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Uno alla volta, intanto, gli altri uscirono all’aperto, per sgranchirsi le membra dopo te breve nottata. Stone fu il primo a raggiungerli, poi Nakamura con la sua aria allegra, poi Havig, che salutava brevemente con quel suo fare né cordiale né ostile, e infine Laurance, perso nella sua personale amarezza. Dopo Laurance uscirono Clive ed Hernandez, mentre il taciturno Peterszoon li seguiva a grandi passi, fissando con aria scontrosa il gruppo in generale, proprio come se ciascuno avesse la responsabilità diretta di quello che era successo.

«Che cosa sarà di noi?» chiese Clive. «Dobbiamo restare qui e aspettare, eh?»

«Forse ci porteranno da mangiare» disse Stone. «Ho una fame che non ci vedo. Nessun segno di colazione, per caso?»

«Per ora no» rispose Bernard. «Forse aspettavano che fossimo tutti svegli.»

«O forse ci lasceranno digiuni» disse Dominici. «Visto che siamo solo un mucchio di esserucoli inferiori, avranno deciso di…»

«Guardate là!» gridò all’improvviso Hernandez. «Che il diavolo mi porti! Guardate!»

Tutte le teste si girarono nella direzione indicata da Hernandez.

«No» balbettò incredulo Bernard. «Non è possibile. È una visione, un’allucinazione…»

Per un istante, un nembo di luminosità si era posato leggermente sul prato a una cinquantina di metri dal gruppo dei terrestri, dopo essere disceso lentamente dall’alto. La luce aveva oscillato brevemente, poi si era spenta.

E nel chiarore che per un attimo rimase sospeso nell’aria, cominciarono a intravvedere due strane figure, due figure massicce, scure, non esattamente umane, che barcollarono incerte attraverso l’erba rugiadosa, guardandosi attorno sbalordite, e forse spaventate.

Skrinri e Vortakel.

I Kharvish, gli ambasciatori. Gli altezzosi diplomatici Norglani.

«Vi abbiamo portato dei compagni» disse una voce rosgoliana che proveniva chissà da dove. «Ora potete riprendere i negoziati.»

I due grossi Norglani sembravano ubriachi, o quantomeno paurosamente sbigottiti. Si fermarono di colpo, come se avessero ritrovato la loro presenza di spirito, e si apprestassero a reagire, a rimettersi da quella specie di vertigine. Poi tutta la loro baldanza tornò a sbriciolarsi, e lo stupore li riafferrò poiché si erano accorti della presenza dei Terrestri.

«Sono gli stessi… con i quali abbiamo parlato noi?» chiese Dominici.

«Ne sono certissimo» affermò Bernard. «Guardateli bene. Vedete? Il più grosso è Skrinri, quello con la cicatrice sulla spalla è Vortakel.»

Ad ogni buon conto è comunque difficile riconoscere un essere non umano dall’altro. Il semplice fatto che fossero non-umani serviva a distrarre l’attenzione da tutti i particolari minori che servivano a distinguerli. Tuttavia, quelli erano innegabilmente i due Norglani che erano venuti come Kharvish a contrattare con i Terrestri.

I Norglani si avvicinarono, nell’evidente tentativo di dominare il proprio sbigottimento. In un tono di voce aspro, gutturale, ben diverso dall’antico timbro pacato e autoritario, Skrinri balbettò: «Voi… Terrestri? Stessi Terrestri?»

Stone era il parlamentare ufficiale del gruppo, ma in quel momento non poteva spiccicare parola tanta era la sua meraviglia. Dopo un attimo di gelido silenzio Bernard rispose: «Sì. Ci siamo già incontrati. Voi siete Skrinri. E voi… voi siete Vortakel.»

«Siamo noi» rispose Skrinri, «ma…perché essere venuti qui voi?»

«Siamo stati portati qui, e non di nostra volontà.» Bernard illustrò il processo strappando simbolicamente un filo d’erba. «La nostra astronave è stata catturata e portata qui. E voi?»

