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Si diresse in macchina verso San Bernardo, battendo a intervalli la mano sul volante e pensando che tra lui e Consuelo non era finita. Non le avrebbe permesso di sparire così facilmente: le avrebbe parlato ancora, avrebbe tentato di convincerla. Salendo in ascensore da Carlos Vásquez si guardò nello specchio e vide una determinazione folle nel suo viso.

«Vorrei parlare con i russi», disse entrando nello studio. «Crede di poter combinare un incontro?»

«Ne dubito.»

«Perché no?»

«Non accetteranno mai di parlare con lei… Inspector Jefe del Grupo de Homicidios.»

«Potrebbe invitarli qui, non so, per qualcosa che riguarda i cantieri. E io potrei raggiungervi.»

«Non sarebbe possibile.»

«Cerchi di persuaderli, signor Vásquez.»

«La Vega Construcciones non è più coinvolta attivamente nei loro progetti immobiliari, non avrebbero nessun motivo per vedermi. Hanno venduto gli immobili.»

«Venduto?»

«Erano di loro proprietà.»

«Dati i loro complicati rapporti con il suo defunto cliente, non crede che sarebbe stato prudente informarci, signor Vásquez?»

«Ho ricevuto istruzioni di non informare nessuno, se non la parte interessata alla vendita.»

«Ma non pensa che a noi avrebbe dovuto farlo sapere?»

«In circostanze normali lo avrei fatto», rispose Vásquez, le mani strette a pugno, le nocche sbiancate.

«E che cosa c’era di tanto anormale in quelle circostanze?»

Vásquez aprì il cassetto della scrivania e tirò fuori una busta.

«Lo scorso Natale ho regalato ai miei figli un cane. Un cucciolo. Lo avevano portato al mare per le vacanze. Alla fine della settimana scorsa mi hanno telefonato in lacrime: il cane era scomparso. Il lunedì mattina ricevo un pacchetto spedito da Marbella, conteneva una zampa di cane e questa busta.»

La busta conteneva una fotografia della famiglia Vásquez sulla spiaggia, l’aria felice. Sul retro della foto una scritta: «La prossima volta tocca a loro».

«Che ne dice come approccio psicologico, Inspector Jefe?»

Falcón tornò alla Jefatura. Gli era venuto in mente che i russi non si erano più fatti vivi da domenica e ora sapeva perché. Avevano raggiunto il loro scopo, si erano liberati dei progetti immobiliari di Vega e l’indagine era ufficialmente terminata. E il loro crimine più grave era stata l’uccisione di un cucciolo.

Ramírez e Cristina Ferrera erano seduti in silenzio.

«Che succede?» domandò Falcón. «Non dovreste essere in laboratorio con Felipe e Jorge?»

«Hanno ricevuto istruzioni di lavorare a porte chiuse e di riferire unicamente al Comisario Elvira.»

«E la lametta di rasoio che ho mandato al laboratorio?»

«Non hanno il permesso di parlare con noi di niente.»

«E i due incendiari?»

«Li abbiamo ancora, ma non so per quanto», rispose Ramírez. «In sua assenza ho telefonato a Elvira per chiedere se dovessimo prendere le loro deposizioni. Mi ha detto di non fare niente. E io sono un esperto in questo. Perciò, eccoci qui a non fare un cazzo.»

«Nessuna telefonata?»

«Lobo vuole vederla e Alicia Aguado chiede se può accompagnarla al carcere stasera.»

«Non è ancora finita, José Luis.»

Salì in ascensore fino all’ultimo piano, dove si trovava l’ufficio di Lobo, e prima di entrare telefonò ad Alicia Aguado per mettersi d’accordo. Non dovette fare anticamera, Lobo lo ricevette subito, calmo. Sedettero l’uno di fronte all’altro guardandosi come se tra loro fosse distesa la mappa di una battaglia dal risultato disastroso, costata migliaia di morti.

«Il lavoro suo e della sua squadra è stato eccellente», esordì Lobo e Falcón interpretò il complimento come un brutto segno.

«Crede? Io vedo solo un bel catalogo di fallimenti. Non ho un assassino per Vega e la scena è disseminata di cadaveri.»

