Percorrendo in senso contrario la galleria, raggiunse il vano che gli aveva indicato Bellamy… ripidi scalini metallici che si perdevano in un buio fitto. Cominciò a salire lungo la scala, che si faceva sempre più stretta. Ma non si fermò.
Ancora un po’.
Ora i gradini somigliavano più a quelli di una scala a pioli e lo spazio era spaventosamente ridotto. Poi la scala finì e Langdon si ritrovò su un piccolo pianerottolo, davanti a una pesante porta metallica appena socchiusa. La chiave di ferro era infilata nella serratura. Sempre al buio, Langdon spinse la porta, che si aprì con un cigolio lasciando entrare l’aria fredda, varcò la soglia e capì di trovarsi all’esterno.
«Stavo per venire a chiamarti» disse Katherine sorridendo. «E quasi ora.»
Non appena si rese conto di dove si trovava, Langdon trattenne il fiato, sorpreso. Era in piedi sullo strettissimo ballatoio esterno che circondava la sommità della cupola del Campidoglio. Proprio sopra di lui, la Statua della Libertà lasciava vagare lo sguardo sulla capitale addormentata. La statua era rivolta a est, dove le prime pennellate cremisi dell’alba avevano cominciato a colorare l’orizzonte.
Katherine guidò Langdon lungo il ballatoio, finché si ritrovarono a guardare verso ovest, perfettamente allineati con il National Mall. In lontananza, la sagoma del Washington Monument svettava nella luce del primo mattino. Da quel punto d’osservazione, il torreggiante obelisco sembrava più imponente che mai.
«All’epoca in cui venne costruito, era la struttura più alta di tutto il pianeta» mormorò Katherine.
A Langdon vennero in mente le vecchie fotografie color seppia dei muratori che, appollaiati sulle impalcature a più di centocinquanta metri da terra, posavano ogni blocco a mano, uno per uno.
Noi siamo costruttori, pensò. Siamo creatori.
Fin dall’inizio dei tempi, l’uomo aveva intuito che c’era qualcosa di speciale in lui… qualcosa che andava oltre. Aveva agognato poteri che non deteneva. Aveva sognato di volare, di poter guarire le malattie e di trasformare il proprio mondo in ogni modo immaginabile.
E lo aveva fatto.
Ora i santuari delle sue realizzazioni si allineavano lungo il National Mall. I musei dello Smithsonian traboccavano di invenzioni, di opere d’arte, di scienza e delle idee di grandi pensatori. Raccontavano la storia dell’uomo come creatore, dagli utensili di pietra del Museo di storia dei nativi americani ai jet e ai razzi del Museo nazionale dell’aviazione e dello spazio.
Se i nostri antenati potessero vederci oggi, di sicuro penserebbero che siamo dèi.
Mentre osservava la geometria dei musei e dei monumenti attraverso la foschia che anticipava l’alba, Langdon riportò lo sguardo sul Washington Monument. Ripensò alla Bibbia nella pietra angolare e a come la Parola di Dio fosse in realtà la parola dell’uomo. Pensò al grande simbolo del punto cerchiato e al modo in cui era stato incastonato nella piazza circolare ai piedi del monumento al crocevia dell’America. All’improvviso gli venne in mente la piccola scatola di pietra che Peter gli aveva affidato. Ora si rendeva conto che il cubo si era aperto a formare la stessa esatta figura geometrica: una croce con un punto cerchiato al centro. Si sorprese a sorridere. Perfino la scatola suggeriva quel crocevia.
«Robert, guarda!» Katherine indicò con il dito la sommità del monumento.
Langdon alzò lo sguardo, ma non vide niente.
Poi, osservando con maggiore attenzione, scorse qualcosa.
Al di là del Mall, una minuscola scheggia dorata di luce solare rimbalzava sulla cima dell’obelisco. Il punto luminoso diventò rapidamente sempre più brillante, scintillando sul vertice d’alluminio della sommità. Langdon lo guardò meravigliato trasformarsi in un raggio che andava allungandosi sopra la città ancora avvolta nell’ombra. Visualizzò la sottile incisione sulla faccia della cuspide rivolta a est e, stupito, si rese conto di come il primo raggio di sole che ogni giorno colpiva la capitale della nazione iniziasse il suo viaggio illuminando due parole.
Laus Deo.
«Nessuno sale quassù a quest’ora» sussurrò Katherine. «È questo ciò che Peter voleva che vedessimo.»
Langdon sentiva il polso accelerare a mano a mano che il bagliore sulla sommità del monumento si intensificava.
«Peter crede che sia questa la ragione per cui i padri fondatori vollero che l’obelisco fosse così alto. Non so se sia vero, ma una cosa è certa: una vecchissima legge stabilisce che nella nostra capitale non possa essere costruito niente di più alto. Mai.»
La luce continuò a scendere gradualmente lungo la cuspide, mentre il sole si alzava lento sopra l’orizzonte dietro di loro. Osservando la scena, Langdon poteva quasi percepire tutto intorno a lui le sfere celesti che tracciavano le proprie orbite eterne nel vuoto dello spazio. Pensò al Grande Architetto dell’Universo. E a Peter, il quale gli aveva detto che il tesoro che voleva fargli vedere poteva essere svelato esclusivamente dall’architetto. Langdon aveva pensato che si riferisse a Warren Bellamy. Ma era l’architetto sbagliato.
I raggi del sole avvolsero l’intera cuspide. La mente dell’uomo… che riceve l’illuminazione. Poi la luce cominciò a scivolare lungo il monumento, iniziando la stessa discesa che compiva ogni mattina. Il cielo che scende verso la terra… Dio che si collega all’uomo. Quel processo, pensò Langdon, si sarebbe svolto all’inverso quando fosse arrivata la sera. Il sole si sarebbe tuffato a ovest e la luce sarebbe risalita dalla terra al cielo… in preparazione di un nuovo giorno.
Accanto a lui, Katherine ebbe un brivido e si fece più vicina. Langdon le passò un braccio intorno alle spalle. Mentre se ne stavano fianco a fianco in silenzio, pensò a tutto ciò che aveva imparato quella notte. Alla convinzione di Katherine che ogni cosa stesse per cambiare. Alla fede di Peter nel fatto che l’età dell’illuminazione fosse ormai imminente. E pensò alle parole di un grande profeta che aveva affermato: "Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce".
Mentre il sole si alzava su Washington, Langdon rivolse lo sguardo al cielo, dove le ultime stelle andavano sbiadendo. Rifletté sulla scienza, sulla fede e sull’uomo. Rifletté su come tutte le culture, in tutti i paesi del mondo e in tutte le epoche, avessero sempre avuto un punto in comune. Tutti abbiamo avuto il Creatore. Abbiamo usato nomi diversi, effigi diverse e preghiere diverse, ma Dio è sempre stato la costante universale per l’uomo. È il simbolo che tutti noi abbiamo condiviso… il simbolo di tutti i misteri della vita che non potevamo capire. Gli antichi lo pregavano come simbolo del nostro illimitato potenziale umano, ma nel tempo quell’antico simbolo è andato perduto. Fino a quel momento.
Fu allora che, sulla sommità del Campidoglio, con il calore del sole che scendeva ad avvolgerlo, Robert Langdon sentì gonfiarsi dentro di sé, nel profondo, una sensazione potente. Era un’emozione che in tutta la sua vita non aveva mai provato in modo così intenso.
Speranza.