La faccia vizza del Professore si concentrò sull’idea, la rimuginò, poi si aprì in un sogghigno. «Eccellente nozione, ragazzo mio. Eccellente. Ancor una volta noi miriamo l’ingegnosità dell’umano cervello, così simile ad un’abile macchina…»
«Calma,» disse Harry, fissando un camion che passava davanti a loro. «Come possiamo convincerli a fermarsi apposta per noi? E chi se la sente di viaggiare su un camion che ha per conducente una cassetta per lustrascarpe o una radio a transistor?»
La fronte del Professore si rannuvolò.
«Sì, non sarà pericoloso viaggiare in quel modo?» chiese Daisy.
Brian fissò Cal, accigliandosi, e disse: «Lei, signore, è un briccone insolente!» In preda alla collera, il vecchietto rinsecchito si avvicinò a Cal e gli fece schioccare le dita in faccia.
«Non capisco perché dovrebbe essere così pericoloso,» disse tranquillo Cal. «Finché non cerchiamo di farli a pezzi o di interferire con le loro mansioni normali. Certo, dovremo essere prudenti.
«In quanto al modo di fermarli, ho un’idea. Avrete notato che i veicoli provenienti dalla città hanno rivelatori di mine legati ai paraurti anteriori. Questo significa che stanno cercando metalli. Sono convinto che se raduniamo in un mucchio tutto il metallo che possiamo trovare e lo mettiamo al centro della strada, qualche veicolo si fermerà per indagare.»
«Ahah!» esclamò Brian, recuperando il buonumore. «Riconosco che propiziar dobbiamo gli Dei con ninnoli preziosi. Poiché probabilmente non avrò giammai altro Bergamot, può aggiunger anche questo al sacrifizio.» E gettò a terra la tabacchiera vuota.
«Ehi, ma è argento puro!» disse Harry, affrettandosi a raccoglierla e a lustrarla sulla manica.
«Eppurtuttavia mi è inutile, priva del contenuto,» mormorò il Professore, sbirciando al di sopra degli occhiali dalla montatura quadrata. «Quella ed altro, donerei senza rimpianto per un pizzico di tabacco anche inferiore. Ah, bene, almeno or abbiamo un piano. L’umano cervello è in verità una macchina prodigiosa.»
«L’anima umana, vorrai dire,» fece Daisy. «L’ispirazione ha origine nell’anima.»
«Perché dici questo?» Dividendo le code della giacca, Brian volse le spalle al sole.
Cal, Harry e Jack rovistarono la zona raccogliendo oggetti metallici, e misero insieme un mucchio di rottami, compresi coprimozzo, lattine di birra, apribottiglie, monete, i tiranti di metallo che un tempo tenevano ritto lo schermo gigantesco, forcine per capelli, la maniglia d’una portiera d’automobile, lattine d’olio, un coltello rotto, carta stagnola, eccetera, che depositarono in mezzo alla strada. Brian e Daisy abbandonarono la discussione sulla teoria di Cartesio, secondo la quale anima e corpo sono congiunti nella ghiandola pineale, e andarono nel fosso insieme agli altri, ad attendere.
Cal era troppo preoccupato per partecipare alla vivace mezz’ora di dibattito che seguì. I suoi pensieri erano tutti rivolti all’immediato futuro, al cui riguardo formulava domande che non trovavano risposte.
Andare a Millford o non andare a Millford? Vero, erano diretti in ogni caso da quella parte. Vero, c’era forse una possibilità che il flusso dei macchinari si fosse arrestato alla fonte originaria. Era addirittura possibile che al laboratorio ci fosse bisogno del suo aiuto. Ma d’altra parte, se Grawk comandava ancora, laggiù, poteva farlo arrestare; era difficile dimenticare la minaccia lanciata dal generale al momento del commiato. Tuttavia, se là aveva preso il sopravvento il Sistema, come era accaduto a Las Vegas, Cal poteva esporre se stesso e i suoi compagni a un pericolo considerevole, e senza risultati.
Che cosa poteva fare a Millford, se anche ci fosse arrivato? I «cani» che si combattevano gli avevano dato una vaga idea per costringere il Sistema a fermarsi. Ricordava il fumetto classico di Giasone, in cui l’avventuriero scatenava uno contro l’altro i guerrieri nati dai denti del drago, fino a quando si annientavano tra di loro. Ma sembrava che per il momento non ci fosse ancora un modo per trasformare in termini pratici quell’idea romantica.
