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«Oh, no!» gli assicurò lei, prendendogli la mano. «Lei non mi fa per nulla paura, dottor Smilax.»

«Grazie, mia cara. Questo è il primo contatto ricco di calore umano che mi sia capitato in tanti anni. Anch’io sono umano… Dio, perché non lo capiscono? Posso sembrare sovrumano… posso sembrare un Dio in sala operatoria, perché debbo esserlo, e tuttavia ho…»

«Un cuore d’argilla?» chiese Susie seria seria, e per poco non svenne su quella metafora. Soffocando una risata diabolica che gli stava salendo alle labbra, il dottore annuì.

«Un buon modo per esprimerlo, mia cara. L’altro giorno ho eseguito un intervento chirurgico a cuore aperto su di una bambina. Quando ha ripreso i sensi, mi ha ringraziato, dicendomi: ‘Sono contenta che lei mi abbia guarito così bene il cuore, dottore. Ma perché non può guarire anche il suo?’ Sì, quella bambina ha visto dentro di me, come in una radiografia. Le dispiace, a proposito…» Mentre parlava, Smilax condusse Susie nella stanza accanto e la spinse sul tavolo delle radiografie. «Sì, infatti, quella bambina…» Infilò una lastra nel cassetto sotto la ragazza e mise in posizione la testa della macchina. «Quella bambina innocente mi ha detto… Respiri profondamente, adesso. Trattenga il fiato! Benissimo… Mi ha detto ‘Medico, cura te stesso!’ Ah, vorrei poter accogliere quell’ottimo consiglio. Ma le cicatrici sono troppo profonde nel mio… cuore d’argilla!» E di nuovo represse una sghignazzata che gli riempì gli occhi di lacrime.

«È stato per una donna, dottore?» chiese Susie, mentre lui la riconduceva nell’altra stanza. Senza rispondere, il dottore le palpò per un attimo i reni tondi e sodi.

«Non ‘una donna’,» corresse. «Diciamo la Donna! L’incarnazione della femminilità! La più dolce, la più perfetta, la più simmet… più simpatica creatura del mondo! Ed era mia! Ah, molto meglio se non l’avessi mai conosciuta, piuttosto di vedermela rapire dalle forze tenebrose della Morte!»

Gli occhi di Susie si riempirono di lacrime di commozione. «La Morte?» bisbigliò.

«Sì, ella morì. Per ironia, ad opera di un uomo conosciuto come ‘un grande chirurgo’. Oh, quanto fui folle a credere in lui! Sebbene a quel tempo io fossi soltanto uno studente di medicina, anch’io sarei stato capace di compiere l’operazione meglio di lui. ‘Grande chirurgo’… No! Grande macellaio!

«Ah, è tutto finito, finito!» aggiunse, tastandole freneticamente i reni. «Da allora, non sono stato altro che questo… un aggiustatore dei macchinari del governo.» Girò il capo e fissò lo sguardo sulla punta ben lucidata di una sua scarpa.

«Oh, come vorrei aiutarla,» disse lei, facendosi più vicina e prendendogli le mani.

Smilax strinse le mani di lei. «Lo so,» disse. «E gliene sono grato, ma per me è troppo tardi. Troppo tardi. Sono abbastanza vecchio per essere, che so, suo padre. Abbastanza vecchio… per essere un saggio, e tuttavia sono uno sciocco.» Il suo sorriso era carico di sofferenza.

«Oh, non è poi tanto vecchio. Ci sono tanti uomini più vecchi di lei,» fece Susie, accalorandosi. «Senta, lo so che non potrò mai prendere il posto della sua amata nel suo cuore… il cuore d’argilla… sarebbe impossibile, per amor del cielo… Ma vorrei aiutarla, come posso. La prego, mi dica se posso fare qualcosa… qualunque cosa.»

«Bene. Glielo dirò, ma so già che non vorrà accettare.»

«Provi,» disse Susie, coraggiosamente.

«Benissimo. La donna che amavo era… mi dica, ha mai subito un intervento chirurgico, prima d’ora?»

«Cielo, no! Ma se si tratta di passarle i ferri e di asciugarle la fronte e di darle un sostegno morale, posso imparare. Mi impegnerei, davvero.»

«Ecco, no, io stavo pensando… Susie, era di averla come… posso dirlo?… come paziente.»

«Vuol dire…?»

