«NESSUN’ALTRA PALESTRA PUÒ FARVI UNA SIMILE OFFERTA!» Harry lesse l’insegna alla luce della lampada tascabile. «Mangiate quanto volete e dimagrite egualmente!» Il cartellone raffigurava degli uomini in varie posizioni di tortura raffinata: con le braccia tirate da pulegge in posa da crocifissi; frustati dalia cinghia ad anello di un vibratore; piegati in due come feti sotto una piattaforma carica di pesi schiaccianti; e distesi come Prometeo, con il fegato rivolto al cielo, e i manubri stretti nelle mani protese e sofferenti.
Harry lesse il cartellone una seconda volta. Poiché aveva appena finito di salire cinque piani di scale trascinando qualcosa, aveva bisogno di riprendere fiato.
«O Magica Sonda!» intonò il Professore. Ne era incantato, e fingeva di incantarla a sua volta; stava in posa, levando il bastone come una bacchetta magica sopra il televisore. Il razzo arretrò lentamente verso terra e inghiottì e spense le sue fiamme come un mangiatore di fuoco da luna-park.
«O Levitazione!» mormorò. «O Tenebrosa Opera di Monsieur Mesmer!» Come rabdomante, protese la bacchetta magica verso il lavello nell’angolo. Come aleumomante, sparse della limatura di ferro su un magnete.
«L’immagine dell’assassino,» ammonì, «apparirà sulla retina della vittima!»
Ma ora, magicamente, l’immagine sullo schermo si trasformò. Un uomo sorrise, poi versò della birra in un bicchiere, fino a coronarlo di spuma. In un’altra parte del negozio, si stava svegliando un juke-box.
Harry si mise la lampada tascabile sotto al mento per tenerla ferma e l’accese. Daisy lanciò un urlo, e lui rise.
«Sono soltanto io.»
«Dovrebbero chiuderti in gabbia,» gracidò lei.
«Se ritira quello che ha detto,» fece lui, «le confiderò un segreto. È morto qualcuno, e io so chi è.»
«Morto? Chi?»
«Cal. Poveraccio, ha avuto un incidente.» Harry fece un esperimento: coprì la lampada tascabile con le dita, per vedere le ossa in trasparenza. «Una brutta caduta.»
All’improvviso, Brian non fu più solo. I jukebox erano con lui, e suonavano 200 DELLE VOSTRE SELEZIONI PREFERITE. La loro musica lo trascinò in un passato di minuetti e di valzer, di marce patriottiche, mentre gli slittavano davanti in lente giravolte, riempiendo la sala di luci e di suoni.
Chiazze di azzurro cobalto, di fragola, di verde pallido, di ocra turbinavano sulle pareti e sul soffitto. Su uno dei jukebox un pannello ondeggiava celeste, sbiadiva in un lilla orchidea, poi ammiccava rosso scarlatto. Il cromo e l’alluminio e il vetro assumevano le ricche tinte — corallo, turchese, rubino, cedro — e le moltiplicavano fino a che tutta la sala squillava di colori. Brian si sentiva la faccia trasformata in un mosaico di rosa, propora, ambra, sentiva i ritmi della luce palpabile che arpeggiavano sui suoi occhi, mentre le chitarre, gli zufoli e gli ottoni sonanti arpeggiavano sui suoi timpani. Con le labbra beate e multicolori formava le parole cretine delle canzoni, sommerse da quel tumulto. Era meraviglioso, e lui faceva parte di quel prodigio: prese posto nel corteggio mentre i jukebox sfilavano verso la porta. Isole di carminio e d’indaco volavano sul soffitto e sulle pareti davanti a lui, sfrecciando e contraendosi e convergendo verso l’uscita. Lui sentiva che avrebbe seguito la parata dei jukebox praticamente dovunque, via e via fino a quando lui stesso non sarebbe divenuto altro che un suono per la strada.
La luce rossa filtrò attraverso le dita di Harry e scintillò su qualcosa che stava nella polvere.
«Cal è morto! Oh, che peccato,» fece Daisy. «Mi era abbastanza simpatico.»
Harry sorrise nell’oscurità. «Oh, Cal è sempre stato abbastanza simpatico alle donne,» disse. «Ehi, ma dove va?»
«Guarda, sta succedendo qualcosa in quel cinema drive-in,» si voltò a gridare lei. «Forse gli altri sono lì.»
