Sato aveva l’aria dubbiosa, ma cominciò a digitare. Anderson le si avvicinò, guardando incuriosito da sopra la spalla.
«Un tempo questa Rotonda era dominata da una grande statua di George Washington» spiegò Langdon. «Era ritratto nella stessa posa di Zeus nel pantheon, con il petto nudo, la mano sinistra che regge una spada e la destra alzata con il pollice e l’indice tesi.»
Evidentemente Sato aveva trovato un’immagine in rete, perché Anderson osservava scioccato il BlackBerry. «Un momento… quello è George Washington?»
«Sì» rispose Langdon. «Rappresentato come Zeus.»
«La mano» disse Anderson continuando a guardare da sopra la sua spalla. «Le dita della mano destra sono nella stessa posizione di quelle del signor Solomon.»
Ve l’avevo detto, pensò Langdon, che la mano di Peter non è la prima a fare quel gesto, qui dentro. Quando la statua di Horatio Greenough che raffigurava George Washington a torso nudo era stata scoperta per la prima volta nella Rotonda, molti avevano osservato scherzando che Washington doveva avere alzato la mano verso il cielo nel disperato tentativo di trovare qualche indumento. Con il mutare della sensibilità religiosa, tuttavia, le battute di spirito si erano trasformate in polemiche e la statua era stata rimossa ed esiliata dentro un capannone nel lato orientale del giardino. Al momento aveva trovato casa al Museo nazionale di storia americana dello Smithsonian, dove quelli che la vedevano non avevano motivo di sospettare che fosse uno degli ultimi legami con il periodo in cui il padre della patria aveva vegliato sul Campidoglio nelle vesti di un dio, come Zeus sul pantheon.
Sato cominciò a comporre un numero sul suo BlackBerry, forse ritenendo che quello fosse il momento opportuno per Mettersi in contatto con il suo ufficio. «Che cosa avete trovato?» chiese, rimanendo pazientemente in ascolto. «Siete sicuri?» Stette a sentire ancora per un attimo. «Okay, grazie.» Chiuse la comunicazione e tornò a voltarsi verso Langdon. «Il mio staff ha fatto qualche ricerca e mi ha confermato l’esistenza della sua cosiddetta Mano dei Misteri, oltre a tutto quello che lei ha detto: i simboli sui polpastrelli… la corona, la stella, il sole, la lanterna e la chiave… come pure il fatto che questa mano anticamente fungeva da invito ad accostarsi a conoscenze segrete.»
«Ne sono felice» disse Langdon.
«Non ne ha motivo» ribatté lei seccamente. «Pare proprio che ci troviamo a un punto morto se non si decide a condividere con noi quello che invece si ostina a tenere per sé.»
«Prego?»
Sato gli si avvicinò. «Stiamo perdendo tempo, professore. Lei non mi ha detto nulla che non potessi apprendere dai miei collaboratori. Quindi glielo chiederò ancora una volta. Perché è stato chiamato qui stasera? Cosa la rende così speciale? Cos’è quella cosa di cui solo lei è a conoscenza?»
«Ne abbiamo già parlato» rispose Langdon. «Io non so perché questo tizio sia convinto che io sappia qualcosa!» Fu tentato di chiedere a Sato come diavolo avesse fatto lei a sapere che quella sera lui si trovava al Campidoglio, ma anche di questo avevano già parlato. «Se conoscessi il prossimo passo» aggiunse «glielo direi. Ma non lo conosco. Per tradizione, la Mano dei Misteri viene offerta da un maestro a un allievo. Poco dopo, viene fornita una serie di istruzioni, cioè le indicazioni per arrivare a un tempio, il nome di un maestro che ti insegnerà qualcosa… Questo tizio ci ha lasciato soltanto cinque tatuaggi! Troppo poco per…» Si interruppe di colpo.
Sato lo guardò. «Cosa c’è?» Gli occhi di Langdon si spostarono sulla mano. Cinque tatuaggi. Si rese conto che quanto stava dicendo poteva non essere del tutto vero. «Professore?» lo incalzò Sato.
