«Allora crede che dovremmo incriminare tutti, rivelare la corruzione all’interno…»
«Sì», affermò Falcón. «E ricominciare da capo.»
«Tanti anni nella polizia e ancora non sa nulla della natura umana. Quanto tempo pensa che impiegherebbe la mafia russa per riprendere le sue attività?»
«Sto solo dicendo come la penso, Comisario Lobo», disse Falcón, sentendosi di nuovo le braccia pesanti.
«Capisce, Javier, non è una cosa che riguardi solo la Spagna», riprese Lobo. «È così in tutto il mondo. Abbiamo appena avuto la CIA sulla porta di casa e che cosa stava facendo? Proteggendo le istituzioni, conservando la dignità della carica del presidente degli Stati Uniti e del segretario di Stato.»
«È questo che le ha detto il console?»
«Proprio così.»
«Allora non ha visto la ‘registrazione’ che secondo Flowers dimostrava l’innocenza di Krugman?»
«Il console ne ha confermato l’esistenza.»
«Quanta fiducia tra i poteri costituiti! Lei non ha visto la registrazione perché non esiste. Flowers ha fornito un alibi a Krugman, perché probabilmente è stata la sua decisione a porre fine all’incertezza sugli eventuali segreti che Vega custodiva, quell’uomo era diventato troppo imprevedibile. Credo che Krugman abbia ucciso Vega quando Flowers gli ha rivelato la sua vera identità e — momento di silenzio per la dimenticata Lucía — ha dovuto uccidere anche la moglie innocente.»
«Non posso dire in faccia al console americano che è un bugiardo, Javier», protestò Lobo, irritato ora.
«Conosco queste cose, Comisario. Sarò ingenuo negli intrighi del potere, ma non del tutto inesperto. Ma ogni volta che succede una cosa come questa — e non dimentichiamo le scorrettezze finanziarie del suo predecessore, che hanno messo lei nel posto elevato che occupa in questo momento — ogni volta che succede una cosa del genere, un po’ di sudiciume mi rimane addosso e per quanto sfreghi, la macchia traspare sempre. Comincio a pensare di dover rientrare nei miei panni, non fosse che per darmi l’illusione che il bene possa prevalere.»
«Abbiamo bisogno di uomini come lei e come l’Inspector Ramírez, Javier», disse Lobo. «Non dubiti mai di questo.»
«Davvero? Non ne sono tanto sicuro. Gli strumenti dei buoni sono così patetici e prevedibili se messi a confronto con quelli dei cattivi», obiettò Falcón. «Se fossimo davvero gente sporca, con una profonda comprensione della sporcizia grazie agli anni di lavoro in queste istituzioni corrotte, forse dovremmo aver imparato qualcosa e tutta questa conoscenza di prima mano delle forze delle tenebre non dovrebbe andare sprecata.»
«Ecco, questa sì che è un una strada pericolosa da percorrere», avvertì Lobo.
Ramírez e Cristina Ferrera alzarono lo sguardo su di lui per avere un briciolo di speranza, ma Falcón mostrò loro le mani vuote. Nel suo ufficio vide sulla scrivania un foglio di carta, certamente la traduzione della frase in caratteri cirillici che aveva scoperto nella finca. Tenne fermo il foglio con le mani sui bordi e si fece forza per leggere:
Cara mamma, perdonami, ma questa cosa non possiamo più farla.
Uscì dall’ufficio senza dire una parola e andò a prendere Alicia Aguado. Era contento di essere con lei, perché Alicia era contenta e non vedeva l’ora di rivedere Sebastián per un’altra seduta. Si sentiva soddisfatta dei progressi fatti dal giovane. La morte di Pablo lo aveva liberato dal passato e in pochi giorni stava rivelando cose che normalmente sarebbero affiorate soltanto dopo mesi.
Era evidente che Sebastián aveva piacere di rivedere Alicia, pensò Falcón guardando attraverso il vetro invisibile: una volta seduto, il ragazzo scoprì subito il polso, impaziente di cominciare. Falcón non riuscì a concentrarsi sul colloquio, la conversazione avuta con Lobo gli turbinava ancora nella mente formando una triplice spirale elicoidale con Ignacio Ortega e i russi. Ogni pista che portasse ai russi era stata interrotta: Vega, Montes, Krugman erano morti e Vásquez paralizzato dalla paura. L’unica via rimasta, la più buia di tutte, passava per Ignacio Ortega e là si incontravano i tre elementi della spirale. Falcón ricordò le ultime parole di Lobo.
