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VECCHIO DETTO

Sebbene il giornalista della televisione sembrasse in preda all’isterismo, Susie Suggs non era per niente agitata. In effetti, non guardava neppure lo schermo del televisore portatile: le serviva solo come peso piatto sulla pancia, mentre eseguiva gli esercizi di respirazione profonda secondo l’insegnamento del rotocalco Lady Fair. Gli esercizi le mettevano sonno, e la voce della minuscola figura sembrava affievolirsi in un ronzio di zanzara. Sembrava quasi che un omettino piccolo piccolo le spuntasse dalla pancia: ma quell’idea era così vagamente inquietante che la svegliò del tutto. Dimenticandosi di contare i respiri, Susie cominciò a prestare attenzione al televisore.

«È un subdolo attacco dei russi? Oppure una delle nostre armi segrete ci è orribilmente sfuggita di mano? Oppure si tratta di qualcosa che siamo ancor meno preparati ad affrontare, un’invasione di esseri extraterrestri? Sapremo tutto fra pochi istanti, dopo questo comunicato commerciale della Vortex Corporation.»

Lo schermo diventò bianco, poi mostrò un grosso missile candido in una rete di nere cancellate di ferro. Il fuoco eruppe dagli ugelli e il cilindro gigantesco si sollevò nell’oscurità.

«Ecco… il Moloch!» intonò con voce solenne un annunciatore. «La più recente arma americana! Guardate come fila!» Il missile salì, si inclinò, e sparì nella notte. «E adesso, guardate il Moloch che distrugge questo simulacro di villaggio nemico!» Qualcosa di bianco piombò a capofitto in un villaggio tra l’erba, e tutti e due esplosero contemporaneamente («Evviva!» gridò l’annunciatore) in un attimo di bagliore accecante.

Stacco, poi inquadratura di un complesso laboratorio, dove un gruppo d’uomini in camice bianco e con le cuffie in testa osservava, su una dozzina di piccoli monitor televisivi, la scena della distruzione.

«Questi uomini esperti e geniali hanno progettato Moloch. Essi fanno parte della Sezione Missilistica della Vortex, uno dei tanti programmi con cui la Vortex si propone di rendere sempre più forte l’America. Ogni uomo, qui, è un genio, interamente votato al nostro programma missilistico in espansione incessante. Sono stati loro a risolvere i problemi del lancio e della guida del Moloch… e di altri diciassette missili militari. Sì, alla Vortex, la rappresaglia è una filosofia di vita.

«La Vortex è molte cose per molta gente. Vediamo qui un’acciaieria diretta dai computer prodotti dalla Sezione Apparecchiature della Vortex. E qui,» disse l’annunciatore, e Susie si interessò maggiormente alla scena, poiché rappresentava una sala operatoria, «qui vediamo il dottor Toto Smilax che esegue un intervento chirurgico a cuore aperto… con un bisturi prodotto dalla Sezione Coltelleria della Vortex.

«Vortex!» esclamò concludendo l’annunciatore. «Prima in guerra e prima in pace… e prima nell’arrivare al cuore dei suoi compatrioti.»

Ricomparve il giornalista. «Altoona, Nevada,» disse. «Fino ad oggi, una delle tante cittadine del West. Adesso… chissà! Forse la vita continua come al solito ad Altoona… a quanto ne sappiamo. Ma da questa mattina presto c’è stata una totale censura sulle notizie, imposta dagli sforzi congiunti dell’FBI, della CIA, e della National Security Agency. Ci è stato impossibile stabilire un qualunque contatto con la cittadina.

«Che cos’è accaduto? In tutta sincerità, non lo sappiamo. Potrebbe trattarsi, come insinuano alcuni, di un’invasione russa, o addirittura d’una invasione extraterrestre. Altre fonti più responsabili ritengono che si tratti invece di una specie d’esperimento, e almeno una fonte solitamente attendibile ipotizza che potrebbe essere un’arma segreta sfuggita al controllo. Noi non lo sappiamo.» Ogni volta che ripeteva questa frase, il viso del giornalista sembrava un po’ più raggrinzito, un po’ più vicino alle lacrime. Per altri quindici minuti disse a Susie tutte le altre cose che non si sapevano. Poi l’annunciatore, con quella sua voce accattivante, che faceva scorrere caldi, piacevoli fremiti nel pancino di Susie, ritornò per presentare il missile Hermes-Aphrodite a due stadi. La pubblicità era così stupida, pensò Susie, riprendendo gli esercizi di respirazione.

