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«Non ci pensate più, Havig» disse Dominici. «A turno, ciascuno di noi ha perso il controllo dei nervi. Voi avete sopportato tutto con più pazienza degli altri, e alla fine anche la reazione è stata più violenta.»

Havig assentì. «Sì. Però grazie, grazie lo stesso. Ma c’è qualcosa che non mi dite, qualcosa di nuovo che si è verificato mentre dormivo. Lo vedo dalle vostre espressioni. Sembrate così pallidi, così spaventati…»

«Sarà meglio dirglielo» disse Dominici.

«Coraggio» disse Stone.

Con la massima concisione possibile, Bernard spiegò la nuova situazione. Havig ascoltava attento, accigliandosi sempre più ad ogni nuovo particolare.

«E così, la nave è fuori del nostro controllo» concluse bruscamente Bernard. «Questa, più o meno, è la situazione. E non possiamo fare altro che aspettare pazientemente. Se mai c’è stato un momento in cui era necessario tutto il vostro stoicismo Neopuritano, è questo.»

«E adesso dobbiamo mostrarci tutti molto coraggiosi» dichiarò Havig con fermezza. «Dobbiamo convincerci che ciò che ci è stato destinato, lo è per il nostro bene, e quindi non abbiamo niente da temere.»

Bernard annuì. Ora cominciava a intravvedere il vero Havig; un uomo un po’ cupo e austero, d’accordo, ma sempre un individuo che Barnard poteva rispettare, nonostante gli atteggiamenti ascetici. Rispettare, anche senza condividere i suoi punti di vista. C’era qualcosa di veramente solido in Havig. Quell’uomo non si serviva delle sue convinzioni come di una gruccia che lo aiutasse a zoppicare lungo il cammino della vita, ma come di una guida che lo mettesse in grado di affrontare l’esistenza in modo franco e coraggioso. E Bernard si rendeva conto che, prima di affrontare quel viaggio, non sarebbe mai stato capace di ammettere una qualità del genere in Havig.

Dominici bisbigliò rivolto a Bernard: «Aveva ragione riguardo a quella storia di Giobbe. Gli fa bene, lo aiuta a venirne fuori.»

«Ne è venuto fuori, ormai» disse Bernard. «È più in gamba di quanto pensassimo.»

Fa piacere pensò Bernard, sapere che a bordo c’è almeno una persona capace della massima calma, di una rassegnazione fatalistica dinanzi a qualsiasi evento… No si corresse, non fatalistica. Il termine è sbagliato. Ora Havig è molto più sereno. Fede e rassegnazione non sono la stessa cosa.

Per un’altra ora la corsa continuò, tanto che parve dovesse durare per sempre, che l’astronave dovesse rimanere in eterno in caduta libera: come la caduta di Lucifero verso l’inferno… o verso quel sole giallo che sembrava fosse la destinazione della VUL-XV.

Gli uomini a bordo si costringevano a ignorare la situazione. Tanto, che senso aveva preoccuparsi?

Nakamura preparò la cena. Mangiarono tutti, senza entusiasmo.

Clive tirò fuori un sintetizzatore sonoro e suonò vecchi motivi, accompagnandoli con voce un po’ roca e nasale che tuttavia aveva una strana qualità artistica. Bernard, affascinato, ascoltava le parole delle canzoni: molte erano nei vecchi linguaggi delle nazioni della Terra, i linguaggi sepolti del medioevo antico, e i brani che il sociologo riusciva ad afferrare erano deliziosi, mettevano una grande nostalgia.

Ma alla fine anche il canto scemò. Clive ripose il sintetizzatore. Il passatempo gli era venuto a noia.

Era impossibile, infatti, dimenticare, che l’astronave era in balìa di forze misteriose, e trasportava i suoi passeggeri verso una fine quasi certamente catastrofica. Era impossibile tentare di dimenticare che essi stavano cercando di tenere testa a forze che l’immaginazione non poteva concepire. Era impossibile vivere in condizioni simili, eppure essi continuavano a vivere…

Il rosgollano salì a bordo.

