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«Forse adesso riesco a capire meglio Havig e le sue convinzioni» rispose Bernard senza scomporsi. «Be’, sarà quel che sarà. In ogni modo, quando si sveglia, dobbiamo continuare a insistere sul tema di Giobbe. Se riusciamo a inculcargli quell’idea, diventerà una torre di forza, e non ci sarà pericolo di nuove crisi.»

«Giobbe? Che roba è?» chiese Stone.

«Una figura tolta dai libri della religione Giudaico-Cristiana» spiegò Bernard. «È una storia piuttosto bella, a pensarci bene. Racconta che il diavolo aveva fatto una scommessa con Dio, affermando che questo Giobbe avrebbe perso la fede se fosse stato sottoposto a una prova. Così gli fu permesso di inviare a Giobbe ogni genere di pestilenze e di calamità. Tutte cose al cui confronto perdersi nello spazio è un’avventuretta senza importanza. Ma Giobbe tenne duro ugualmente, e non perse mai la sua fede nemmeno nei momenti peggiori. E alla fine…»

La porta della cabina si aprì. Entrò il Comandante Laurance, seguito da Clive e da Nakamura.

«Che diavolo sta succedendo qua dentro?» chiese Laurance. «Abbiamo sentito delle grida, poco fa.»

«Havig aveva perso la trebisonda» rispose Dominici.

«Cosa?»

«Be’, non è niente di tragico» disse Bernard. «Ha soltanto avuto una specie di collasso nervoso, e per un momento ha perso il controllo.»

«Ha fatto dei danni?»

«No» disse Bernard. «Siamo riusciti a inchiodarlo subito alla sua cuccetta. Adesso è sotto l’effetto di un sedativo, e penso che al risveglio si sentirà benissimo.»

«Da prua sembrava come minimo un ammutinamento» disse Clive. «Pensavamo che vi foste accapigliati, che voleste farvi la pelle l’un l’altro.»

E non ve ne importava un accidente pensò fra sé Bernard. Purché non mettessimo a repentaglio la vostra incolumità personale.

«Starà benissimo» ribadì a voce alta. «Che novità ci portate da prua? Siete riusciti a stabilire dove siamo? O è un’informazione riservata?»

Laurance gli scoccò un’occhiataccia. «Nuvola Magellanica Maggiore.»

Dominici alzò la testa. «È sicuro?»

«Sicurissimo» dichiarò Laurance. «Abbiamo individuato la S Doradus, luminosa come un faro. E alcune RR Lyrae variabili delle quali siamo abbastanza sicuri. Dal tipo di popolazione stellare, una quantità di Cefeidi, molte stelle O, B e K supergiganti, c’è senz’altro da credere che siamo nelle Magellaniche.»

«E astri di tipo Sole» chiese ansiosamente Stone. «Ne avete trovati, sì o no? Quelli di tipo diverso non sono adatti per tentare atterraggi sui rispettivi pianeti, vero?»

«Di questo non credo che dovremo preoccuparci molto» rispose Laurance, con un sorriso nervoso.

«Come sarebbe a dire?» saltò su Dominici.

«Sarebbe a dire che, a quanto pare, la cosa non dipende più da noi» replicò Laurance.

Per la prima volta, Bernard si rese conto di ciò che avrebbe dovuto comprendere dal primo momento, salvo che era proprio una cosa alla quale nessuno avrebbe pensato. Si accorse tutt’a un tratto che i cinque ufficiali avevano lasciato la cabina di comando contemporaneamente. Un fatto del genere non si era mai verificato in tutto il viaggio. Eppure Laurance, Clive e Nakamura erano lì, mentre Peterszoon e Hernandez stavano subito oltre la soglia. E se nella cabina di comando non c’era nessuno…

«Che cosa sta succedendo?» chiese Bernard, preso improvvisamente dal panico. «Chi sta governando la nave?»

«È quello che vorrei sapere anch’io» disse Laurance. Si avvicinò allo schermo. «Circa mezz’ora fa, qualche misteriosa forza esterna ha preso la nave in sua balìa. Non abbiamo potuto in nessun modo liberarci dal suo raggio di attrazione. Siamo trascinati da una mano invisibile, si direbbe verso quel sole giallo lassù.»

12

Giù. Giù. Precipitarono attraverso il buio. Oltrepassarono soli scintillanti, trascinati come un giocattolo inerte… A bordo della VUL-XV, nove uomini aspettavano, nell’assoluta impotenza.

