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«No!» La voce dell’astronauta tremava.

«Ma che splendido gesto romantico! Al culmine della gloria, mentre ogni donna della Repubblica è pronta a gettarsi ai suoi piedi, lei si uccide per un dispiacere d’amore! Basta che si afferri con tutte e due le mani alla ringhiera e si butti…»

«No! Il mio paese ha bisogno di me! I miei compatrioti…»

«Davvero? Per loro non è un eroe, sia morto che vivo? Forse non sarebbe ancora più utile da morto?»

«No! Respingo tutte e tre le sue offerte ripugnanti! Sparisca! Addio!»

Beele cominciò a trovarsi in preda a un furore improvviso. Che diritto aveva, quello, di dargli degli ordini? Non sapeva che Beele era capace di uccidere? Era stato inutile rinviare per tanto tempo il trattamento speciale.

«Addio, eh? Come sarebbe a dire, addio? Sta facendo marameo all’offerta più che generosa del governo degli Stati Uniti? Rifiuta addirittura di andare a letto con mia moglie? Pensavo che lei fosse una persona per bene, e l’ho persino detto a Suggs, ma adesso capisco che aveva ragione lui! Addio, dunque, sporco f-f-f-…» Per la prima volta in vita sua, Beele si sorprese a balbettare. Ritentò, ma la parola rifiutò di uscirgli dalle labbra. L’astronauta attendeva paziente, senza ridere, e proprio quella pazienza infuriò ancora di più Beele e aggravò la sua balbuzie. Finalmente Beele rinunciò a continuare e si scagliò contro la sua vittima, senza l’insulto finale.

L’ottimo manuale delle tecniche di combattimento della CIA era succinto ma completo, e Beele ne aveva imparato a memoria ogni parola. Assumendo la posa della figura rozzamente stampata a pagina 42, afferrò il braccio dell’Avversario e lo torse dalla posizione A alla posizione B. Poi sferrò un calcio con il piede sinistro (quello che bruciava), mentre ruotava sulla vescica del piede destro. Infilando il calcagno del piede sinistro sotto l’ascella dell’Avversario, come a pagina 43, scagliò Brioche nel vuoto.

«Guarda, la Torre Eiffel!» gridò Ron. «Ehi, Mac, proprio come in Zazie. Andiamo lassù in cima, cosa ne dici?»

Kevin Mackintosh fece schioccare le dita. «Sicuro, e poi andremo ancora più in alto.»

«Ma non dovrebbe essere lassù in cima, a impedire alla gente di buttarsi?» chiese Mary al guardiano.

Lui rise. «Non si butta mai nessuno dalla Torre Eiffel. E lassù, adesso, ci sono soltanto Marcel Brioche e un giornalista. Non avrebbero motivo di buttarsi, specialmente L’Astronauta.»

Mary masticò pensierosa la pasticca per la tosse. «Forse sì,» disse. «Diciamo, se avesse il cuore infranto. Oppure qualcuno potrebbe dargli una spinta.»

«Dicono che la sua tuta spaziale abbia il paracadute incorporato. Ma adesso, piccola mia, parliamo di altre cose. Ha mai visto un appartamento parigino da scapolo?»

«Dozzine,» disse Mary, sospirando per la stanchezza e la noia. «E sono tutti eguali. Come i loro inquilini.» Pensò agli uomini tutti eguali del suo passato: Harry (buon vecchio Harry Stropp, quando correva sul tetto! Come lo ricordava lei, non faceva altro che saltare la corda e sogghignare), Cal, Barty (con quella sua prosa logora e volutamente troppo brillante, che ricordava il Time dei primi tempi), il marinaio con le braccia tatuate, lo scrittore di libri tecnici (autore del carrello elevatore a forcone, come continuava a ripere a tutti), l’industriale che l’aveva portata a Parigi…

Erano penosamente eguali: persino quel guardiano. No, lei sapeva che solo un uomo avrebbe potuto contare per lei di più delle pastiglie per la tosse… l’uomo che adesso era lassù in cima alla torre: Marcel Brioche. Ieri lei era rimasta in piedi per tre ore sotto la pioggia ad ascoltarlo parlare, anche se non sapeva la sua lingua. Oggi aveva sentito dire che sarebbe salito sulla Torre Eiffel, e aveva cominciato a salire le scale, con una mezza intenzione di attaccare bottone. Ma per la prima volta in vita sua, Mary era stata vinta da una strana timidezza. E adesso, a metà strada, indugiava, parlando con un guardiano con il quale non sarebbe stato possibile parlare ragionevolmente ancora per molto.

