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D’altra parte, Beele aveva tutte le ragioni per morire. Il suo declino fisico e mentale, il suo incarico senza speranze e senza ricompense, la sua sfortuna incredibile. Meno di una settimana prima, lui era un giovane direttore di giornale, robusto, senza paura, pronto a tutto. Adesso si stava aggirando subdolamente nella speranza di poter corrompere un uomo onesto.

Il suo declino fisico era evidente. Beele si sentiva andare a pezzi come un impermeabile da poco prezzo. Le dita del piede destro erano tormentate dai calli, mentre sulla pianta gli era cresciuta una vescica enorme. Un prurito ardente tra le dita del piede sinistro annunciava l’arrivo di un fungo. La bolla sulla nuca, causata dall’elastico della visiera, adesso era in una certa misura equilibrata da un foruncolo sul mento, che lui aveva decapitato nel farsi la barba. Uno degli orecchi schioccava e ronzava, a causa del raffreddore che adesso, in pieno sviluppo, continuava a versargli fluidi scottanti giù per la gola. Suggs l’aveva avvertito di far bollire l’acqua e di mangiare solo cibi in scatola «Made in USA», per non cadere in preda alla dissenteria. Come risultato, si era fatto un taglio profondo nell’aprire un barattolo, e adesso aveva la mano sinistra gonfia e infiammata. E aveva la dissenteria.

Beele pensava che la febbre gli desse le allucinazioni. Ieri aveva visto Mary tra la folla; mentre percorreva il Boulevard St. Germain des Prés, aveva incontrato una piccola scatola grigia identica a quelle di Altoona. Qual era la causa? La mancanza di sonno? I sudori notturni? L’esaurimento nervoso? Sembrava che l’intero universo si schierasse contro Barthemo Beele, deciso a schiacciarlo nella polvere.

Ma lui non aveva ancora rinunciato a ogni speranza, si disse. Non era salito fin lassù per uccidersi: no, finché aveva una missione da condurre a termine. Aveva seguito Marcel Brioche lassù, sperando di avere una possibilità di parlargli da solo.

Fino a quel momento, aveva sperato invano. Brioche pranzava abitualmente insieme a quattro o cinquecento persone, alle quali teneva discorsi. Ogni giorno trascorreva molte ore in pubblico, tenendo conferenze e presenziando a cerimonie civiche e a funzioni caritatevoli. Ogni mattina era in riunione con il regista che stava preparando un film sulla sua vita. Un famoso sarto gli aveva preso le misure per una nuova tuta spaziale, che adesso Brioche portava sempre. Parlava alla TV davanti a tavole rotonde di giornalisti, oppure prendeva parte ad altre tavole rotonde di celebrità, impegnate a identificare famose annate di vini. Aveva trascorso un pomeriggio a fare autografi sui modellini di Le Bateau Ivre in un magasin, e un altro a fare pubblicità a un’enciclopedia scientifica per bambini. Quando non aveva altro da fare, l’astronauta si dedicava al suo passatempo preferito: giocava a bowling con gli amici. Quando andava da un appuntamento all’altro, i poliziotti motociclisti scortavano il suo tassi, oppure un’orda urlante di giornalisti lo circondava. Guardie armate di mitra proteggevano di notte il riposo di Brioche dagli ammiratori fanatici… e da Beele.

Era una missione disperata, eppure in qualche modo aveva aiutato Beele a tirare avanti. Lui aveva fatto il cameriere di Brioche, il valletto televisivo, il giornalista. Aveva perquisito giacche, controllato distintivi, aveva persino comprato un’enciclopedia scientifica per bambini. Adesso l’aveva seguito fino in cima alla Torre Eiffel. La guardia non si vedeva, e gli ultimi visitatori, delusi dal cielo coperto, se ne stavano andando.