I comandi erano bloccati. I reattori non funzionavano, gli stabilizzatori erano fuori uso, gli indicatori di velocità non davano segno di vita. Non era nemmeno possibile eseguire la conversione in propulsione Daviot-Leeson e scivolare nell’iperspazio.

Niente da fare. Solo aspettare.

In silenzio. Che dire, del resto? Ciò che stava accadendo andava oltre la comprensione, oltre la ragione. E soprattutto oltre ogni possibilità di azione.

«Supponiamo l’esistenza di un enorme campo magnetico» arrischiò Dominici. «Qualcosa come cinquanta trilioni di gaus… un campo di un’intensità tale che non riusciamo nemmeno a concepirla. Il campo magnetico dell’intera costellazione, per esempio. E noi, in trappola, completamente in sua balìa.»

«I campi magnetici non interferiscono con i getti di un’astronave» obiettò Bernard. «Non immobilizzano i comandi. Nemmeno un campo del genere di quello che voi avete postulato. C’è dell’intelligenza dietro tutto questo, direi… e forse si tratta di un’intelligenza tanto superiore alla nostra quanto il vostro immaginario campo magnetico è al di là di tutto ciò che è stato fisicamente misurato finora.»

Sulla cuccetta, Havig si mosse, mormorando parole incoerenti. Poi si riaddormentò, senza aver ripreso conoscenza.

«A che velocità ci muoviamo?» chiese Stone.

Il Comandante Laurance rialzò la testa di scatto. «Non lo so. Però, andiamo velocissimi. I ragazzi stanno cercando di calcolarla alla meglio. Direi che stiamo andando a una velocità molto vicina a quella della luce.»

«E senza accelerare» disse Nakamura. «Questa è la cosa più sbalorditiva.»

La conversazione languì di nuovo.

Sullo schermo, le stelle correvano loro incontro a velocità incredibile, svanendo immediatamente. L’ipotesi di Laurance era esatta: l’astronave si dirigeva verso un sole giallastro che ingigantiva a ogni istante.

Avanti e avanti. Un’ora di quel viaggio involontario era già trascorsa, ne passò una seconda, e una terza. Hernandez riferì d’aver calcolato la velocità, regolandosi in base all’effetto doppler, a nove virgola sei decimi rispetto a quella della luce. Il che significava che stavano viaggiando alla velocità estrema dell’Universo normale… senza alcuna fonte di velocità apparente.

Era incredibile.

Non aveva senso.

Continuò a non avere senso per altre tre ore. Nel frattempo, Havig si era svegliato. Il linguista si rialzò a sedere sulla cuccetta, scuotendo la testa.

«Cosa…»

«State meglio, Havig?»

«Cosa succede? Mi guardate tutti in modo così strano! È accaduto qualcosa?»

«Niente di particolare» lo rassicurò Bernard. «Eravate un po’ sconvolto e vi abbiamo dato un tranquillante. Vi sentite più calmo, ora?»

Havig passò la mano tremante sugli occhi. «Sì… calmissimo. Sto cercando di ricordare. Ah, sì, sono stato assalito dal terrore… Scusatemi tanto. Ah, Bernard, voglio ringraziarvi per avere tentato di confortarmi. Siete stato molto generoso, e ammiro lo sforzo che avete dovuto fare. L’analogia con Giobbe… sì, era proprio un esempio adatto…»

«Sembrava adatto anche a me» confessò Bernard.

Havig sorrise. «Immagino che si possa mantenere il controllo dei propri nervi solo fino a un certo punto, e poi le forze cedono… anche se uno è forte, o crede di esserlo. Mi sono comportato come un debole, come un codardo. Eppure, per me è stata un’esperienza interessante. Mi ha dimostrato che la mia fede non è inamovibile, può sempre essere messa alla prova. Può venire scossa, anche brutalmente, ma non distrutta. Ora vedete, come vedo io, che a volte Dio può allontanarci i Suoi doni e la Sua grazia per il nostro stesso interesse, anche se noi possiamo non intuire i Suoi propositi? Giobbe non li intuiva, però obbedì. Così avrei dovuto fare io, se non avessi avuto un attimo di debolezza. Ma sono uscito dalla prova più forte di prima. Sono queste prove che ci confermano…» Havig s’interruppe, sorrise impacciato. «Ma io non devo trasformare i miei ringraziamenti in una specie di conferenza. Vi prego di considerare con indulgenza la scena alla quale vi ho fatto assistere senza volerlo.»