Continuare a guidare quella spedizione o no? Era un gran pasticcio, pensava Cal, e lui era il più inetto dei leader: non sapeva nulla delle tecniche di sopravvivenza, era incapace di ispirare fiducia (aveva notato che Harry non aveva fatto altro che guardarlo male per tutto il giorno; sembrava che il suo ex compagno di scuola lo detestasse senza una ragione al mondo); non aveva imponenza fisica, non era troppo forte, ed era indeciso. Sembrava incredibile che toccasse a lui dare gli ordini o pianificare la prossima mossa, in quel gruppo di individui dalla volontà fortissima. Vero, se non ci fosse stato lui, Brian e Daisy sarebbero stati felicissimi di starsene lì seduti a discutere Cartesio, fino a quando le loro anime abbandonassero le rispettive ghiandole pineali a causa della denutrizione. Cal sapeva di essere sempre meglio di una totale assenza di un capo, ma sapeva di essere peggiore di qualunque altro capo immaginabile. Quello era un compito duro, un lavoro per un uomo d’azione. Harry, secondo lui, sarebbe stato l’ideale.
Harry fissava Cal a occhi socchiusi, senza neppure cercare di nascondere il disprezzo che provava per quell’idiota. Non riusciva a comprendere come fosse sopravvissuto a una caduta dal quinto piano. Un individuo così meschino da sopravvivere al proprio omicidio non meritava di vivere! Cal sapeva del tentato omicidio? si chiedeva Harry, oppure quel fesso credeva ancora che loro due fossero sempre due buoni compagni di scuola? A Harry non piaceva il modo in cui quel tipo, con il suo camice da laboratorio lacero e sudicio, riusciva a darsi tanta importanza. Il classico tipo dello scienziato subdolo. Harry era felice di avere su di lui il vantaggio di venti chili di peso, di una pistola, di un coltello e dell’abilità di attaccare alla sprovvista. Sarebbe stato ancora più felice di… ma non adesso.
Non di fronte a testimoni. Divertiti, pensò, lanciando occhiatacce alla faccia sparuta e ispida di Cal. Verrà il mio giorno. Eppure, in fondo alla mente di Harry, nasceva l’orribile sospetto che quel giorno fosse già venuto e se ne fosse andato.
Dalla direzione della città comparve un puntolino lontano, crebbe fino a diventare un miraggio, fremendo nelle onde di calore, finalmente decise di collegarsi al suolo per mezzo delle ruote, acquistò una maggiore impressione di consistenza, diventò reale e si avvicinò. Era un camioncino, che rallentò per fiutare la loro offerta e poi si fermò a pascolare. Al segnale di Cal, tutti uscirono dal fossato che costeggiava la strada e si ammucchiarono a bordo… in mezzo a un carico meraviglioso.
Era il camioncino d’una latteria e, sebbene molti prodotti stessero inacidendo, c’erano yogurt fresco, panna per burro e ricotta in abbondanza. Dopo aver pranzato, i cinque ripresero la discussione sulla coincidenza, che avevano interrotto molto tempo prima.
La discussione incominciò quando il loquace Professore, beatamente sazio di panna e ricotta, dichiarò che giammai, nella sua vita, aveva fatto un miglior pasto, sia come dilettazione, sia come genuinità. Qual pasto poteva darsi, chiese, migliore che il latte? I bimbi, che d’esso esclusivamente si nutrono, non soffron la gotta, né i calcoli biliari, né le afflizioni epatiche, né l’apoplessia. La dieta, e la dieta soltanto, spiega la differenza tra un fanciullino sano e ridente e un vecchio inacidito. Qual provvidenza (esclamò) che il camioncino fosse carico di tal cibo perfetto!
Daisy, allora, affermò che lei non esitava ad attribuire tale fortuna a una Potenza Superiore. Infatti, sebbene sbandati e privi di risorse, ora erano ben nutriti, riparati, e viaggiavano nella miglior compagnia.
«Privi di risorsa!» gridò Brian. «Così direi! Dannata sia Las Vegas!» gridò appassionatamente. «Spero di non dover mai più vedere Las Vegas, né più udirne il nome!»
Si chiuse in un silenzio imbronciato, mentre passavano davanti a distributori di benzina e a pascoli in cui miriadi di dischi parabolici, come girasoli, si volgevano verso il sole. Erano entrati in una gola sparsa di boschetti quando all’improvviso il camioncino del latte cominciò a zoppicare su tre ruote.