Marcel Brioche si appoggiò di nuovo alla ringhiera e guardò Parigi. Per gli altri, quello poteva essere un panorama meraviglioso, ma per Brioche era solo un posto adatto per buttarsi. Aveva preso in esame tutti gli argomenti a favore della vita: nel suo caso, pareva che nessuno fosse valido. La vita senza di lei non valeva la pena di essere vissuta. Se il suo paese non avesse avuto tanto bisogno di lui, adesso, se non fosse stato un gesto troppo egoistico, lui avrebbe afferrato a due mani la ringhiera e…

«Mi scusi, forse non si ricorda di me,» disse una voce in inglese. Brioche si voltò e vide un uomo giovane, alto e magro, con la visiera verde e l’impermeabile. Un tesserino stampa era infilata nell’elastico della visiera.

«Mi dispiace,» disse l’astronauta. «Non mi sento di rilasciare dichiarazioni in questo momento… forse più tardi…»

«Non si ricorda di me? A Marrakech? Io sono Beele, della CIA,» ringhiò Beele, rauco.

I modi di Brioche divennero gelidi. «Temo di non avere niente da dirle, mai,» fece. «Immagino che sia stato lei a darmi quella botta in testa, in quel vicolo.»

«No, è stato lei a dare la botta in testa a me.»

«E adesso si vuole vendicare?»

«No, sono autorizzato dal mio governo a offrirle un emolumento sostanzioso, a una piccola condizione.»

«Vuole corrompermi, eh?» L’astronauta sogghignò. «Sapevo che si sarebbe arrivati a questo. Mi accorgo che il suo governo non ha ancora rinunciato a cercare di comprare l’onore… che evidentemente continua a mancargli. Tuttavia non sono così povero da dover vendere il mio paese.»

«Non le chiedo di vendere il suo paese. La smetta solo di fare discorsi pieni d’accuse contro gli Stati Uniti. Si tratta solo di attenuare le tensioni internazionali…»

Brioche accese una sigaretta. «Attenuare la pressione che invece andrebbe accresciuta, invece. Mi dica, se la sente di guardarmi negli occhi e di assicurarmi che non c’è un agente americano a bordo della nostra astronave, eh?»

Evitando lo sguardo di Brioche, Beele disse: «Sono pronto a offrirle un milione di franchi. Ci pensi. Un milione! Guardi questa città splendente, e pensi quante belle cose potrebbe fare con un milione.»

«Io vivo bene quanto i milionari, adesso, e ho la coscienza tranquilla,» disse il francese. «C’è una cosa cosa che vorrei… riportare in vita qualcuno che è morto… e questo non è possibile, neppure con un milione di mondi di danaro.»

«Vuol dire la ragazza di cui mi aveva parlato? Ascolti, mi dispiace molto. Ma le dirò io che cosa fare. Le piacerebbe conoscere una ragazza nuova… come questa, per esempio?» Barthemo Beele prese il portafoglio e ne estrasse un’istantanea muffita di Mary Junes Beele. «Niente male, eh?»

L’astronauta cercò di respingere la foto, ma i suoi occhi vi indugiarono per un secondo di troppo. «Sì,» ammise. «Mi piacerebbe conoscerla.»

«Niente di più facile. Uh, ultimamente non siamo stati molto in contatto, ma il mio governo potrà rintracciargliela in un paio di giorni. Dunque…»

«Intendevo dire che mi piacerebbe conoscerla in qualunque altra circostanza, ma non in questa. Quello è il primo viso da me veduto che potrebbe aiutarmi a dimenticare il viso dell’altra.

«Ma purtroppo lei sta cercando di vendermi questa donna. E non solo io non potrei mai accettare favori da lei e dal suo governo, ma mi rattrista e mi turba il pensiero di ciò che sta facendo a quella poverina. So che una ragazza con un volto simile non permetterebbe mai di venire usata in modo tanto insidioso. È solo a fatica che mi trattengo dal trattare la sua immonda proposta con il disprezzo meritato.»

«Senta, mi scusi. Non avevo capito… sono stato un po’ rozzo, vero? Spero che non mi serberà rancore. Non volevo offenderla…»

L’astronauta gli voltò le spalle e guardò il cielo coperto. «Non ha capito,» disse, «ciò che la mia amata significava per me. Se non fosse per un senso del dovere, mi ucciderei.»

«Perché no?» disse Beele, cambiando prontamente marcia. «Perché non si butta giù? Perché continua a vivere? Per una carriera politica? Per qualche onore, per un film sulla sua vita? Che importanza hanno?»