Guardò l’orologio Lifetime e notò che si stava facendo molto tardi. Doveva sbrigarsi a prepararsi per uscire con Ron. E aveva avuto intenzione di studiare per la prova di Chimica Organica in programma per lunedì mattina. Era sabato sera e lei non aveva neanche aperto il libro!

In fretta, Susie fece una doccia con Nice, il sapone attivo ventiquattro ore su ventiquattro, che liquida gli odori che agli altri saponi sfuggono, e si passò addosso abbondantemente lo SHUR, per essere proprio sicura di averli eliminati tutti. Dopo essersi cosparsa di talco Lady Clinge, si infilò nella guaina-mutandina Modaform sei volte elastica, la guaina mutandina che r-e-s-p-i-r-a, poi mise il reggiseno Sportivo Modaform, e cominciò a darsi il profumo Classique, il profumo che fa di ogni donna un’imperatrice, di ogni uomo uno schiavo.

Dopo aver indossato il maglione nero e la gonna nera, Susie sedette alla toeletta per farsi la faccia. Dopo aver coperto le lentiggini dorate con il fondotinta blanc, si incipriò con la cipria Kown di Rubella Gorne. E si diede, sulla bocca perfetta, un rossetto bianco che si chiamava Eraser.

Per gli occhi, Susie scelse il solito assortimento di ombretti di Nora Hart, soprattutto ostrica e verde colibrì, ma sfumati con tocchi di borgogna e bronzo. Poi, dopo essersi spazzolati i capelli ed averli spruzzati abbondantemente di Airnet, non le restò altro che scegliere i gioielli.

Su un vassoio di velluto, nel cofanetto di Susie, erano appuntati il distintivo ΔKE di Bob, il distintivo di Giovane Repubblicano di Len, e il distintivo del Vietnam di Jim. Le sue dita passarono su questi, senza fermarsi neppure su Vivi allegro! della Pepsi Cola, Dai, Marmotte! o Vinci con Dewey! ma arrivarono in fondo alla fila e scelsero il Mandala della Pace che le aveva regalato Ron. Mentre se lo stava appuntando, sua madre comparve sulla porta.

«C’è quell’orribile Ron,» bisbigliò la madre, teatralmente. «Oh, mi rincresce tanto che non mi vada a genio, cara, ma è così… così sfuggente. E porta sempre vestiti vecchi. E adesso… adesso si fa addirittura crescere la barba! Ugh!»

Reprimendo a stento la sua repulsione a quel pensiero, Susie disse: «Ma vedi, mamma, è uno dei ragazzi più ricchi di tutta Santa Filomena. Ci terrai, spero, che io abbia un bell’avvenire?»

«Non lo so. Proprio non lo so.» Il viso abbronzato di Madge si incise di rughe di preoccupazione. «Ho sposato tuo padre perché aveva un brillante avvenire nella compagnia d’assicurazione. E guardami un po’ adesso!»

Susie guardò sua madre e vide un’attraente donna di mezza età che sembrava uscita dalle pagine di Lady Fair, al quale Madge del resto era abbonata: capelli scuri striati d’argento, una snella figura da ragazzina; l’unica cosa che tradiva l’età erano le lievi rughe del volto. Susie si augurò fervidamente di poter avere anche lei quell’aspetto, a trentacinque anni.

Madge continuò: «Mi rendo conto che non dovrei cercare di dirti come devi vivere, dopo lo sbaglio che ho commesso io. Tutte le volte che penso a quel mascalzone di tuo padre, e a come si diverte laggiù con quelle sue ragazze dell’harem… neanche una cartolina in più di tre mesi! Bene, oggi sono stata dall’avvocato, e gli intento causa di divorzio. Se lui vuole divertirsi, posso farlo anch’io! Finché il gatto non c’è, i topi ballano!»