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L’esistenza di questo tipo di computer non era di dominio pubblico; i princìpi del suo funzionamento erano segreto militare, e la sua fabbricazione era compresa soltanto dal dottor Toto Smilax in persona, che in quel momento entrava nella sala delle conferenze del NORAD.

I Capi di Stato Maggiore erano seduti dietro un gran tavolo grigio come il metallo dei cannoni, il più possibile lontani l’uno dall’altro. A una estremità si levava l’esile figura angolosa del generale Ickers dell’Aeronautica, un uomo svelto, simile a un uccello, dalla voce stridula. Un tempo era stato pilota collaudatore, e ne conservava ancora il tipico atteggiamento spensierato nei confronti di tutto, a eccezione della dignità del suo incarico.

All’estremità opposta sedeva una massa plumbea di carne, avvolta nell’uniforme da ammiraglio della Marina. Poiché un tempo aveva comandato un sommergibile (o meglio, una serie di sommergibili, ognuno dei quali riusciva a incappare in un incidente improbabile ma autentico non appena lui ne prendeva il comando) portava ancora un maglione biancosporco a collo alto, sotto la giacca. Ogni tanto riusciva a fare qualche smorfia sprezzante, ma per il resto l’espressione della sua faccia gonfia, da cadavere d’annegato, era di disperazione e di apatia.

Al centro sedeva il generale dell’Esercito R.M.S. («Happy») Meany, la cui faccia sembrava fare di tutto per imitare le espressioni dei suoi due colleghi. Non guardava mai dalla parte di Ickers senza un sogghigno fiducioso e una cameratesca strizzata d’occhio; né dalla parte di Nematode senza un mesto sospiro di commiserazione.

A un tavolo più piccolo, sei metri più in là, sedeva un’ausiliaria che fungeva da segretaria. Quando il dottor Smilax entrò, tutti stavano osservando su un grande schermo lo svolgersi di una battaglia. Metà dello schermo mostrava le linee verdi e le griglie azzurre di una mappa topologica; l’altra presentava sussultanti inquadrature televisive dei combattimenti veri e propri.

Un contingente di paracadutisti era stato lanciato su Altoona. Era una serata buia — non c’era la luna, ricordò Smilax — e le immagini erano traballanti e confuse. (Nematode sosteneva che il nemico interferiva per ragioni sue; Ickers affermava che per lui la ricezione era perfetta). Ogni tanto, una tozza sagoma ingombrante irrompeva dall’oscurità, abbrancava l’arma impugnata da qualcuno degli uomini, e tornava a sparire.

«Che fessi!» sbuffò l’ammiraglio.

Un paracadutista venne colpito basso da qualcosa che sembrava una macchina da scrivere deformata. Lasciò cadere il mitra e cadde, agitando le braccia.

«Sapevo che non sarebbe servito a niente,» disse adagio Nematode, assaporando le proprie parole. «Ma perché mai qualcuno doveva darmi retta? Io sono soltanto l’ammiraglio.» Intrecciò le grosse dita e si studiò le unghie sudice.

«Un uomo abbattuto non vuol dire una battaglia perduta,» insorse Ickers. Scrollò la testa piumata d’argento per sottolineare quanto diceva. «Ha preso una bella botta, ecco tutto. Adesso si finge morto per ingannare il nemico.»

In quel momento lo schermo si oscurò. «Lo sapevo!» gracchiò l’ammiraglio. «Adesso quel coso ha catturato la telecamera.»

«Col cavolo!»

«Sì, ha catturato tutta quella stramaledetta città, e anche i nostri ragazzi. Stasera Altoona… domani il mondo! Sarà la fine della civiltà… e buon viaggio, dico io!»

«Cosa?» strillò Ickers. «Come puoi indossare la divisa del tuo paese e dire una cosa simile! È una menzogna! I nostri Stati Uniti dureranno mille anni!»