Langdon si avvicinò lentamente a quella cosa raccapricciante. Peter indicherà la via. «Mi è venuto in mente che questo tizio potrebbe aver lasciato qualcosa dentro la palma chiusa di Peter. Una mappa, una lettera, delle istruzioni…»
«No» disse Anderson. «Come può vedere anche lei, le tre dita non sono chiuse.»
«Ha ragione» convenne Langdon. «Ma pensavo…» Si accucciò, cercando di vedere la parte di palma nascosta dalle tre dita. «… che forse non è scritto sulla carta.»
«Tatuato?» domandò Anderson.
Langdon annuì.
«Vede qualcosa?» s’informò Sato.
Langdon si chinò ancora di più, tentando di sbirciare sotto le dita appena piegate. «Da questa prospettiva è impossibile capirlo. Non riesco…»
«Oh, insomma!» sbottò Sato, andando verso di lui. «Apra quella maledetta mano!»
Anderson le si parò davanti. «Direttore! Dovremmo aspettare l’arrivo della Scientifica prima di toccare…»
«Io voglio delle risposte» tagliò corto Sato spingendolo da parte. Si accovacciò, costringendo Langdon a scostarsi.
Lui si alzò in piedi e, incredulo, vide il direttore dell’os estrarre una penna dalla tasca e infilarla con attenzione sotto le dita piegate. Poi le sollevò a una a una finché la mano non fu del tutto aperta, e la palma visibile.
Alzò gli occhi verso Langdon, con un sorriso a fior di labbra. «Ha visto giusto anche questa volta, professore.»
22
Katherine Solomon era nervosa. Mentre misurava a grandi passi la biblioteca, scostò la manica del camice per guardare l’ora. Non era abituata ad aspettare, ma in quel momento pareva che tutta la sua esistenza fosse stata messa in attesa. Aspettava i risultati della ricerca di Trish, aspettava che suo fratello si facesse vivo, aspettava una telefonata dall’uomo responsabile di quella situazione angosciante.
Vorrei tanto che non mi avesse detto nulla, pensò. Di solito Katherine era molto cauta con gli estranei, ma nonostante avesse conosciuto quell’uomo soltanto poche ore prima, nel giro di qualche minuto lui si era conquistato la sua fiducia incondizionata.
La telefonata era giunta nel pomeriggio, mentre lei era a casa a godersi il consueto relax domenicale dedicato alla lettura delle riviste scientifiche della settimana.
"Signora Solomon?" Era una voce d’uomo insolitamente delicata. "Sono il dottor Christopher Abaddon. Speravo di poterle parlare un momento di suo fratello."
"Scusi, chi è lei?" aveva chiesto Katherine. E come hai fatto a procurarti il mio numero privato?
Il dottor Christopher Abaddon? A Katherine quel nome non diceva nulla.
L’uomo si era schiarito la voce come se fosse in imbarazzo. "Le chiedo scusa, signora Solomon. Mi era parso di capire che suo fratello le avesse parlato di me. Io sono il medico di Peter. Il suo numero di cellulare figura tra quelli da chiamare in caso di emergenza."
Il cuore di Katherine aveva mancato un battito. In caso di emergenza? "È successo qualcosa?"
"No… non credo" aveva risposto l’uomo. "Suo fratello non si è presentato in studio questa mattina e non riesco a mettermi in contatto con lui. Non ha mai saltato un appuntamento senza avvertire e sono un po’ preoccupato. Ho esitato prima di chiamarla, ma…"
"No, no, ha fatto bene." Katherine stava ancora cercando di mettere a fuoco il nome del medico. "Non sento mio fratello da ieri mattina, ma probabilmente ha solo dimenticato di accendere il cellulare." Gli aveva da poco regalato un iPhone e lui non aveva ancora avuto il tempo di capire come funzionava. "Ha detto di essere il suo medico?" aveva chiesto poi. Peter è malato e me lo ha tenuto nascosto?
Cera stato un momento di silenzio. "Sono davvero dispiaciuto, evidentemente ho commesso un grave errore professionale telefonandole. Suo fratello mi ha detto che lei era al corrente delle sue visite nel mio studio, ma adesso capisco che non è così."
Peter ha mentito al suo medico? Katherine era sempre più preoccupata. "È malato?"