«Sì. Ho riflettuto molto sul biglietto che mi ha lasciato. A mio padre piacevano le parole, gli piaceva il suono della sua voce, era verboso. Ma in quella lettera si è limitato a una sola riga.»
Silenzio. La testa di Sebastián tremava sul collo.
«E che cosa ha voluto dirti con quelle poche parole, secondo te?»
«Ha voluto dirmi che mi credeva.»
«E perché pensi che fosse arrivato a quella conclusione?»
«Prima della mia condanna mio padre aveva raggiunto un punto della sua vita in cui non si metteva mai in discussione, non so se per via della sua certezza di possedere un grande talento o per via delle piaggerie di quelli che gli stavano intorno, ma era sempre sicuro di avere ragione, di non commettere mai errori… Poi sono stato arrestato. Dopo che mi hanno rinchiuso in carcere non ho più voluto vederlo, perciò non posso esserne sicuro, ma penso che sia stato allora che i dubbi si sono insinuati nella sua mente.»
«Ha dovuto lasciare il barrio», disse Alicia, «la gente lo aveva messo al bando.»
«Nel barrio non era mai stato molto popolare. Lui credeva che tutti lo adorassero come lo adorava il suo pubblico, ma lui non si era mai interessato agli altri. Erano lì solo per la maggior gloria di Pablo Ortega.»
«Questo deve avergli dato un motivo di dubitare.»
«Sì, e anche il fatto che lavorava meno. Ha avuto il tempo di ragionare di più con se stesso e, come so bene io, quando si comincia a fare così le paure e i dubbi ti assaltano da ogni parte e si ingigantiscono. Probabilmente ha parlato con Salvador. Non era cattivo, mio padre, Salvador gli faceva pena e lui lo aiutava, gli dava i soldi per la droga. Dubito che Salvador glielo avesse detto esplicitamente, data la forza della personalità di mio padre e la paura che gli faceva il suo, ma dopo i primi dubbi è probabile che Pablo abbia cominciato a mettere insieme le cose. E alla fine deve aver risolto quell’orribile equazione, che era la somma di tutte le sue paure. Deve essere stato devastante.»
«Ma non trovi che da parte tua sia stata un’azione incredibilmente drastica? Farti rinchiudere qui?»
«Non penserà che lo abbia fatto solo per attirare l’attenzione di mio padre, non è vero?»
«Non so perché lo hai fatto, Sebastián.»
Sebastián ritirò il polso e si coprì la testa con le braccia, dondolandosi sulla sedia per parecchi minuti.
«Forse per oggi è abbastanza», suggerì Alicia, trovando la sua spalla.
Sebastián si calmò, si raddrizzò, le porse di nuovo il polso.
«Avevo paura di quello che stava montando nella mia mente.»
«Parliamone domani», disse Alicia Aguado.
«No, vorrei provare a tirarlo fuori subito», ribatté il giovane, premendosi le dita di lei sul polso. «Avevo letto non so dove… non potevo fare a meno di leggere quel genere di cose. I giornali sono pieni di notizie di violenze sessuali sui bambini e la mia attenzione era sempre attirata da tutte quelle notizie, perché sapevo che mi riguardavano. In quegli articoli trovavo cose che mi facevano venire dei dubbi e poi ho cominciato a scoprire in me una parte di cui non mi potevo più fidare. È iniziato così e alla fine è diventata una certezza nella mia testa. Era solo una questione di tempo prima o poi… prima…»
«Penso davvero che per oggi basti, Sebastián. Stai facendo uno sforzo mentale troppo grande.»
«Per piacere, lascia che ci provi, solo quest’unica cosa!»
«Che cosa trovavi in quegli articoli?» domandò Alicia. «Dimmi soltanto questo.»
