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«Sicuro, parli pure. Tanto, ormai cosa abbiamo da perdere?» disse l’ammiraglio. «La razza umana è spacciata.»

Smilax illuminò una grande carta geografica. «Sembra che il Sistema abbia tre centri di sviluppo, per il momento, e stia recintando l’area che li include. I centri sono: il laboratorio di Millford, Utah; Altoona, Nevada; e Las Vegas. Facendo esplodere tre ordigni termonucleari nell’ordine di 150 megatoni ciascuno, ritengo che potremo neutralizzare il Sistema, a questo punto. Il resto sarà semplicemente un’operazione di ripulitura, mi pare che l’espressione sia questa, usando ordigni termonucleari più piccoli. So già quale domanda state per rivolgermi, perciò lasciatemi dire subito che stimo il totale delle perdite civili non superiore a un milione.»

«Ha detto un milione o un miliardo?» mormorò l’ausiliaria.

«Se questo è il prezzo del nostro impegno,» disse Ickers, sorridendo, «io ci sto!»

«È all’incirca la popolazione del Nevada e dell’Utah messa insieme,» osservò l’ammiraglio Nematode. «E questo è l’anno delle elezioni. Non riusciremo mai a convincere il Congresso a mandar giù l’idea di cancellare due stati dalla faccia della Terra. Tanto vale che gettiamo subito la spugna.»

«Entrambi gli argomenti dei miei colleghi sono validi,» disse prudentemente Meany. «Abbiamo qualche alternativa, dottore?»

«Soltanto il piano di una nuova linea di ricerca per alterare geneticamente il Sistema. Per fortuna o per sfortuna, il Sistema è in grado di trasmettere le caratteristiche acquisite. Entro due mesi circa, potremo…»

«Due mesi!» urlò Nematode. «Tra due mesi il Sistema coprirà l’intero globo terrestre.»

«No, secondo la mia stima, se continua a crescere con il ritmo attuale, in otto settimane raggiungerà una grandezza ottantotto volte superiore a quella attuale. Allora verrà a coprire circa 1.514.788 miglia quadrate, cioè più o meno l’area di quindici dei nostri stati occidentali, escludendo il Texas e l’Oklahoma, ma includendo l’area del Maine.»

«Oh, Cristo.»

Ickers aveva fatto entrare Grawk e sembrava in preda a un giubilo furibondo nell’udire quello che gli andava bisbigliando il suo subordinato. «Splendido! Splendido! Splendido! Glielo dica!»

«So che sembrerà un’idea pazzesca,» disse il piccolo, bruttissimo generale. «Ma forse è abbastanza pazza per avere buon esito. State a sentire. Ricordo di aver visto, una volta, un film di fantascienza, in cui si liberavano del mostro fulminandolo con l’elettricità. Ve lo ricordate? Bene… potremmo provare lo stesso sistema: attaccare l’alta tensione e fulminare il Sistema.»

«Roba da fantascienza,» sbuffò l’ammiraglio.

«Credo che l’idea non sia sbagliata,» disse Smilax. «Potrebbe funzionare… cortocircuitando i circuiti più fini… Ma, se fallisce, non ci guadagnamo niente.»

«Almeno non ci perdiamo niente!» strillò Ickers. Batté una mano sulla schiena di Grawk e abbaiò: «L’idea è sua, ragazzo mio. Se ne incarichi lei. Faccia collegare Altoona con l’alta tensione. Si metta subito all’opera. In bocca al lupo!»

«E quando avrà fatto fiasco,» disse l’ammiraglio, con biliosa buonagrazia, «sarà veramente in bocca al lupo. Sarà l’aviere di terza classe Grawk… se non la faremo fucilare.»

Meany riepilogò. «Corra, Grawk,» disse. «Le auguriamo di avere successo e le intimiamo di non fallire.»

«Non mi preoccupo.» Grawk trasferì fuori dalla porta il sogghigno a denti gialli e il sigaro nero.

Ad Altoona era stata piazzata un’altra telecamera e adesso, poiché Smilax era stato invitato a partecipare insieme ai Capi di Stato Maggiore alla loro partita settimanale al Gioco dell’Oca, i quattro assistettero alla nuova scena sul grande schermo. Un gruppo di giovani stava sfilando davanti alla barriera di filo spinato che i militari avevano eretto intorno alla città. Agitavano cartelli con le scritte: «COS’È’ SUCCESSO AD ALTOONA?, «ABBASSO LA FINE DEL MONDO» e «RENDETECI IL NOSTRO PIANETA».