Laurence e l’equipaggio erano tornati a prua, e tutti e cinque lottavano invano con i comandi, con appena l’ombra di una speranza di riuscire a riguadagnare il controllo di quello scafo che li trascinava verso l’ignoto. Nella cabina passeggeri il tempo scorreva lentissimo. Bernard lesse un poco senza potersi concentrare. Lasciò cadere il libro e prese a fissare il nulla, come se stesse meditando.

La prima sensazione che qualcosa di strano si stesse verificando a bordo l’ebbe nel percepire un improvviso fiotto di luce che entrava dall’angolo in fondo alla cabina, su per giù nel punto dove si trovava la cuccetta di Dominici. Quello strano chiarore dorato si riverberava vagamente nello scompartimento, e Bernard si voltò per vedere di che si trattava.

Prima che avesse fatto in tempo a girare la testa, la voce terrorizzata di Dominici risuonò carica di disperazione e di sgomento.

«Madre di Dio, proteggimi!» urlò il biofisico. «Sto diventando pazzo!»

Bernard ristette a bocca aperta, paralizzato dallo stupore.

Nella cabina si era materializzata una figura, direttamente dietro la brandina di Dominici. Restava sospesa a circa un metro dal suolo, proprio all’intersezione dei piani della parete. L’improvviso bagliore s’irradiava appunto da quella figura.

Era un essere di piccola statura, alto forse un metro e venti, che se ne stava là, calmissimo, sospeso a mezz’aria. Sebbene fosse completamente privo di vesti, non si riusciva a considerarlo nudo. Un indumento di luce lo rivestiva, di luce morbida e fluida, che velava la figura senza proprio nasconderla. Il volto era un insieme di piani e di angoli che si spostavano e si componevano in modo pazzesco. Dopo averlo fissato solo per qualche istante, Bernard provò un senso di capogiro e dovette abbassare gli occhi.

La creatura non solo irradiava luce, ma anche un senso di totale serenità, di assoluta sicurezza di sé.

«Che… diavolo… è?» chiese Stone con voce strozzata. Dominici, prostrato al suolo, parlava rapidamente tra sé con voce rapida e monotona. Havig, ancora capace di dominarsi ma pur sempre visibilmente scosso, pregava in ginocchio. Bernard riusciva solo a boccheggiare.

«Non dovete avere paura» disse lo strano visitatore. «Non vi accadrà niente di male.»

Le parole non furono pronunciate distintamente. Parevano semplicemente emanare dalla creatura, chiare e inconfondibili come il chiarore emesso.

Nonostante il tono pacato e rassicurante, Bernard si sentì attraversare da un brivido di terrore. Le gambe non lo sostenevano più. Si lasciò cadere sulla cuccetta, tenendosi strettamente abbracciato. Capiva, senza possibilità di dubbio, d’essere in presenza di una creatura che superava in perfezione l’umanità più di quanto l’umanità stessa superasse il più infimo degli insetti. E forse la distanza era ancora più grande. Bernard provava timore, riverenza, e soprattutto una paura folle, inesprimibile.

«Non dovete temere» ripeté la creatura, e ogni parola giungeva precisa e distinta. Per un attimo la luce che emanava da essa si fece più intensa, più carica, fino a prendere una colorazione quasi bruna. Bernard sentì che la paura si dissolveva.

Esitando alzò lo sguardo, e con voce rotta e rauca chiese: «Chi… che cosa siete?»

«Sono un rosgollano, terrestre. Sarò la vostra guida fino a che atterreremo.»

«E… dove veniamo trascinati?»

«A Rosgolla, terrestre.» La risposta fu pacata, piana, una dichiarazione fatta in tono ineluttabile, indifferente.

Bernard scosse la testa. È un’allucinazione, ecco cos’è pensò disperato. Questa è l’unica spiegazione possibile. Nemmeno nella Nuvola Magellanica Maggiore possono esistere esseri che se ne entrano attraverso le pareti di una astronave e partano perfettamente il terrestre.