«Sì, sì, è cominciato così! Quello che trovavo negli articoli e che mi riguardava era che… che i violentati diventano violentatori. Quando l’ho letto la prima volta mi sono detto che non era possibile… non era possibile che finissi anch’io per avere quella stessa espressione furtiva, allusiva, che aveva lo zio Ignacio quando si sedeva sul mio letto la sera. Ma quando si è sempre soli i dubbi si moltiplicano e davvero avevo cominciato a pensare che anche a me sarebbe potuto succedere, che non sarei stato capace di controllare quella cosa. Già avevo scoperto di piacere ai bambini e che loro piacevano a me, mi piaceva condividere quel mondo innocente, spontaneo, privo degli orrori del passato e delle paure per il futuro, solo il meraviglioso semplice presente. E dentro di me cresceva il timore che un giorno avrei potuto finire per fare qualcosa di innominabile e vivevo in una paura continua. A un certo punto non ne ho potuto più e ho pensato che avrei dovuto farlo e basta. Quando è venuto il momento, però… non ho potuto, ma non importava, ormai era troppo tardi, quella paura dentro di me era troppo forte. Ho lasciato andare Manolo e mentre aspettavo la polizia mi sono ritrovato a pregare che mi chiudessero in una cella e buttassero via la chiave.»
«Non lo hai potuto fare, Sebastián. Non lo hai fatto.»
«La mia paura non mi diceva così, mi diceva che un giorno o l’altro sarebbe successo. Inevitabilmente.»
«Ma che cosa hai provato quando ti sei trovato davanti alla realtà delle tue intenzioni?»
«Ho provato solo repulsione, ho sentito che sarebbe stata una cosa schifosa, innaturale e crudele.»
Falcón lasciò Alicia in Calle Vidrio e proseguì verso casa, per ritirarsi nel suo studio con una bottiglia e un bicchiere pieno di ghiaccio. Dopo quella giornataccia, il whisky sembrava particolarmente buono. Con i piedi appoggiati sulla scrivania pensò all’uomo che era stato solo dodici ore prima. Non si sentiva abbattuto, il che era sorprendente. Anzi, si sentiva curiosamente energico, pieno di grinta e di determinazione, e si rese conto che era la rabbia a farlo sentire così. Voleva riprendersi Consuelo e seppellire Ignacio Ortega.
Virgilio Guzmán arrivò puntuale alle ventidue. Falcón gli versò da bere. Dopo l’esplosione della mattina, si era aspettato che Guzmán lo assalisse subito con la storia dell’insabbiamento alla Jefatura. Invece, seduto lì nello studio, Guzmán pareva solo interessato a parlare della sua vacanza a Maiorca di lì a una settimana.
«Che ne è stato del giornalista in piena crociata che stamani è uscito dal mio ufficio su tutte le furie?» domandò Falcón.
«È sedato», rispose Guzmán. «Ho lasciato Madrid per venire qui, dove avrei condotto una vita più tranquilla ed ecco che impazzisco non appena sento l’odore di quella tua storia. La pressione mi è salita alle stelle. Prendo dei tranquillanti e, lo sai, la vita è proprio piacevole quando ti arriva attraverso un filtro.»
«Significa che lasci perdere?»
«Ordini del medico.»
Rimasero seduti in silenzio mentre Falcón valutava la veridicità dell’affermazione.
«Qualcuno ti ha detto qualcosa, Virgilio?»
«È una comunità molto unita questa di Siviglia. Il giornale non pubblicherà nulla a meno che non lo faccia prima qualcun altro. E sai una cosa, Javier? Non me ne importa un cazzo. Evviva i tranquillanti.»
Falcón gli raccontò tutto della finca di Montes, dei cadaveri nella sierra, degli incendiari, della videocassetta; gli disse dell’originale e della copia che aveva al piano di sopra. Guzmán lo ascoltò annuendo di tanto in tanto, come se ascoltasse storie del genere tutti i giorni.
«Che cosa vuoi ottenere?» gli domandò alla fine. «Quali sono le tue esigenze minime?»
«Mettere sotto chiave Ignacio Ortega per moltissimo tempo.»
«Comprensibile. Pare un individuo molto poco raccomandabile.»
«Trovi che mi sia troppo limitato? Dovrei puntare sulle nostre sacre istituzioni?»
«È il whisky a parlare per te», affermò Guzmán. «Non avresti nessuna possibilità di successo. Concentrati su Ortega.»
«Sembra ben protetto dalle sue conoscenze.»
«E allora, come puoi indebolire la sua rete di protezione e acciuffarlo?»
«Non lo so.»
«Be’, sei stato addestrato a questo scopo, sei stato addestrato a ragionare entro i limiti della legge», gli fece notare Guzmán, posando il bicchiere vuoto. «Ora vado, prima che sia troppo tardi.»