«Be’, mi pare che entrambi i punti di vista abbiano qualche merito,» disse il generale Meany. «Perché non sentiamo quello che ha da dirci il nostro esperto in materia, eh? Dottore, perché non ci parla un po’ di questo suo congegno?»

«’Congegno’? Che parola banale per qualcosa cui sono certo che attribuite una grande importanza, signori! Oh…» Smilax si concesse un sarcastico sorriso professionale, mentre si alzava e si dirigeva verso la lavagna. «Mi rendo conto di abbandonarmi un po’ a una diatriba semantica, ma noi scienziati siamo piuttosto rigorosi nelle nostre definizioni.»

Estrasse un gessetto dalla tasca e scrisse «Nomenclatura: IL SISTEMA RIPRODUTTIVO» sulla parte alta della lavagna. I tre uomini attirarono a sé i blocchi per gli appunti e prepararono le penne. Meany scrisse «sist.» e lo sottolineò tre volte.

«Il Sistema Riproduttivo è composto da quelle che noi chiamiamo cellule.» Il dottore lo scrisse sulla lavagna. «Le prime cellule, come sapete, furono fabbricate nel Progetto 32. Erano di tipi diversi, e differivano le une dalle altre sotto due aspetti:

«1) Mezzi diversi di percezione e di comunicazione. Questi includevano rivelatori di metalli, rivelatori di radiazioni, radar, tubi catodici, microfoni, microtorce elettriche, input e schermi grafici, e macchine da scrivere. Soltanto i primi due erano in dotazione standard a tutte le cellule costruite.

«2) Mezzi diversi di propulsione. Questi includevano ruote a ingranaggi, zampe insettoidi snodate, razzi, eliche, e il sistema inerziale, a ‘gatto che cade’. Come un gatto è capace di raddrizzarsi a mezz’aria, così un oggetto può essere azionato in modo da spostare il proprio peso rapidamente. Si muove come un bambino che si aggira in uno scatolone di cartone. Abbiamo appena visto alla televisione un soldato che faceva inconsciamente la stessa cosa… agitava le braccia per recuperare l’equilibrio.»

«Sì,» ridacchiò l’ammiraglio, che non prendeva appunti. «Abbiamo visto quanto gli è servito, vero? È semplicemente morto, ecco tutto.»

Ickers balzò in piedi. «È bello e glorioso morire per il nostro paese!» urlò. «E io vorrei che tutti avessero la possibilità di farlo, in questo preciso momento!»

«Signori, signori,» disse Meany. «Cerchiamo di ricomporre i nostri dissidi. C’è molto di vero in ciò che entrambi avete detto. Forse il dottore vorrà avere la cortesia di esporci il suo punto di vista in proposito.»

«Sarebbe ora di muoverci!» gridò Ickers. Meany riempì di figure geometriche l’unica parola che aveva scritto sul suo blocco. Nematode cominciò a disegnare genitali femminili. «Finiamola di starcene tutto il giorno qui seduti! Io voglio andare là e prendere a calci in pancia quel coso! Uno dei miei ragazzi, Grawk, è qui fuori in corridoio, adesso, e aspetta ordini. Muoviamoci!»

Il dottor Smilax disegnò uno spaccato d’una cellula indivudale. «Le dimensioni variano,» spiegò, «per diverse ragioni ereditarie e ambientali. Le cellule originarie non erano della stessa grandezza, e in alcuni casi le differenze sono divenute assai marcate. L’esterno corazzato di ogni cellula è normalmente inattaccabile alle intemperie grazie a rivestimenti di vernice, di gomma o di plastica. Vi sono aperture dalle quali possono venire estroflessi i vari utensili: ganci, chele, cesoie, saldatori, ecc. In alcuni tipi il rivestimento è sacrificabile. In quasi tutti i tipi può aprirsi per fare entrare ì materiali… o per fare uscire una nuova cellula.

«All’interno della cellula vi è lo spazio in cui hanno luogo la riproduzione e la manutenzione. La manifattura ha portata molto limitata e consiste principalmente nell’adattare gli oggetti trovati a scopi succedanei.