"Mi dispiace, signora Solomon, ma il segreto professionale mi impedisce di parlare delle condizioni di suo fratello, anzi, ho già detto fin troppo rivelandole che è mio paziente. Ora devo riattaccare, ma se dovesse sentirlo lo preghi da parte mia di telefonare per rassicurarmi."
"Aspetti!" aveva esclamato Katherine. "Per favore, mi dica cos’ha Peter!"
Il dottor Abaddon si era lasciato sfuggire un sospiro, chiaramente infastidito per il proprio errore. "Signora Solomon, mi rendo conto che lei è turbata e non posso darle torto. Sono sicuro che suo fratello sta bene. È venuto nel mio studio appena ieri."
"Ieri? E doveva tornare oggi? Sembra una faccenda piuttosto seria."
L’uomo aveva fatto un altro sospiro. "Suggerirei di concedergli ancora un po’ di tempo prima di…"
"Vengo da lei immediatamente" lo aveva interrotto Katherine, già diretta verso la porta. "Dov’è il suo studio?"
Silenzio.
"Dottor Christopher Abaddon, giusto?" aveva detto Katherine. "Posso trovare l’indirizzo da sola, oppure può darmelo lei. In un modo o nell’altro, sto per arrivare."
Dopo un attimo di silenzio, il medico aveva detto: " Se accetto di parlarle, signora Solomon, mi farebbe la cortesia di non accennarne a suo fratello finché non avrò avuto modo di spiegargli il mio passo falso?".
"D’accordo."
"Grazie. Il mio studio si trova a Kalorama Heights." Le aveva dato l’indirizzo.
Venti minuti dopo, Katherine Solomon procedeva per le strade eleganti di Kalorama Heights. Aveva cercato di contattare il fratello a tutti i suoi numeri di telefono senza ottenere risposta. Non era eccessivamente preoccupata di non sapere dove fosse, ma il fatto che lui andasse segretamente da un medico… quello le creava una certa agitazione.
Quando, finalmente, era giunta all’indirizzo, era rimasta a fissare l’edificio, sconcertata. E questo sarebbe lo studio di un medico?
La dimora signorile, immersa in un parco lussureggiante, era dotata di una recinzione in ferro battuto e di telecamere di sorveglianza. Mentre rallentava per ricontrollare l’indirizzo, una delle telecamere aveva ruotato verso di lei e il cancello si era spalancato. Katherine aveva imboccato lentamente il vialetto di accesso e parcheggiato accanto a una limousine davanti a un garage con sei posti auto.
Che razza di dottore è questo?
Mentre scendeva dalla macchina, il portone si era aperto e una figura elegante era uscita sulla soglia. Era un uomo di bell’aspetto, decisamente alto, e più giovane di quanto lei si aspettasse. Eppure aveva la classe e l’eleganza di una persona più anziana. Era vestito in maniera impeccabile, con abito scuro e cravatta, e i capelli biondi erano pettinati con cura.
"Signora Solomon, sono il dottor Christopher Abaddon" aveva detto, con una voce che pareva un sussurro. Quando gli aveva stretto la mano, Katherine aveva sentito che era estremamente morbida e curata.
"Katherine Solomon" aveva replicato sforzandosi di non fissare la pelle di lui, insolitamente liscia e abbronzata. È truccato?
Entrando nell’atrio arredato con sfarzo, Katherine era stata assalita da un crescente senso di inquietudine. In sottofondo si sentiva della musica classica e nell’aria c’era profumo d’incenso. "È molto bello qui" aveva commentato "ma mi aspettavo… uno studio medico."
"Ho la fortuna di poter lavorare a casa." L’uomo le aveva fatto strada verso il soggiorno, dove nel caminetto era acceso un fuoco scoppiettante. "Si sieda, prego. Stavo preparando del tè. Vado a prenderlo e poi potremo parlare." Si era avviato verso la cucina scomparendo dalla vista.
Katherine Solomon non si era seduta. L’intuito femminile era un istinto potente di cui aveva imparato a fidarsi, e in quel luogo c’era qualcosa che le faceva accapponare la pelle. Non aveva visto nulla che potesse far pensare allo studio di un medico. Le pareti di quella stanza, arredata con mobili antichi, erano tappezzate di opere d’arte classicheggianti, soprattutto dipinti con strani soggetti mitologici. Si era fermata davanti a un quadro che ritraeva le Tre Grazie, i cui corpi nudi erano resi con grande realismo a colori molto vivaci.