«Se ne accorgeranno presto di quello che è successo ad Altoona,» disse il comandante dell’Esercito, lanciando i dadi. «Se il piano di Grawk va a buon fine, domani lasceremo ‘filtrare’ le notizie, tramite le nostre solite fonti attendibili.»

C’era una ragazza che sembrava avesse sbagliato corteo. Calzava un paio di stivaletti bianchi, e reggeva un cartello con la scritta «DAI, DAI MARMOTTE!»

Poi la ragazza si girò e Smilax poté vedere un altro messaggio, tracciato frettolosamente a tergo del cartello: «LA FINE DEL MONDO È UN’INGIUSTIZIA VERSO I GIOVANI!»

Arrivò un plotone di soldati che circondarono i contestatori e cominciarono a trascinarli via.

«Dove li portano?» chiese Smilax al generale Meany.

«Li terremo sottochiave fino a domani sera, o fino a quando finirà questa storia. Perché?»

«La ragazza con gli stivali. Mi sembra un soggetto ideale per i miei ultimi esperimenti sul dolore. Chissà…»

«Capisco,» disse Meany, dandogli una gomitata confidenziale. «Ahah, capisco. Naturalmente, la farò tenere per lei. Dove vuole che gliela portino? Qui?»

«Sì, ho organizzato l’infermeria. Grazie.»

«Ahah, vecchio birbante!»

«Lei non sa quanto,» disse Smilax fissando la ragazza… il ritratto vivente di Nan Richmons. Con l’immaginazione, lui vedeva già la perfetta simmetria dei suoi reni.

Capitolo Undicesimo

Beele della CIA

«Fermo là, Marocco.»

SHAXPERE

Mentre aspettava il suo nuovo collega, Suggs ammazzava il tempo scrivendo un’altra cartolina alla moglie. Ne scelse una con gli incantatori di serpenti al mercato di Dar El Fna. «Cara Madge,» scrisse. «Mi diverto sempre molto, anche se tu e Susie mi mancate tanto. Con affetto, Bubby.»

Si chiese se era il caso di aggiungere che a Marrakech le trattative per le assicurazioni andavano per le lunghe (l’attività di assicuratore era la sua copertura), ma decise di non farne niente. Probabilmente Madge pensava che lui se la stesse spassando con le ragazze dell’harem. E sarebbe stato davvero così, se Suggs non avesse avuto una paura pazza delle malattie veneree. Ricordava ancora troppo bene i documentari della CIA sulla sifilide terziaria e sulla gonorrea avanzata…

Un brontolio nello stomaco ricordò a Suggs che il Vicino Oriente aveva in serbo altri malanni per gli incauti. Adesso era pentito di non aver portato con sé una scorta di generi alimentari. Quel giorno Suggs aveva fatto quindici corse al bagno, e le aveva segnate sul suo diario con una specie di torva soddisfazione.

Non sapeva con certezza quale dei passeggeri in arrivo fosse il nuovo collega, ma alla fine puntò sul giovanotto magro con la visiera, che si stava liberando di una torma di ragazzini.

«Lei è Green?» mormorò Suggs, passandogli accanto.

«Eh?»

Suggs gli passò accanto di nuovo. «Lei è Mr. Green?»

«Oh, lei deve essere Mr. Gray.»

«Esatto. Però i miei amici mi chiamano Suggs. B. Suggs. Perché quella visiera?» Suggs si girò per squadrare apertamente il nuovo collega. «Qual è la tua copertura? Immagino che potresti dire di essere un allevatore di pecore, venuto a cercare qualche raro capo da riproduzione.»

«Mi chiamo Beele, Barthemo Beele. Sono ai suoi ordini, Mr. Suggs, ma…»

«Solo Suggs, prego.»

«Suggs, io non so che genere di corruzione dilaghi in questa città, ma vorrei fare del mio meglio per stroncarla. Sai cosa mi è appena capitato? Uno di quei bambini ha cercato di vendermi qualcosa che, ne sono sicuro, era una droga!»

Suggs prese la valigia di Beele e si avviò verso la carrozzella. Quando si furono seduti, diede al cocchiere il nome dell’albergo e si girò verso il nuovo agente per impartirgli saggi consigli. «Non badare a quei piccoli straccioni. Te li trovi sempre intorno e cercano di venderti le sorelle, l’hashish, i fratelli, le madri, il kif e via discorrendo. Ti ci abituerai.»