«L’ha tirata fuori dalla fasciatura e l’ha lasciata lì!» diceva qualcuno.
Avvicinandosi, Langdon vide la causa di tanta agitazione. Innegabilmente l’oggetto sul pavimento del Campidoglio era strano, ma non tanto da giustificare tutte quelle urla.
Lui lo aveva visto molte volte. Al dipartimento di arte di Harvard, c’erano decine di modelli anatomici come quello, a grandezza naturale, di plastica. Pittori e scultori li usavano per aiutarsi a riprodurre la parte più complessa del corpo umano che, contrariamente a quanto si possa pensare, non è il viso bensì la mano. Chi può averlo lasciato nella Rotonda?
Quel tipo di modello anatomico aveva dita articolate che permettevano all’artista di sistemare la mano nella posizione desiderata, che nel caso degli studenti dei primi anni era spesso con il dito medio teso e rivolto verso l’alto. Nel caso specifico, invece, erano l’indice e il pollice a puntare verso il soffitto.
Langdon fece un passo avanti e si rese conto che il modello era diverso dal solito. La superficie di plastica non era liscia, bensì chiazzata e leggermente rugosa. Sembrava quasi…
Pelle, pelle vera.
Langdon si fermò di colpo.
Poi vide il sangue. Mio Dio!
Il polso mozzato era stato infilzato su un piedistallo di legno provvisto di una punta acuminata, in modo che stesse dritto. Langdon provò un senso di nausea. Avanzò leggermente, trattenendo il fiato, e vide che i polpastrelli dell’indice e del pollice erano decorati da piccoli tatuaggi. Ma non furono questi ad attirare la sua attenzione. Spostò immediatamente lo sguardo sull’anello d’oro all’anulare.
Oh, no!
Indietreggiò. Era come se il mondo gli fosse crollato addosso: quella che aveva davanti agli occhi era la mano destra di Peter Solomon.
11
Perché Peter non risponde? si chiese Katherine Solomon chiudendo il cellulare. Dov’è?
Da tre anni a quella parte, Peter era sempre arrivato per primo all’appuntamento settimanale della domenica sera. Era il loro rito privato, di famiglia, un modo per tenersi in contatto prima di iniziare una nuova settimana, e a lui serviva anche per essere aggiornato sul lavoro fatto dalla sorella al laboratorio.
Non è mai in ritardo, pensò Katherine, e risponde sempre al telefono. Come se non bastasse, era ancora indecisa su cosa dirgli quando fosse finalmente arrivato. Come faccio a chiedergli spiegazioni riguardo a quello che ho scoperto oggi?
I suoi passi riecheggiavano ritmati nel corridoio di cemento che andava da un capo all’altro dell’SMSC come una spina dorsale. Era soprannominato la "Strada" e collegava fra loro i cinque grossi moduli da cui era composto l’edificio. A dodici metri di altezza una rete di tubature arancioni convogliava migliaia di metri cubi di aria filtrata da depuratori che ronzavano pulsando, come un cuore che batte.
Di solito quel rumore aveva un effetto calmante su Katherine e l’accompagnava lungo i circa quattrocento metri che portavano al laboratorio, ma quella sera il "respiro" dell’edificio la innervosiva. Le cose che aveva scoperto sul conto del fratello avrebbero turbato chiunque, ma dal momento che Peter era l’unico parente rimastole il fatto che le avesse taciuto un’informazione tanto importante l’aveva scombussolata ancora di più.
Che lei ricordasse, Peter le aveva tenuto nascosta una sola cosa in vita sua… ed era stato per farle una sorpresa bellissima. Tre anni prima, l’aveva condotta in quel corridoio mostrandole l’SMSC e alcuni dei suoi reperti più inconsueti: il meteorite di origine marziana ALH-84001, il diario pittografico di Toro Seduto, i barattoli di vetro sigillati con la cera contenenti esemplari originali raccolti da Charles Darwin…
A un certo punto erano passati davanti a una robusta porta con una finestrella. Katherine, avendo intravisto ciò che si trovava al di là, aveva esclamato: "Che cos’è?".
