«Nel Nevada!» esclamò Beele. Poi, pensando alle scatole lucenti che aveva visto il giorno prima, si chiese se la reuttite c’era davvero ancora, nel Nevada. «Ne facevano le reticelle per le lampade a gas e…»
«Già, già, vedo che sei già stato informato. Be’, i francesi da anni continuano a comprare segretamente vecchie reticelle per lampade a gas, preparandosi a questo coup.
«Il che ci porta alla seconda ragione per cui tengono segreta la missione.» Suggs decapitò un’altra unghia. «Pensiamo che stiano cercando di mandare un uomo sulla luna. E questo significa che se ne faranno forti… con conseguenze atroci per il resto del mondo. Capisci cosa voglio dire?»
Il ragazzo lo guardò meditabondo. «No, credo proprio di non capire,» ammise.
Suggs ringhiò. «Cosa ti succede, sei scemo o cosa? La Francia sulla Luna significa qualcosa di più di un semplice tricolore sul Mare Nubium. Significa che la Francia diventerà padrona della Terra! Ti piacerebbe diventare schiavo della Repubblica Francese, eh? Immagina come si ridurrebbe il mondo: tutti i ristoranti appestati dall’aglio e tutte le strade intasate da quelle automobiline di latta. Ti costringeranno a mangiare le lumache anziché cibo decente, come una bistecca con patatine fritte. Non potrai nemmeno procurarti più una Coca-cola… ti costringeranno a bere quel loro vino schifoso! Musei d’arte da froci! Birra imbevibile! Sigarette che si sbriciolano! Niente deodoranti maschili!»
Suggs girò su se stesso e scagliò il coltello contro la porta. Nonostante la forma goffa, la lama ruotò su se stessa e si piantò fremendo nel legno. «Ecco quello che penso io dei Mangiaranocchie!» gracchiò l’uomo.
«E cosa dobbiamo fare, impedire il lancio alla Luna?» chiese Beele quando trovò il coraggio di respirare.
«Solo come estrema risorsa. C’è un altro sistema, credo. Il razzo che hanno progettato dovrebbe avere una capsula biposto, ma partirà un francese solo. Ora, noi dobbiamo convincerlo a portare con sé uno di noi, in modo che possiamo ‘studiare gli effetti del nuovo carburante’ e avanzare ulteriori diritti sulla Luna. Il guaio è che i russi stanno cercando di fare lo stesso. In città ce ne sono due, Vovov e Vetch.»
«Dovrebbe essere facile convincerlo a mettersi con noi, anziché con quelli,» opinò Beele. «Non vedo cosa si può trovare a ridire, quando si tratta di scegliere tra la democrazia e il totalitarismo.»
«Già, già, e il capo ha autorizzato un pagamento per un quarto di milioni di dirham, anche,» disse Suggs, pensieroso. «Cinquantamila dollari, sarebbero. Spero che Mosca non offra di più.»
«Corromperlo? Hai intenzione di corromperlo?»
Suggs fissò con aria incredula il suo nuovo assistente, chiedendosi se era possibile essere tanto ingenuo. Le sue meditazioni vennero interrotte da un urgente, bruciante messaggio dei suoi intestini.
Quella sera andarono in un piccolo motel alla periferia della città, affacciato sui Monti dell’Atlante, per vedere Marcel Brioche. Era un giovanotto simpatico dal bel volto immobile, che indossava l’uniforme di gala dell’Aeronautica francese. Un’ombra di sorpresa e di irritazione gli passò sul viso, ma poi sorrise.
«Buonasera, Monsieur Suggs,» disse. «Stavo giusto per andare fuori a cena. Per cosa voleva vedermi?» Stava ritto sulla soglia, e non li aveva invitati a entrare.
«Se conosce il mio nome, forse sa anche cosa voglio,» scattò Suggs.
«Calma, calma. Non ho tempo per le schermaglie. I miei amici possono arrivare da un momento all’altro…»
«Sarò breve, Brioche. Noi rappresentiamo il governo degli Stati Uniti, come lei sa già, senza dubbio. Siamo disposti a trattare…»
«Io no. Bon soir.»
«Aspetti. Le chiediamo solo di portare con sé uno dei nostri uomini, come osservatore. Non abbiamo nessuna intenzione di interferire con il suo volo sulla Luna… se collabora con noi. Sappiamo che l’astronave può ospitare due persone. Che male c’è a prendere a bordo un… un autostoppeur?»