«Mi aspetti,» disse Harry, inginocchiandosi per raccogliere la moneta.
Lentamente un divano-letto si aggobbì, ripiegandosi a organetto come un bruco per misurare il suo progresso lento, ma straordinariamente morbido.
Visitate Parigi! esortava un manifesto sul camion pieno di scarpe rotte. Il manifesto mostrava la torre Eiffel, un venditore di palloncini, un chiosco. Cal, disteso sul letto di scarpe rotte, ebbe tutto il tempo di pensarci sopra. La caduta lo aveva lasciato senza fiato.
U-H — pV (è immagazzinato nel cimitero).
Dal ventre di ROBO il robot uscirono suoni da ventriloquo. Fabbricato con i pezzi di un meccano, faceva lampeggiare le lampadine che fungevano da occhi, agitava le braccia rigide e manifestava in modi simili la propria cordialità. Era ritto nella vetrina buia di un negozio di giocattoli, con i cristalli infranti.
«Ciao, Terrestri,» tuonò rivolto a Daisy. Nel passare, lei sbirciò nell’interno, dove un secondo ROBO si alzava in quel momento, barcollando. Questo aveva solo un braccio, e la testa era formata da un barattolo di latta che portava ancora l’etichetta Pere Harmony.
Daisy e Harry passarono oltre, in fretta. I ROBO non dissero loro addio
«Ci tengono prigionieri a Las Vegas,» batté Cal sulla telescrivente, poi spostò la levetta da TRASMISSIONE a RICEZIONE. La telescrivente tacque per un lungo attimo, riflettendo, sferragliando. Poi rispose: «Ci tengono prigionieri # (%$H) (?e) U¼½pa wE a 77 bEin XXXaX a K ½||* ozzz %3/4%#½ s" aa é$§£ ||EHWKY ffl3/4ffi¼ffl wyG è ↔ ¼W$s"
Sul grande schermo venivano proiettate delle radiografie. Brian Gallopini attendeva, sbadigliando, che incominciasse il film.
Nella forneria, Jack trovò il pane fresco ammucchiato sul piano di carico. Il forno cuoceva il pane automaticamente, ma nessun camion veniva a portarlo via.
Jack aveva avuto fame da un po’, senza rendersene conto. Quella, si disse, era psicologia di massa. Subconscio in azione. Quello che tu hai sempre dentro, veramente (in quel momento, però, era a stomaco vuoto) ma non lo sai. Un pannello segreto si spalanca e viene rivelato l’assassino. Oppure è come una radiografia.
Urlando e agitando le braccia, Cal corse verso le figure d’ombra. Quelle non si voltarono a guardarlo, e lui rallentò il passo.
Passarono sotto un fioco lampione azzurrato: un esercito di pseudouomini in marcia. Molti indossavano bretelle e cinti erniari complicatissimi, che luccicavano e si flettevano nella semioscurità.
Cal vide una cabina telefonica dall’altra parte della strada. Guizzando e schivando, attraversò impacciato la colonna, vi entrò e sollevò il ricevitore. Il telefono era muto. Afonia. Neppure un suono, tranne…
Luccicando e cigolando, l’esercito continuò a zoppicare, ad allontanarsi nel buio.
L’orologio zodiacale sullo schermo segnalava il TEMPO CHE MANCA ALL’INIZIO DEL FILM. Ad ogni minuto che passava, un dodicesimo del quadrante dell’orologio scompariva. Il Professore, che non aveva mai visto un film in vita sua, osservava attento, ma non riusciva a capire che cosa accadeva a tutti i settori che svanivano.
Mentre l’automobile sbandava, rallentava, scendeva sballonzolando sui rulli d’acciaio di una stazione di lavaggio, il Sistema Riproduttivo aveva scoperto una macchina per fare il ghiaccio nella cucina del Silver Horseshoe Casino. Mentre l’automobile veniva fatta a pezzi e lanciata in varie direzioni, il Sistema Riproduttivo scoprì nelle custodie polverose dello studio televisivo un buon numero di vecchi film dell’orrore. Mentre Brian socchiudeva gli occhi davanti ai soli artificiali nel Reparto Animali del grande magazzino, il Sistema Riproduttivo scoprì un «motore» di vetro, esposto per pubblicità in un autosalone, e si accinse a farlo funzionare.