Peter aveva ridacchiato ed era andato avanti. "Il modulo 3. Lo chiamiamo il modulo Acquario. Incredibile, eh?"
Terrificante, casomai. Katherine aveva allungato il passo per non rimanere indietro. Le sembrava di trovarsi su un altro pianeta.
"La cosa che ti voglio mostrare è nel modulo 5" le aveva detto il fratello, continuando a camminare lungo il corridoio apparentemente infinito. "È il nostro ultimo ampliamento. È stato costruito per ospitare gli oggetti conservati nei sotterranei del Museo nazionale di storia naturale. Siccome verranno trasferiti qui fra circa cinque anni, adesso è vuoto."
Katherine gli aveva lanciato un’occhiata interrogativa. "Vuoto? E allora che cosa ci andiamo a fare?"
Gli occhi grigi del fratello si erano illuminati. "Ho pensato che, finché resta libero, potresti usarlo tu."
"Io?"
"Certo. Mi è venuto in mente che può farti comodo uno spazio dedicato, un laboratorio dove realizzare alcuni degli esperimenti teorici che hai ideato in questi anni."
Katherine lo aveva fissato esterrefatta. "Ma, Peter, si tratta di esperimenti teorici, per l’appunto! Realizzarli è praticamente impossibile."
"Nulla è impossibile, Katherine, e questa struttura sembra fatta apposta per te. L’SMSC non è solo un contenitore di oggetti preziosi, è uno dei centri di ricerca scientifica più avanzati del mondo. Preleviamo continuamente pezzi dalle nostre collezioni per esaminarli con le migliori tecnologie esistenti. Qui avrai a disposizione tutte le attrezzature e i macchinari possibili."
"Peter, le tecnologie necessarie per condurre questi esperimenti sono…"
"… già qui." Peter aveva sorriso. "Il laboratorio è pronto."
Katherine si era fermata di colpo.
Il fratello aveva indicato il fondo del corridoio. "Stiamo andando a vederlo."
Katherine era senza parole. "Mi… mi hai fatto costruire un laboratorio?"
"Rientra nei miei compiti istituzionali. Lo Smithsonian è stato fondato per promuovere le scienze e, in quanto segretario generale, di questo mi devo occupare. Sono convinto che gli esperimenti da te proposti possano allargare i confini della conoscenza scientifica verso territori inesplorati." Peter si era interrotto e l’aveva guardata dritto negli occhi. "Mi sentirei in dovere di appoggiare le tue ricerche anche se tu non fossi mia sorella: le tue intuizioni sono brillanti, ed è giusto che il mondo sappia dove portano."
"Peter, non posso…"
"Okay, rilassati… Sono io personalmente a finanziare le tue ricerche, e al momento il modulo 5 non serve a nessuno. Quando avrai completato gli esperimenti, te ne andrai. A parte il fatto che il modulo 5 ha alcune caratteristiche particolari che lo rendono perfetto per il tuo lavoro."
Katherine non riusciva a immaginare che cosa potesse esserci di utile per le sue ricerche in un enorme spazio vuoto, ma aveva la sensazione che presto l’avrebbe scoperto. Erano appena arrivati davanti a una porta in acciaio con impressa una scritta nitida:
Peter aveva inserito una chiave magnetica nell’apposita fessura. Si era acceso un tastierino elettronico e lui aveva sollevato il dito per comporre il codice identificativo, ma poi si era fermato e aveva guardato la sorella con la stessa espressione furbetta di quando era piccolo. "Sei pronta?"
Katherine aveva annuito. Mio fratello è sempre stato un grande attore.
"Sta’ indietro." Peter aveva premuto una serie di tasti. La porta si era aperta con un sibilo.
Oltre la soglia c’era solo un gran buio… uno spazio vuoto, nero come l’inchiostro, un abisso da cui parevano levarsi un vago gemito e una corrente d’aria fredda. Era come affacciarsi sul Grand Canyon di notte.
"Immagina un hangar in attesa di una flotta di Airbus" le aveva detto il fratello "Più o meno è così."