«Dunque, professore, secondo lei l’uomo che ha lasciato qui la mano di Peter Solomon è al corrente di tutto questo?» gli chiese Inoue Sato.
«Sì, sa questo e molto altro. La sala in cui ci troviamo contiene diversi simboli che riflettono la fede negli antichi misteri.»
«Conoscenze esoteriche che permettono all’uomo di acquisire poteri quasi divini» aggiunse Sato sarcastica.
«Esatto.»
«Non mi sembra molto in accordo con i principi cristiani su cui si fonda la nostra nazione.»
«Già. Però è così. Questa deificazione dell’uomo è anche detta "apoteosi". Non so se lo sa, ma è il tema centrale del simbolismo della Rotonda.»
«Apoteosi?» Anderson si voltò, con un’espressione di improvvisa consapevolezza.
«Sì.» Anderson lo sa. Lavora qui. «In greco antico significa "deificazione", diventare un dio.»
Anderson sembrava sbigottito. «Apoteosi è lo stesso che diventare un dio? Non ne avevo idea…»
«Che cosa mi sono persa?» chiese Sato.
«Il più grande dipinto del Campidoglio si chiama L’apoteosi di George Washington e ritrae lo statista mentre viene deificato.»
Il direttore dell’os assunse un’espressione dubbiosa. «Mai visto.»
«Non direi proprio.» Langdon alzò un dito puntandolo verso il soffitto. «Ce l’ha sopra la testa.»
21
L’apoteosi di George Washington — un affresco di quattrocentotrenta metri quadrati che ricopre la volta della Rotonda del Campidoglio — era stato ultimato nel 1865 da Costantino Brumidi.
Detto "il Michelangelo del Campidoglio", Brumidi aveva preteso per sé la cupola del Campidoglio proprio come Michelangelo aveva fatto con la Cappella Sistina, dipingendo un affresco sulla superficie più nobile dell’ambiente, il soffitto. Come Michelangelo, Brumidi aveva realizzato alcune delle sue opere più belle all’interno del Vaticano. Poi, però, nel 1852 era emigrato in America, abbandonando il più grande tempio di Dio in favore di un nuovo tempio, il Campidoglio americano, che adesso risplende di esempi della sua bravura, dai trompe-l’oeil dei Corridoi Brumidi al soffitto ornato di fregi nello studio del vicepresidente. Per la maggior parte degli storici, però, il vero capolavoro di Brumidi resta l’enorme dipinto sospeso sulla rotonda del Campidoglio.
Robert Langdon alzò lo sguardo verso il grande affresco. Di solito si divertiva nel vedere le reazioni sconcertate dei suoi studenti davanti alla bizzarra composizione del dipinto, ma in quel momento si sentiva prigioniero di un incubo che non riusciva ancora a comprendere.
Sato, accanto a lui, osservava con espressione corrucciata e le mani sui fianchi la volta imponente. Langdon capì che stava sperimentando la medesima reazione di tutti coloro che si soffermavano per la prima volta a osservare il dipinto che stava al centro ideale della loro nazione.
Totale disorientamento.
Non sei l’unica, rifletté Langdon. Per la maggior parte delle persone, L’apoteosi di George Washington diventava tanto più incomprensibile quanto più la si osservava. «Quello nel pannello centrale è George Washington» disse Langdon, indicando il centro della cupola, sessanta metri più in alto. «Come potete notare, è circondato da tredici figure femminili e sta ascendendo al cielo su una nuvola. È il momento della sua apoteosi, la sua trasformazione in un dio.»
Sato e Anderson osservavano in silenzio.