«Sì, lo so che le chiedo molto. Ma ardo dal desiderio di conoscere tutto di lei, i reni, il fiele, la milza, sì, ogni segreto del suo cuore. Cosa mi risponde, amore mio?»

Per tutta risposta, Susie cadde priva di sensi sul lettino, in perfetta simmetria.

Aurora si sentiva ipnotizzata. In quelle ultime quindici ore non aveva quasi visto altro che le strisce bianche tratteggiate della mezzeria sull’interminabile striscia d’asfalto nero. Un paio di volte s’era fermata a dormicchiare, ma poi qualcosa, un senso d’emergenza interiore, continuava a svegliarla, la spingeva a proseguire.

Ora, quando il riflesso del sole mattutino sul cofano gli batté in faccia, Grawk si svegliò. Gli occhi cisposi nella faccia rossa e porosa guardarono Aurora con una certa ostilità. Grattandosi la barba ispida, Grawk sbadigliò più ampiamente di un diagramma odontologico, mettendo in mostra tutti i tozzi denti gialli, poi li serrò su di un sigaro nuovo.

«Dovremmo quasi esserci, eh, pupa? Non può far correre un po’ di più questo vecchio macinino?»

«Avrebbe potuto darmi il cambio al volante,» ribatté Aurora. «Avremmo fatto prima.»

«Oh, ma lei se la cava benissimo,» disse Grawk allegramente, grattandosi le cispe gialle dagli occhi con il dorso d’una mano pelosa. «ma veda se le riesce di correre un po’ di più.»

Aurora si complimentò con se stessa perché non aveva perso la calma. Riuscì a non parlargli (poiché parlare con Grawk voleva inevitabilmente dire scambiarsi insulti) fino a quando arrivarono al cancello esterno del NORAD. Il posto di guardia sembrava deserto.

«Crede che sia prudente?» chiese allora, rallentando. «Se le sentinelle hanno abbandonato il loro posto, ci sarà pure una ragione.»

«Lei continui a guidare,» borbottò Grawk, calcandosi il berretto sulle orecchie. «A pensare provvedo io. Dobbiamo superare ancora due posti di blocco prima di arrivare agli ascensori.»

«Conosce così bene questo posto?»

«Come conosco le donne.» Lui la guardò maliziosamente attraverso la nuvola grigia di fumo del sigaro.

Anche il secondo cancello era abbandonato, e l’ansia di Aurora aumentò. Sembrava che una catastrofe impensabile avesse spazzato via tutto il personale. Grawk, comunque, era imperturbabile, e nonostante tutti i suoi difetti era uno stratega. Senza dubbio, era in grado di valutare meglio di lei quella situazione tipicamente militare. Ma era davvero così?

Il terzo posto di blocco era all’ingresso di un tunnel rivestito d’acciaio. Due porte di ferro si chiusero dietro la macchina non appena fu entrata, e un’altra si chiuse un poco più avanti. Occhi ed orecchi elettronici puntarono sull’automobile, e Grawk, con un gesto divertito, indicò le canne delle mitragliatrici di grosso calibro che spuntavano dalle pareti laterali. «Nel caso che abbiamo in mente di combinare pasticci.»

Un altoparlante crepitò, poi parlò la voce di una centralinista telefonica. «Spegnete il motore e scendete dal veicolo, prego,» disse. «Mettetevi sulla piattaforma rossa.»

Obbedirono. Grawk sembrava rallegrarsi di quell’attenzione, sia pure da parte di un meccanismo di sicurezza. Aurora mosse con cautela le membra irrigidite. La piattaforma rossa su cui erano saliti restò immobile, mentre la sezione gialla e nera su cui stava la macchina veniva abbassata da macchinari rombanti e spariva. Poco dopo la sezione risalì, vuota.

«Prego, nomi e cognomi e motivo della vostra presenza al NORAD,» invitò la voce della centralinista. Non era una voce normale, ma quella calda e accattivante che induce a comprare telefoni supplementari colorati.

«Sono il generale Grawk delle Forze Aeree degli Stati Uniti, Jupiter Grawk, e ho un affare importante da sbrigare con Washington, quindi voglio andare nel mio ufficio, subito.»

«Sono la dottoressa Aurora Candlewood, consulente psicologico del Progetto 32. Sono qui per motivi riservati.»

La macchina ronzò e crepitò per un minuto. «Dolente, signore, ma nei nostri schedari non c’è nessun generale delle Forze Aeree che si chiami Jupiter Grawk. Lei è un dipendente del NORAD?»