«La mia stanza è proprio girato l’angolo…» disse il guardiano.

«Mi dica, cosa sono quelle scatolette grigie che corrono su per le travature?»

«Quelle? Immagino che siano le nuove macchine addette alla manutenzione. Vedo che hanno sostituito molte vecchie travi con altre nuove. Ma perché non parliamo un po’ di bustini? So che voi donne americane portate tutte il bustino. Mi dica…»

«Ma che cos’è quel grande tamburo di ferro, laggiù al centro?» chiese Mary. «Sambra una reticella per lampada a gas, cento volte più grosso. E tutti quei macchinari al centro? Non sapevo che nella torre Eiffel ci fossero tanti marchingegni.»

«Non lo so. E chi ci bada a questi dettagli tecnici, piccola mia? Parliamo piuttosto di…»

Dall’alto giunse un fievole grido.

«È caduto qualcuno!»

«Merde. E durante il mio turno. Sarà meglio che corra giù a tenere indietro la folla.»

Mary alzò gli occhi verso il corpo che precipitava verso di lei, un corpo fasciato da un’argentea tuta spaziale. Dunque si era buttato! Lei comprese tutto, in un lampo: si era buttato per amore! Una donna l’aveva spinto alla disperazione. Mentre lui le passava accanto, il bel volto pallido e rigido, Mary prese una decisione improvvisa.

«Aspettami!» gridò. E si buttò anche lei.

Lui aprì una cerniera lampo, e si aprì un grande paracadute tricolore. Mary fu tra le sue braccia.

«Tu!» esclamò lui. «La donna della foto! Ma tu conosci quel Barthemo Beele?»

«Sono sua moglie,» disse lei. «Temporaneamente. Cribbio! E tu come mai lo conosci?»

«È stato lui a spingermi! Questo è davvero il mio giorno fortunato,» disse lui. «Sfuggire miracolosamente alla morte e nel contempo incontrare la donna dei miei sogni… la donna che ho atteso per tutta la vita… e debbo tutto a tuo marito!»

Gli occhi gli si riempirono di lacrime di felicità. Mary trangugiò la pastiglia per la tosse e lo baciò.

Barthemo Beele guardò il puntolino che rimpiccioliva, con una certa soddisfazione da buon artista. Dopotutto, aveva impartito con successo il suo primo trattamento speciale. Era un po’ come superare un’iniziazione. Suggs sarebbe stato fiero di lui.

Una seconda figura minuscola saltò dalla torre e raggiunse la prima, e quasi nello stesso istante fiorì un paracadute colorato. Era possibile? Brioche era sfuggito al suo trattamento speciale?

«No! Non è giusto! Mi hai imbrogliato! Torna qui, truffatore di un mangiaranocchi! Torna indietro!»

La torre cominciò a tremare sotto di lui. Ci mancava solo quello. Sarebbe stato perfetto, se quella maledetta cosa fosse crollata con lui sopra. Era un’ingiustizia poetica.

Solo dopo un minuto o due si accorse che la Torre Eiffel non stava precipitando… tutto al contrario.

«Guarda la Torre Eiffel!» gridò Ron! «Come in Sette contro Marte, o Vennero dallo Spazio.»

«No! Ancora?» mormorò Kevin.

«Effetto della droga, uomo. Non vedo l’ora di arrivare a New York, e di provare con l’Empire State Building.»

Capitolo Ventunesimo

L’effetto Porteus

«Se voi foste regina del piacere Ed io fossi re del dolore.»
SWINBURNE

Il dottor Smilax entrò in sala rianimazione proprio mentre Susie si stava svegliando. «Come si sente?» le chiese. Mentre le auscultava il polso, evitò lo sguardo della ragazza.