«Tutto intorno» proseguì Langdon «si vede una serie di figure strane e anacronistiche: sono alcuni dèi dell’antichità che regalano ai nostri antenati il sapere moderno. C’è Minerva, che offre l’ispirazione ai più grandi inventori della nostra nazione: Benjamin Franklin, Robert Fulton, Samuel Morse.» Langdon li indicò a uno a uno. «Là c’è Vulcano, con una macchina a vapore sullo sfondo. Quella al suo fianco è Cerere, la dea delle messi, che ha dato origine alla parola "cereale". È seduta su una mietitrice McCormick, la macchina agricola che ha permesso al nostro paese di diventare leader nel mondo nella produzione alimentare. Sul lato opposto c’è Nettuno, con Venere che mostra come stendere un cavo sottomarino attraverso l’Atlantico. Il dipinto raffigura chiaramente i nostri avi che ricevono il dono della conoscenza dagli dèi.» Abbassò la testa e guardò Sato. «La conoscenza è potere, e la giusta conoscenza permette all’uomo di compiere gesta miracolose, quasi divine.»
Sato spostò lo sguardo su Langdon, massaggiandosi il collo. «Stendere un cavo elettrico non mi sembra un’azione divina.»
«Per un uomo moderno forse no» ribatté Langdon. «Ma se George Washington avesse saputo che saremmo arrivati a parlarci attraverso l’oceano, a volare alla velocità del suono e a mettere piede sulla luna, avrebbe pensato che fossimo diventati degli dèi, capaci di azioni miracolose.» Fece una pausa. «Per dirla con le parole di Arthur C. Clarke, "ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia".»
Sato contrasse le labbra, immersa nelle sue riflessioni. Abbassò gli occhi sulla mano e seguì con lo sguardo la direzione dell’indice teso, su, fino alla cupola. «Professore, l’uomo le ha detto che "Peter indicherà la via", giusto?»
«Sì, signora, ma…»
«Anderson» chiese Sato, voltando le spalle a Langdon «possiamo dare un’occhiata più da vicino al dipinto?»
Anderson annuì. «C’è una galleria che corre lungo il perimetro interno della cupola.»
Langdon alzò lo sguardo verso la minuscola ringhiera appena visibile poco sotto il dipinto e si irrigidì. «Non c’è nessun bisogno di salire lassù.» Aveva già sperimentato una volta l’ebbrezza di camminare in quella galleria, che pochi conoscevano, ospite di un senatore e di sua moglie, e aveva rischiato di svenire per le vertigini.
«Nessun bisogno?» chiese Sato. «Professore, abbiamo un uomo convinto che questa sala contenga un portale in grado di farlo diventare un dio. Abbiamo un affresco che simboleggia la trasformazione di un uomo in una divinità. E abbiamo una mano che indica il dipinto. A me sembra che ci siano buoni motivi per andare lassù.»
«In effetti» disse Anderson «non sono in molti a saperlo, ma nella volta c’è un cassettone esagonale che si apre come un portale. Da lì si può guardare in basso e…»
«Un momento» lo interruppe Langdon. «Voi non avete capito. Il portale che quest’uomo cerca è simbolico… un’apertura che non esiste realmente. Quando ha detto: "Peter indicherà la via" parlava per metafora. Il gesto della mano che addita, con l’indice e il pollice tesi verso l’alto, è un simbolo molto noto degli antichi misteri e compare ovunque nell’arte classica. Lo troviamo anche in tre dei capolavori più famosi ed enigmatici di Leonardo da Vinci, L’ultima cena, l’Adorazione dei magi e San Giovanni Battista. È un simbolo del legame mistico fra l’uomo e Dio.»
Come sopra, così sotto. La bizzarra scelta di parole di quel pazzo cominciava ad avere un certo senso.
«Io non l’ho mai visto» disse Sato.
Perché non guardi ESPN, pensò Langdon, il quale non mancava di sorridere davanti ad atleti professionisti che levavano le mani al cielo in segno di gratitudine dopo una meta o un fuoricampo. Si chiedeva sempre quanti di loro fossero consapevoli di perpetuare una tradizione religiosa precristiana con un gesto di riconoscenza verso quel potere superiore che, per un breve istante, li aveva trasformati in divinità capaci di imprese miracolose.
«Se vi può essere di qualche aiuto» disse Langdon «la mano di Peter non è la prima a compiere questo gesto nella Rotonda.»
Sato lo guardò come se fosse pazzo. «Prego?»
Langdon indicò il BlackBerry. «Cerchi su Google "George Washington Zeus".»