Dalla stanza del colloquio giunse fino a lui una certa tensione e per un momento si concentrò sul dialogo.
«Quanti anni avevi?» era la domanda di Alicia Aguado.
«Quindici. Non era un periodo facile per me: difficoltà a scuola, la vita in casa in un continuo cambiamento. Ero infelice.»
«Dimmi come è successo.»
«Stavamo andando a Huelva in macchina, lui aveva uno spettacolo là e poi avremmo proseguito per Tavira, in Portogallo, per passare il weekend al mare.»
«Perché hai scelto quel momento?»
«Non l’ho scelto. Ero arrabbiato con lui, ero arrabbiato perché non faceva che dirmi quanto fosse in gamba suo fratello, pieno di pensieri, sempre pronto a dare una mano. Mio padre era un disastro nell’amministrare i soldi e Ignacio lo aiutava di continuo. E ci mandava anche gli elettricisti e gli idraulici quando in casa c’era bisogno di riparazioni. Ha perfino rifatto tutto l’impianto elettrico senza farsi pagare. A Ignacio non costava nulla, naturalmente, non era niente per lui, metteva tutto in conto alla ditta. Ma mio padre lo considerava eccezionale. Non si accorgeva di nulla, non vedeva quanto suo fratello lo detestasse, quanto lo disprezzasse per il suo talento e la sua celebrità. Così, in uno di quei momenti, mentre Pablo era lì che lustrava l’immagine dorata del fratello, glielo dissi.»
«Ricordi le tue parole esatte?»
«Ricordo tutto come se fosse ieri», affermò Sebastián. «Gli dico: ‘Sai, quando tu eri lontano in tournée e mi lasciavi da tuo fratello…’ e mio padre si gira verso di me sorridendo, la faccia raggiante di affetto per quanto si aspetta di sentirmi dire, un’altra cosa meravigliosa su Ignacio. Così patetico che quasi non ce la faccio a dirlo, ma la rabbia è troppa e gli sferro il colpo: ‘…lui mi violentava tutte le notti.’ Lui perde il controllo della macchina, che esce di strada e finisce nel fosso semiribaltata. Poi comincia a schiaffeggiarmi sulla faccia, in testa, e io tiro giù il finestrino, riesco a uscire e mi ritrovo nel fosso, ma lui esce aprendo la portiera come se fosse lo sportello di un carro armato e mi corre dietro.
«Con mio padre non si capiva mai quando recitava e quando no, un momento era arrabbiato e subito dopo affettuoso. Ma quel pomeriggio c’era poco da sbagliare, era furibondo. Mi ha raggiunto in un campo lungo la strada, mi ha afferrato per i capelli e mi ha sbattuto di qua e di là, prendendomi a ceffoni con quelle sue mani grosse. Ero ridotto a un bambolotto di pezza. Mi ha stretto la faccia tra le mani e mi ha tirato su di peso e io vedevo le gocce di sudore sulla sua fronte e le labbra bianche che scoprivano i denti e sentivo l’odore del suo alito, mentre mi costringeva a rimangiarmi tutto quello che avevo detto. Mi ha costretto a dire che avevo mentito, a supplicarlo di perdonarmi e quando l’ho fatto lui ha detto che mi perdonava e che non ne avremmo parlato mai più. È stato così, infatti. Da quel giorno in pratica non ci siamo più parlati.»
«Credi che lo abbia detto a Ignacio?»
«Sono sicuro di no. Lo avrei saputo, Ignacio mi avrebbe cercato per minacciarmi.»
Per un momento rimasero in silenzio tutti e due, mentre Alicia soppesava mentalmente l’enormità di quella giornata. Falcón, seduto fuori, ricordò il sogno che gli aveva raccontato Pablo e lo rivide accasciato sul prato. Riusciva a indovinare i pensieri di Alicia dietro gli occhi che non vedevano. Era quello il momento giusto? Quale sarebbe stata la prossima domanda? Quale domanda avrebbe sbloccato e portato alla luce il ragionamento che stava dietro l’azione estrema di Sebastián?
«In questi ultimi giorni hai pensato al motivo per cui tuo padre si è suicidato?»