Vedendo quel movimento, Brian si girò di scatto e sparò. Uno sbuffo d’intonaco si staccò dalla parete a una spanna dalla testa di Cal.
«Fermi, ho detto! Nulla si deve muovere, tranne l’orologio.» Alzò la testa per guardarlo e sorrise. «Regolato sul perfetto meccanismo del nostro universo… messo in moto una volta, per tutta l’Eternità!» Mormorò qualcosa d’incomprensibile, poi:
«Il tempo vola, sapete… sulle ali degli orologi… il tempo è danaro, pagate e tentate la sorte… gira e gira e gira la pallina, e dove si ferma… sì, il tempo deve fermarsi… il tempo e la sorte esistono per tutti…»
«O Dio! Gli ha ripreso il suo vecchio male!» disse Daisy, distogliendo la testa. «Giochi d’azzardo, orologi, quadrati magici… è stata la sua ossessione per anni, credevo che se fossi riuscita a portarlo via dall’università, dal pensiero del diciottesimo secolo che sembra un meccanismo a orologeria, lui sarebbe guarito. Ma credo che la delusione a Las Vegas e poi la morte di Harry, abbiano sconvolto il suo equilibrio mentale…»
Brian rise, aspramente. «Che ne sapete voi dell’equilibrio? Oppur della fuga? Oppur…»
«Brian, ascoltami! Sono Daisy! Non mi riconosci?»
Un rintocco assordante incominciò ad annunciare l’ora. Accanto a Brian si aprì un pannello. Lui esitò solo un secondo, poi si buttò dentro.
Daisy urlò. Poi, sebbene Cal tentasse di portarla via, corse sull’orlo dell’apertura e guardò dentro.
Ciò che accadde poi dovette essere una malignità da parte della macchina, perché la lancetta rossa dei secondi cominciò ad abbassarsi, mentre continuava a girare, puntando direttamente verso la testa di Daisy. Lei sembrava troppo inorridita da ciò che vedeva per accorgersene.
Precipitandosi verso di lei, Cal gridò: «Daisy, giù!»
«Perché mi ha chiamata?» Lei si girò per lanciargli un’occhiata sdegnosa, e la gigantesca lancetta dei secondi la colpì alla testa. Daisy precipitò oltre l’orlo, e scomparve.
Cal corse al pannello che si stava chiudendo e guardò giù. Non vide altro che miriadi di ingranaggi d’ogni genere, che giravano imperturbabili. Alcuni erano macchiati di rosso.
Elwood Trivian sonnecchiava e continuava a nuotare nel caffè, e sognava la sua locomotiva. Il Las Vegas Express continuava a trasformarsi in una macchina per l’espresso, e lui non riusciva a separare l’una dall’altra le due scatole che lanciavano sbuffi di vapore…
Quando si svegliò, due uomini lo stavano tirando fuori dal lago, issandolo sulla loro zattera fatta di tavolini da mensa. Un uomo era così grasso e l’altro così spaventosamente magro che sembravano quasi far parte del suo sogno. Solo l’odore del caffè gli ricordava che quella era l’orribile realtà.
«Ehi, Papà,» disse l’uomo grasso. «Ha l’aria affamata.» E cominciò a sfogliare le pagine d’una rivista. L’uomo magro non pareva badare ad altro che al suo compito immediato: agitare i piedi penzolanti da una estremità della zattera per farla avanzare sul caffè.
«Ecco qua, amico, magari mangi di buon appetito,» disse l’uomo grasso, strappando l’illustrazione d’un roast-beef e consegnandola a Elwood. «Ce n’è ancora tanto, dove l’abbiamo trovato.» Il macchinista restò seduto con il foglio in mano, stordito, a guardare il grassone che divorava illustrazioni di torte e focacce.
«Caffè?» Immerse un sudicio bicchiere di carta nel lago, accanto ai piedi che si agitavano e glielo offrì. Elwood scosse il capo. «Lo so, lo so. Il caffè rende così nervosi che poi non si mangia tranquilli. Io preferisco il cibo solido.»
La poltiglia masticata delle pagine gli colava lungo il mento in costante, lento movimento.