«Ha fatto saltare un grosso giro di pedofilia.»

«Non credo di averlo fatto esattamente saltare. Ignacio Ortega ha sempre preceduto le mie mosse, come dimostra il fatto che non ho niente in mano per incriminarlo, se non il suo impianto di aria condizionata nella finca. In quanto al defunto Alberto Montes, ogni sua azione mi è stata d’inciampo», ribatté Falcón. «E ora Ortega mi ride in faccia e i russi sono ancora là, liberi come fringuelli, a continuare il loro traffico di adulti e di bambini a scopo sessuale.»

«Ignacio Ortega è finito. È un uomo segnato. Nessuno gli si avvicinerà più.»

«Un applauso», replicò Falcón. «E intanto vive nella sua bella casa e fa affari. Se ne starà tranquillo per qualche annetto e poi ricomincerà, data la sua particolare ossessione. Quel genere di persone ha l’impulso irrefrenabile di dissacrare l’innocenza, un impulso non meno forte di quello di un serial killer che vuole sentirsi tra le mani dei corpi che lottano per la vita. E non ho bisogno di dirle, Comisario, che Ignacio Ortega è solo un piccolo anello che per il momento è stato tagliato. Il vero mostro, la mafia russa, è ancora libero di allargare i suoi tentacoli su tutta l’Europa. Se mettiamo da parte le pubbliche relazioni, questo è uno dei nostri più grandi fallimenti. Ed è dovuto proprio agli organismi che dovrebbero sostenerci.»

«Tanto vale che glielo dica: la moglie di Montes è stata fermata mentre ritirava da un magazzino una scatola che conteneva centottantamila euro», lo informò Lobo. «Ma gli interrogatori per ora hanno dimostrato che Montes agiva da solo.»

«Altri applausi», si congratulò Falcón ironico. «Che cosa diremo agli abitanti di Almonaster la Real sui due adolescenti che abbiamo ritrovato sepolti alla finca? Che ne sarà dei quattro personaggi ripresi nella videocassetta? Che accadrà ad altri bambini…»

«Felipe e Jorge redigeranno un rapporto completo», lo interruppe Lobo parlando con calma, «e questo rapporto farà parte, come ogni altro aspetto della sua inchiesta, di un dossier che il Comisario Elvira consegnerà a me. Stiamo già svolgendo un’indagine all’interno della Jefatura, abbiamo potuto dare un nome al quarto individuo. È tutto documentato.»

«E ci sarà un’interrogazione al parlamento dell’Andalusia?»

Silenzio.

«E i quattro compariranno davanti a un tribunale?»

«Noi viviamo in una società organizzata, non nel caos e nell’anarchia, perché la gente ha fiducia nelle istituzioni», disse Lobo. «Dopo la morte di Franco, nel 1975, che cosa è accaduto a tutte le istituzioni da lui volute? Che cosa è accaduto alla Guardia Civil? Non si può buttare all’aria la Guardia Civil e cacciare via tutti, per la semplice ragione che sono le sole persone che sanno come far funzionare le cose. E allora che cosa si fa? Si limita il loro potere, si controllano i reclutamenti, si cambiano le istituzioni dall’interno. Per questo motivo ora la gente si fida di noi, non ha più paura di noi. Per questo motivo la Guardia Civil non agisce più come una polizia segreta.»

«Lo racconti a Virgilio Guzmán», ribatté Falcón. «Il punto è che nessuna persona coinvolta in questo caso affronterà mai la giustizia. E non perché non lo meriti, ma perché la nostra istituzione ha i panni sporchi e l’amministrazione che ci controlla se ne approfitta, perché i suoi panni sono più sporchi dei nostri.»

«Sono tutti uomini marchiati», insistette Lobo. «Vedrà… quella gente dovrà rinunciare al suo potere, si vedrà portare via gli appalti, perderà il suo ruolo nella società.»

«Forse non realizzeranno le loro ambizioni, il che sarà per loro una piccola tragedia», disse Falcón, «ma resteranno in libertà e questa sarà una tragedia per noi.»