruppe Falcón, «basta che tu mi dica: ‘Non voglio farlo più’.»
«Per la prima volta nella mia vita sono assolutamente sincera con un uomo», gli disse Consuelo, guardandolo dritto negli occhi.
«Quello che stava avvenendo tra noi mi sembrava una bella cosa, una cosa giusta», riprese Falcón, con l’emozione che gli stringeva la gola. «Per la prima volta nella mia vita, mi sono sentito assolutamente al posto giusto.»
«È una bella cosa, ma non è ciò che voglio ora.»
«Vuoi dedicarti ai tuoi figli?»
«In parte è così. Il resto riguarda me. Tra noi per adesso va bene, ma cambierà e io non voglio l’intensità dei sentimenti, le complicazioni, le responsabilità… Ma soprattutto, e questo è il mio fallimento, non voglio essere messa tutti i giorni a confronto con la mia debolezza.»
«La tua debolezza?»
«Ho dei lati deboli, nessuno se ne accorge, ma li ho. E questa è la mia debolezza più grande. Tu sai tutto di me, perché la nostra relazione è cominciata nell’atmosfera terribile di un’indagine per omicidio. Ma non sai questo: sono perdutamente innamorata e non posso sopportarlo.»
«Come fai a saperlo, se per ora hai avuto soltanto l’illusione dell’amore?»
«Perché è già così.»
Consuelo si alzò, la pietanza intatta sul piatto, la salsa rappresa. Girò intorno al tavolo, Falcón cercò di dire qualcosa, voleva convincerla, ma Consuelo gli chiuse le labbra con un dito, gli prese la faccia tra le mani, gli accarezzò i capelli e lo baciò. Falcón sentì le sue lacrime. Poi Consuelo si scostò, gli strinse la spalla una volta e uscì.
La porta sbatté. Falcón fissò il piatto. Non avrebbe potuto mandare giù nulla che potesse aggirare il macigno che gli stava crescendo in gola. Gettò il tonno nel bidone della spazzatura, fissò la chiazza scura rimasta nel piatto e lo scagliò contro la parete.
30
Mercoledì 31 luglio 2002
Lo strano sonno della siesta lasciò Falcón con la curiosa sensazione di essere riposato, ma con il cervello malmesso in testa, come fosse l’inizio di un distacco. Gli eventi della mattina vagavano tra i suoi pensieri, lenti come nebbia sul fiume, una mattina così disastrosa che un ottimismo isterico inscenò una piccola ribellione nel suo animo. Seduto sul bordo del letto, scosse il capo, cercando risate da portare alla superficie e nel farlo un’idea improvvisa lo fece balzare sotto la doccia, dove l’idea si sviluppò, schiarendogli la mente.