«Un autostoppista? Parliamo inglese, se non le spiace: e un inglese molto chiaro. Lei mi chiede perché non ci tengo a collaborare con il suo governo. Benissimo, glielo dirò.
«Quando ho sentito parlare per la prima volta di Le Bateau Ivre, tre anni fa, stavo per sposarmi. L’astronave era stata progettata per portarci tutti e due in luna di miele. Ma due anni fa, quando i lavori di costruzione dell’astronave erano progrediti al punto che era impossibile rinunciarvi, lei mi lasciò.»
«Mi dispiace,» disse Barthemo Beele. «Capisco quello che prova. Anche mia moglie mi ha appena piantato.»
«Che strana coincidenza! Io ho appena ricevuto gli atti del divorzio,» ridacchiò Suggs. «Ma sono cose che capitano. Perché non si è trovato un’altra ragazza?»
«Lasci che le racconti quello che è successo. L’uomo per cui la mia fidanzata mi aveva lasciato era un ufficiale di collegamento dell’aeronautica americana presso la NATO a Parigi. Ha avuto una breve relazione con lei e poi l’ha scaricata. Ufficiale di collegamento… drôle, eh? Aveva avuto un breve legame con lei, capisce?» L’astronauta aveva gli occhi pieni di lacrime. Tuttavia non piangeva: sorrideva minacciosamente. «La mia fidanzata si è buttata dalla Torre Eiffel. Vuole sapere perché non l’ho rimpiazzata? La risposta è ovvia, direi. Nessuna potrà mai sostituirla. Ah, ecco qui i mei amici.»
Brioche indicò un taxi che si stava fermando davanti al motel. A bordo c’erano Vetch e Vovov. Brioche calzò i guanti bianchi.
«Ma lei non capisce!» esclamò Beele appassionatamente. «Noi nazioni libere dobbiamo collaborare nello spazio, non farci concorrenza! Dobbiamo unirci per battere la Russia totalitarista.»
«Direi che lo spazio è abbastanza grande per contenere tre grandi nazioni,» mormorò il francese, con un blando saluto militare.
«Cosa ne direbbe di duecentocinquantamila dirham, Brioche?» chiese Suggs, disperatamente.
«Non mi offendo solo perché so come stanno sempre le cose, per voi americani. Cercate sempre di comprare l’onore degli altri. E lo fate, naturalmente, perché voi non ne avete. Bonsoir, messieurs.»
Si allontanò con un gesto noncurante, lasciando aperta la porta della sua stanza. «Non è ancora finita!» gli urlò dietro Suggs. I due agenti russi avevano sorrisi che arrivavano da un orecchio all’altro, quando il loro taxi prese a bordo il terzo passeggero.
«Ci vediamo, Suggs,» esclamò Vovov, facendo un gesto osceno.
Vetch, un ometto dalla barba da erudito e i modi pensosi, se ne stava zitto, lasciando che fosse Vovov a parlare. Vovov riusciva a parlare sempre, allegro e persuasivo, anche quando, come adesso, aveva la bocca piena di toast e caviale. Parlava in inglese, su richiesta di Brioche.
«Caviale e champagne!» gorgogliò Vovov. «Caviale e champagne! L’uno proveniente dalle gelide viscere dello storione del Baltico, l’altro dalle pallide, temperate, ombrose colline della Francia. Si accordano perfettamente, come si accordano Francia e Russia. Ognuno è di per sé perfetto, ma la combinazione è…» Poiché non trovò le parole adeguate, afferrò un altro toast caldo e lo spalmò di caviale.
«Gli americani,» disse, riempiendosi la bocca e soffocandosi un po’. «Gli americaniff sono porciff! Porciff!»
«Eh?» L’astronauta in realtà non gli prestava attenzione, e lasciava sgassare il suo champagne. Ne aveva già bevuto troppo e, come sempre, lo faceva precipitare tra i pensieri malinconici dell’unica persona con la quale avrebbe voluto bere champagne.
«Ffsuini! Sono tutti… mi scusi… suini!» disse Vovov.
«Suini? Sì, esattamente.» Brioche pensò all’uomo che aveva tolto la vita alla sua amata… il suino che si chiamava generale Grawk.