Skrinri, apparentemente ancora scosso dall’enormità della mancanza di riguardo ricevuta, non rispose. Stavolta parlò Vortakel, con voce malferma. «C’era… tanta luce attorno. E una voce dire: Venire! Dopo, il mondo non c’era più. E ora… ora essere qui…» S’interruppe, quasi mortificato di dovere confessare con quanta facilità erano stati sballottati da un Universo all’altro.

Era scoraggiante, ma in un certo senso era anche una piacevole soddisfazione, constatare le condizioni di sbalordimento in cui erano ridotti i due emissari Norglani. Skrinri e Vortakel, cosa del resto logicissima, sembravano addirittura esterrefatti dalla brusca scoperta di non rappresentare affatto il massimo dell’evoluzione.

«Dove siamo?» chiese Skrinri.

«Lontanissimi da casa sia dalla vostra sia dalla nostra.» disse Bernard. Cercò invano le parole necessarie: come era possibile spiegare in termini comprensibili ai Norglani i concetti di galassia, anno-luce, Universo? Rinunciò a priori. «Siamo… così lontani da casa» concluse dopo un momento di riflessione, «che né il vostro sole né il nostro si possono vedere da qui.»

I Norglani si guardarono in un modo che tradì, contemporaneamente, sospetto e disperazione. Poi, parlarono tra loro per un bel pezzo, confabulando rapidi in quel loro linguaggio complesso, tutto a base di consonanti.

A Bernard, quei due facevano pena. In effetti, i Norglani avevano un’opinione molto alta di se stessi e della loro importanza nell’Universo, sicuramente più di quella dei Terrestri… E se per i Terrestri era stato un bello schiaffo morale scoprire che esisteva una razza come quella dei Rosgollani, chissà che shock doveva essere stato per i Norglani! Loro, i dominatori, i futuri conquistatori dell’Universo, loro che erano stati così magnanimi e… tassativi nei confronti dei Terrestri! Loro! Sballottati da una galassia all’altra come rottami alla deriva!

Si accorse intanto che i Rosgollani erano tornati. Baluginavano come lucciole all’orizzonte, e di colpo prendevano consistenza. Due tre, cinquanta, cento: ben presto il prato fu circondato da creature luminescenti, che fluttuavano a poca distanza dal suolo.

Una voce rosgollana disse: «Abbiamo interrogato i Norglani durante il viaggio verso il nostro pianeta. Da loro abbiamo appreso che credono ciecamente in un destino secondo il quale essi sono i conquistatori predestinati di tutto l’Universo, su per giù com’è convinzione di voi Terrestri. Evidentemente, l’una o l’altra delle due parti deve cedere, in caso contrario non potrà esserci pace tra voi e i vostri pianeti saranno ben presto flagellati da una guerra.»

Skrinri sbuffò: evidentemente le parole rosgollane erano state intelligibili tanto

?er i Norglani quanto per i errestri. «Noi siamo stati generosi verso i Terrestri» affermò l’ambasciatore norglano. «Abbiamo concesso loro di tenersi i mondi che hanno già. Ma quanto agli altri pianeti… quelli toccano a noi.»

«E chi l’ha stabilito?» disse il rosgollano. Nella voce c’era una sfumatura di scherno. «In grazia di quale diritti voi dovreste impossesarvi di tutti i pianeti che restano?»

«Perché lo vogliamo!» replicò il norglano, ritrovando un poco della sua prosopopea. «I mondi sono là, noi li raggiungiamo, li prendiamo. Quale altra autorità ci serve, oltre quella della nostra forza?»

«Nessuna» ribatté il rosgollano. «Salvo che la vostra forza non è sufficiente. Creature deboli, arroganti, fanfarone. Ecco cosa siete e niente di più. Ora parlerò io, e mi rivolgerò a tutti i contendenti di questa sciocca disputa.»

Skrinri e Vortakel parvero sul punto di scoppiare per la rabbia. «Noi non ascolteremo altro! Riportateci sui nostri mondi o prenderemo le nostre misure! L’imperiale Norgla non tollera simili abusi. Noi…»