"Quello è l’originale a olio di Michael Parkes." Il dottor Abaddon si era materializzato all’improvviso alle sue spalle portando un vassoio su cui era posata una teiera fumante. "Ci sediamo vicino al caminetto?" L’aveva invitata ad accomodarsi. "Non ha motivo di essere nervosa."
"Non sono nervosa" aveva ribattuto Katherine con eccessiva fretta.
Lui le aveva rivolto un sorriso rassicurante. "A dire il vero, il mio lavoro consiste proprio nel capire quando le persone sono nervose."
"Prego?"
"Io sono uno psichiatra, signora Solomon. È questa la mia specialità. Ormai è quasi un anno che suo fratello è in cura da me."
Katherine era rimasta senza parole. Peter è in terapia?
"Spesso i soggetti preferiscono non rivelare ad altri di essere in cura" aveva detto l’uomo. "Io ho commesso un errore telefonandole, anche se, a mia parziale discolpa, è stato suo fratello a indurmi in inganno."
"Io… io non ne avevo idea."
"Le chiedo scusa per averla allarmata" aveva aggiunto, apparentemente imbarazzato. "Ho notato che mi osservava, quando ci siamo incontrati, e… sì, sono truccato." Si era sfiorato la guancia, a disagio. "Ho una malattia della pelle che preferisco nascondere. Di solito è mia moglie che mi trucca, ma quando lei non c’è devo cavarmela da solo."
Katherine aveva annuito, troppo imbarazzata per dire qualcosa.
"E questa folta chioma…" L’uomo si era sfiorato la capigliatura bionda. "È una parrucca. La malattia ha colpito anche i follicoli del cuoio capelluto e mi sono caduti i capelli." Si era stretto nelle spalle. "Temo che il mio peggior peccato sia la vanità."
"E il mio, a quanto pare, la scortesia" aveva detto Katherine.
"Niente affatto." Il sorriso del dottor Abaddon era disarmante. "Ricominciamo da capo? Magari con una tazza di tè?" disse versandoglielo. "Suo fratello mi ha fatto prendere l’abitudine di servirlo durante le nostre sedute. Mi ha detto che i Solomon sono bevitori di tè."
"Una tradizione di famiglia" aveva spiegato Katherine. "Senza latte, grazie."
Avevano parlato del più e del meno per qualche minuto, sorseggiando il tè, ma Katherine era impaziente di avere informazioni sul fratello. "Perché mio fratello è venuto da lei?" aveva chiesto. E perché non me ne ha fatto cenno? Certo, Peter aveva dovuto affrontare la sua buona dose di tragedie: aveva perso il padre in giovane età e in seguito, nel giro di cinque anni, aveva seppellito il figlio e la madre. Ma era sempre riuscito a trovare il modo per andare avanti.
Il dottor Abaddon aveva bevuto un sorso. "Suo fratello è venuto da me perché tra noi c’è un legame che va oltre il normale rapporto medico paziente." Aveva indicato un documento incorniciato appeso vicino al caminetto. Sembrava un diploma, ma poi Katherine aveva visto la fenice a due teste.
"Lei è massone?" E al massimo grado, per di più.
"Io e Peter siamo come fratelli."
"Deve aver fatto qualcosa di importante per essere accolto al trentatreesimo grado."
"Non direi" aveva risposto lui. "Appartengo a una famiglia agiata e devolvo molto denaro agli istituti di beneficenza patrocinati dalla massoneria."
Katherine aveva capito perché suo fratello si fidasse di quel medico così giovane. Un massone, di famiglia ricca, dedito alla filantropia e alla mitologia antica ? Il dottor Abaddon aveva molto più in comune con suo fratello di quanto lei avesse inizialmente immaginato. "Quando le ho chiesto perché mio fratello è venuto da lei, non intendevo perché ha scelto lei, ma perché aveva bisogno di uno psichiatra."
Il dottor Abaddon aveva sorriso. "Sì, l’avevo capito, ma cercavo di eludere educatamente la domanda. Non è una cosa di cui dovrei parlare." Aveva fatto una pausa. "Anche se ammetto di essere rimasto sorpreso che suo fratello le abbia tenuto nascoste le nostre conversazioni, considerato che sono così strettamente legate alle sue ricerche."