La stanza in cui Aurora era rimasta ad aspettare sembrava un magazzino. Lungo le pareti c’erano armi e apparecchiature elettroniche. C’erano anche dei mobili, una scrivania con il coperchio scorrevole in un angolo, e un grande orologio a colonna di fronte alla porta. Aurora lo guardò mentre un altro orologio, distante e più grande cominciava a suonare. Dopo pochi secondi, l’orologio a colonna ronzò ed emise note tintinnanti. Uno, due…
L’orologio a colonna, a casa sua, non funzionava mai, sebbene suo padre tentasse spesso di aggiustarlo. Non funzionava neppure il giorno in cui lui era morto.
All’inchiesta si era accertato che si era trattato di morte accidentale, dovuta al cattivo funzionamento d’una delle sue invenzioni, una campana per immersioni. Aurora cercò di non commuoversi al ricordo. Dopotutto, quello era un mondo dove gli orologi funzionavano e i treni correvano, e la gente correva per prenderli. Non era un mondo per i perdenti, fossero agricoltori-sognatori di mezza età o giovani, idealisti assistenti di laboratorio, come Cal.
Ovviamente, Cal era un perdente. Era l’uomo, e Aurora lo sapeva, che finisce a quarant’anni a gestire un distributore fallimentare di benzina lontano dal casello dell’autostrada. E che, poco prima di chiedere il fallimento, viene ucciso da un bandito deficiente per i 2 dollari e 12 che ci sono in cassa. Probabilmente non c’era nulla che Cal sapesse far bene.
Lei pensò che molto probabilmente lo avrebbe sposato.
… undici, dodici.
La cassa dell’orologio a colonna si aprì come un sarcofago. Il dottor Smilax ne uscì e la prese fra le braccia. Aurora urlò.
Capitolo Venticinquesimo
I rivali
«O Fratelli e Sorelle, v’ingiungo di non dare il vostro cuore a un cane per farvelo straziare.»
«Non urli, mia cara,» ansimò Smilax, quando Aurora si svincolò. «Non voglio farle del male. Anzi, la stimo più di tutte le altre donne di questo mio mondo.»
«Vorrà scherzare.» Lei si spostò adagio verso la porta.
Smilax le bloccò la strada. «Ah, come potrei scherzare con il suo cuore? Preferirei buttarmi sotto le ruote d’una macchina,» gemette. Le afferrò la mano e cominciò a baciargliela ardentemente. «Voglio essere il suo… il suo migliore amico. Seguirò i suoi passi come un cane, fino a quando mi dirà di sì. Cara dottoressa Candlewood, sia mia… e il mondo sarà suo!»
Lei liberò la mano, disgustata, e gli voltò le spalle. Smilax le afferrò il polso e la fece girare di nuovo verso di lui. «Debbo inseguirla?» abbaiò. «Debbo implorare e minacciare? Parli! Mi parli!»
Poiché lei non diceva niente, Smilax continuò, arricciando le labbra e scoprendo i denti aguzzi e scintillanti. «L’avverto, se mi respinge, non mi limiterò ad uccidermi. Oh, no, sarebbe troppo semplice. Porterò il mondo con me, e nel modo più doloroso possibile. E la sua morte, mia cara, sarà la più lenta e la più dolorosa!»
Un’espressione dolente e implorante gli apparve negli occhi, dietro le lenti lustre. Smilax cominciò ad addolcirsi e ad accarezzarle il braccio.
«È per la mia età? Ma io sono ancora energico, mia signora. Sì, e ben disposto a imparare nuovi trucchi. E lei non potrà trovare, tra tutti gli uomini più giovani di questo mondo, un amico più devoto e fedele di Toto.
«Mi ha divertito sentire lei e Potter mentre cercavano di indovinare come fa il Sistema a ‘conoscermi’… questo segreto non lo conoscerà mai. Ma mi ha divertito molto meno sentire quel cucciolo impudente che le chiedeva di sposarlo!
«Lei deve scegliere tra noi. Deve scegliere tra l’amico più buono, più fedele e più ricco e quell’ingrato bastardo maleducato di Calvin Potter.»
Le afferrò entrambi i polsi. «Scelga, subito!»